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Esigenze cautelari: il tempo non cancella il pericolo

Un soggetto, accusato di essere reggente di un clan mafioso e di tentata estorsione, ha impugnato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Lamentava la mancanza di prove e il tempo trascorso dai fatti. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che le intercettazioni dimostravano il suo ruolo attivo e attuale nell’organizzazione. La Corte ha inoltre confermato la persistenza delle esigenze cautelari, poiché l’adesione ininterrotta al sodalizio criminale rende irrilevante il semplice passare del tempo, confermando il pericolo di reiterazione del reato.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze cautelari: il tempo non cancella il pericolo in caso di mafia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5317 del 2024, torna su un tema cruciale della procedura penale: la valutazione delle esigenze cautelari nei reati di stampo mafioso. La decisione offre importanti chiarimenti su come il trascorrere del tempo influenzi la percezione della pericolosità sociale dell’indagato, specialmente quando il legame con il sodalizio criminale appare ininterrotto. Questo caso dimostra come la persistenza del pactum sceleris possa rendere attuale un pericolo anche a distanza di anni dai fatti contestati.

I Fatti del Caso

Il Tribunale del riesame di Lecce, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero, applicava la misura della custodia cautelare in carcere a un individuo accusato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (Sacra Corona Unita) con un ruolo di vertice (‘reggente’) e di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. La decisione del Tribunale ribaltava quella del Giudice per le indagini preliminari (GIP), che aveva invece rigettato la richiesta di misura cautelare ritenendo non attuali le esigenze.

L’indagato proponeva ricorso per Cassazione, basandosi su due motivi principali:
1. L’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico.
2. La mancanza di attualità delle esigenze cautelari, dato che i fatti risalivano al 2020 e che lui aveva terminato di scontare una precedente pena nel 2019, senza che emergessero successive condotte illecite.

La Valutazione delle esigenze cautelari nel contesto mafioso

Il fulcro della questione giuridica risiede nel bilanciamento tra il tempo trascorso e la persistenza del pericolo che giustifica una misura restrittiva della libertà. Può un periodo di ‘silenzio’ investigativo far venir meno le esigenze cautelari? Secondo la Cassazione, la risposta, soprattutto nei reati associativi, è tutt’altro che scontata.

La difesa sosteneva che il lasso di tempo tra i fatti contestati (estate 2020) e l’applicazione della misura cautelare fosse sufficiente a far scemare il pericolo di reiterazione del reato. Tuttavia, per i delitti di mafia, il legislatore ha previsto una presunzione relativa di pericolosità, come stabilito dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale. Ciò significa che, pur essendo necessario un vaglio sull’attualità del pericolo, si parte dal presupposto che l’appartenenza a un clan renda l’indagato socialmente pericoloso.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando l’ordinanza del Tribunale del riesame. Le motivazioni si articolano su due fronti: la solidità degli indizi e l’attualità delle esigenze cautelari.

Sulla Sussistenza dei Gravi Indizi

La Corte ha ritenuto logica e congrua la valutazione del Tribunale, basata principalmente su una conversazione intercettata. In tale dialogo, l’indagato discuteva della gestione del ‘pizzo’ sul mercato ittico, della pianificazione di azioni ritorsive e del mantenimento dei detenuti del clan. Secondo i giudici, il linguaggio utilizzato e i temi trattati dimostravano in modo inequivocabile la piena attualità della sua partecipazione al sodalizio, anche dopo la scarcerazione.

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: le dichiarazioni auto ed etero-accusatorie registrate in un’intercettazione hanno piena valenza probatoria e non richiedono elementi di corroborazione esterni, come previsto invece dall’art. 192 c.p.p. per le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

Sulla Persistenza delle Esigenze Cautelari

Questo è il punto più significativo della sentenza. La Corte ha stabilito che il Tribunale del riesame ha correttamente valutato l’attualità del pericolo. I fatti, sebbene risalenti al 2020, erano stati considerati ‘relativamente recenti’ e, soprattutto, inseriti in un contesto mafioso che per sua natura implica un concreto pericolo di commissione di gravi delitti.

La Corte ha valorizzato la ricostruzione del Tribunale secondo cui l’indagato, non appena rimesso in libertà, aveva ripreso in mano le redini del clan, attivandosi per mantenere il controllo del territorio. Questa ‘perdurante ed ininterrotta adesione al pactum sceleris’ ha neutralizzato l’argomento difensivo basato sul tempo trascorso. In sostanza, se non vi è prova di una dissociazione dal vincolo criminale, il pericolo si considera persistente.

Conclusioni

La sentenza in commento rafforza un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità: nei reati di associazione mafiosa, il vincolo criminale si presume stabile e duraturo. Di conseguenza, per far venir meno le esigenze cautelari, non è sufficiente invocare il semplice passare del tempo o l’assenza di nuove contestazioni. È necessario che emergano elementi concreti che dimostrino un reale allontanamento dell’indagato dal sodalizio. In assenza di ciò, la pericolosità sociale si considera attuale e la misura cautelare pienamente giustificata per prevenire la commissione di ulteriori, gravi reati.

Il tempo trascorso dai fatti annulla automaticamente le esigenze cautelari?
No, la Corte ha chiarito che il semplice trascorrere del tempo non è sufficiente ad annullare le esigenze cautelari, specialmente per reati associativi di stampo mafioso, se l’adesione al sodalizio criminale risulta perdurante e ininterrotta.

Che valore hanno le intercettazioni in un procedimento cautelare?
Le dichiarazioni registrate durante intercettazioni regolarmente autorizzate hanno piena valenza probatoria e non necessitano di elementi esterni di conferma (corroborazione) per fondare un giudizio sulla gravità degli indizi di colpevolezza.

In un reato di mafia, è necessario dimostrare che l’indagato è ancora pericoloso per applicare la custodia in carcere?
Per i reati di associazione mafiosa, esiste una presunzione relativa della sussistenza delle esigenze cautelari. Ciò significa che il giudice deve motivare sulla loro attualità, ma si parte dal presupposto che il legame con il clan renda l’indagato socialmente pericoloso, a meno che non vi siano prove concrete di una sua dissociazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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