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Esigenze cautelari: il tempo non cancella il rischio

La Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro la custodia in carcere per estorsione e usura. La Corte ha stabilito che, nonostante il tempo trascorso dai fatti, le esigenze cautelari restano attuali e concrete se l’indagato non dimostra di avere fonti di reddito lecite, indicando uno stile di vita basato su attività criminali e un persistente rischio di recidiva.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari: Il Tempo Trascorso Non Annulla la Pericolosità Sociale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27461/2025, affronta un tema cruciale nel diritto processuale penale: la valutazione delle esigenze cautelari a fronte di un notevole lasso di tempo trascorso dalla commissione dei reati. Questa pronuncia offre chiarimenti fondamentali su come il tempo influenzi la percezione della pericolosità sociale di un indagato, specialmente quando mancano fonti di reddito lecite, confermando l’applicazione della custodia cautelare in carcere per gravi reati come estorsione aggravata e usura.

Il Contesto: Accuse di Estorsione e Usura

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per i reati di tentata estorsione, aggravata dal metodo mafioso, e usura. La difesa aveva impugnato il provvedimento, sostenendo principalmente la mancanza di attualità e concretezza delle esigenze cautelari, dato che i fatti contestati risalivano a diversi anni prima. Secondo i legali, il tempo trascorso avrebbe dovuto indebolire la presunzione di pericolosità, rendendo la misura carceraria sproporzionata.

L’Impatto del Tempo sulle Esigenze Cautelari

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma prevede una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari per reati di particolare gravità. La difesa ha argomentato che il decorso di un lungo periodo senza la commissione di nuovi reati dovrebbe essere sufficiente a superare tale presunzione. Tuttavia, la Cassazione ha seguito un approccio più sostanziale.

La Mancanza di Redditi Leciti come Indice di Pericolosità

L’elemento decisivo valorizzato dai giudici è stata la totale assenza di fonti lecite di guadagno da parte dell’indagato per tutto il periodo intercorso tra i fatti e l’applicazione della misura. Questa circostanza è stata interpretata come un indicatore di uno stile di vita fondato su attività illecite, tale da rendere i reati contestati non episodi isolati, ma espressione di una consolidata inclinazione a delinquere. Di conseguenza, il rischio di recidiva è stato ritenuto concreto e attuale, nonostante il tempo passato.

La Decisione della Corte di Cassazione e le sue Motivazioni

La Corte ha rigettato i ricorsi della difesa, confermando l’ordinanza di custodia cautelare. La decisione si fonda su un’analisi approfondita che bilancia il principio di proporzionalità con la necessità di tutela della collettività.

Le Motivazioni

I giudici di legittimità hanno sottolineato che, a fronte della presunzione di pericolosità per reati gravi, era onere della difesa fornire elementi concreti per dimostrare il superamento di tale rischio. La semplice inerzia o l’assenza di nuove denunce non sono sufficienti. La Corte ha chiarito che spetta all’indagato allegare e provare circostanze fattuali, come lo svolgimento di un’attività lavorativa lecita, che possano indicare un reale cambiamento di vita e una diminuzione della pericolosità sociale.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibile la produzione di nuovi documenti (nella specie, le dichiarazioni dei redditi) per la prima volta in sede di legittimità, ribadendo che la valutazione del merito e delle prove deve avvenire nei gradi precedenti. Infine, sono stati confermati i gravi indizi di colpevolezza per entrambi i reati, evidenziando come l’interpretazione del materiale probatorio, incluse le intercettazioni, sia di competenza esclusiva dei giudici di merito, sindacabile in Cassazione solo per manifesta illogicità, qui non riscontrata.

Le Conclusioni

La sentenza n. 27461/2025 rafforza un importante principio: la valutazione delle esigenze cautelari non è un esercizio meccanico basato sul calendario, ma un’analisi concreta dello stile di vita dell’indagato. Per la difesa, ciò significa che per contrastare efficacemente una richiesta di misura cautelare, soprattutto in presenza di presunzioni legali, è indispensabile presentare fin da subito prove concrete di un percorso di vita alternativo all’illegalità. L’assenza di un lavoro lecito può trasformarsi in un potente argomento a sostegno dell’accusa, rendendo difficile scalfire la presunzione di attualità del pericolo di recidiva.

Il semplice passare del tempo è sufficiente a far decadere le esigenze cautelari per reati gravi?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il decorso di un apprezzabile lasso di tempo non è di per sé sufficiente, specialmente se non è accompagnato da elementi che dimostrino un cambiamento nello stile di vita dell’indagato. La persistenza di una situazione di assenza di redditi leciti può essere considerata un indice di attualità della pericolosità sociale.

A chi spetta l’onere di provare la cessazione della pericolosità sociale per superare la presunzione di legge?
Secondo la sentenza, a fronte della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari (come quella prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p.), è onere della difesa allegare e provare l’esistenza di circostanze concrete che smentiscano la tesi accusatoria, come ad esempio lo svolgimento di un’attività lavorativa lecita.

È possibile presentare nuovi documenti, come le dichiarazioni dei redditi, per la prima volta in Cassazione per dimostrare l’esistenza di un lavoro?
No. La sentenza ribadisce il principio secondo cui nel giudizio di legittimità (in Cassazione) non possono essere prodotti nuovi documenti che riguardano il merito della questione. Tali prove devono essere presentate nei precedenti gradi di giudizio, come dinanzi al Tribunale del Riesame.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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