Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 45284 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 45284 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Pubblico Ministero presso il Tribunale di Catanzaro f nel procedimento contro
COGNOME NOMECOGNOME nato il 11/09/1966 a Limbadi
avverso l’ordinanza del 30/04/2024 del Tribunale di Catanzaro;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME dell’ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in oggetto, il Tribunale di Catanzaro, decidendo in sede di riesame, annullava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari che aveva applicato la custodia cautelare a NOME COGNOME in rapporto a plurimi episodi di cessione di stupefacente (art. 73, comma 4, d.P.R. 10 ottobre 1990, n. 309)
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(capi da 26 a 31 del capo di imputazione provvisorio), alcuni dei quali (26, 27, 28 e 29) con l’aggravante mafiosa (art. 416-bis.1 cod. pen.).
1.1. In particolare, il Tribunale ravvisava l’insussistenza della gravità indiziaria per i capi di contestazione provvisoria da 26) a 29) e il difetto d esigenze cautelari in relazione ai capi 30) e 31).
1.2. In tal senso, osservava che:
le intercettazioni del collaboratore di giustizia COGNOME poste alla base dell’ipotesi di cui al capo 26) erano già state valutate ai fini di altra ipotes reato afferente alla detenzione di diverso oggetto materiale (armi) nel capo 169) di altro procedimento penale, in relazione al quale era stata riconosciut la gravità indiziaria dell’ipotesi ascritta;
analogamente, la ricostruzione accusatoria della cessione contestata a Navarra (capo 27) si fondava sulle dichiarazioni del medesimo collaboratore di giustizia che, discorrendo con COGNOME, riferiva di un episodio di compravendita di marijuana che aveva coinvolto altri soggetti individuati, tra gli altri, in Ascone Tuttavia, in tale conversazione, il collaboratore di giustizia COGNOME compiva una sorta di interpretazione autentica delle precedenti risultanze intercettive, riferendo della dinamica dell’episodio di cessione in mancanza di un riscontro esterno individualizzante, necessario per evitare la circolarità della prova e fondare il giudizio di gravità indiziaria;
analoghe considerazioni richiamava a proposito dei capi 28) e 29) che rappresentano gli sviluppi dell’acquisizione, da parte di COGNOME, dello stupefacente fornito da COGNOME;
riteneva, invece, le condotte di cui ai capi 30) e 31) comprovate, la prima, da un dialogo tra l’indagato e il figlio NOME, nel quale i due commentavano una fornitura di marijuana destinata a tale NOME; la seconda, da una conversazione in cui NOME COGNOME chiedeva a NOME COGNOME la sostanza stupefacente e questi rispondeva che doveva chiedere il prezzo al padre, e cioè all’indagato, captazione riscontrata dalla perquisizione svolta presso la casa della madre di COGNOME, in cui era stata rinvenuta, oltre ad armi e munizioni, la sostanza stupefacente. Tuttavia, escludeva la permanenza di esigenze cautelari attuali e concrete per la risalenza delle condotte addebitate (2019) e per la mancanza di precedenti della stessa indole nei certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti.
Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso per Cassazione il Pubblico ministero presso il Tribunale di Catanzaro, deducendo i seguenti motivi.
2.1. Vizio di motivazione e inosservanza di leggi penali processuali in relazione al capo 26).
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L’ordinanza ritiene non utilizzabile la conversazione tra NOME e NOME COGNOME, sebbene il medesimo compendio indiziario ben possa essere valutato ai fini della prova di una pluralità di reati, e ne ha estrapolato soltanto una parte. Trascura, inoltre, di considerare come essa converga con le dichiarazioni del collaboratore COGNOME, riscontrandole.
2.2. Vizio di motivazione in rapporto ai capi 27), 28) e 29).
La pronuncia ha invertito l’ordine del ragionamento probatorio: l’intercettazione non rappresenta, infatti, riscontro alle dichiarazioni di COGNOME: al contrario, sono queste a specificare ciò che era già emerso nella conversazione intercettata che, dal canto suo, non necessita di alcun riscontro, avendo piena valenza probatoria e non richiedendo elementi di corroborazione ai sensi dell’art. 192 comma 3, cod. proc. pen. (Sez. U., n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714).
Le dichiarazioni di COGNOME erano, quindi, ad abundantiam e i giudici hanno omesso di valutare la specificità della fonte intercettiva.
2.3. Vizio di motivazione in relazione ai capi 30) e 31).
A fondamento dell’insussistenza delle esigenze cautelari è stato posto esclusivamente il c.d. tempo silente.
Ma, se è vero che il tempo silente può essere tenuto in considerazione, è anche vero che va valutato in uno con altri elementi, quali le modalità della condotta e la personalità dell’agente.
Nel caso di specie, nulla si è detto dell’evidente organizzazione dell’attività illecita e della circostanza che COGNOME sia imputato in altro procedimento come promotore organizzatore di un’associazione di stampo mafioso e, quindi, della sua compenetrazione nell’ambiente criminale, che ben può far ritenere sussistente il pericolo di reiterazione dei reati.
2.4. Quanto alle esigenze cautelari, sono state richiamate le considerazioni contenute nell’ordinanza di custodia cautelare relative, in particolare, allo stabile inserimento dell’indagato nell’ambiente criminale concernente il traffico di sostanze stupefacenti, desumibile anche dalla circostanza che COGNOME era stato direttamente coinvolto al cospetto di COGNOME per la fornitura del narcotico o per la risoluzione delle relative problematiche, il che avrebbe dovuto condurre ad affermare, nonostante la risalenza nel tempo degli episodi contestati, l’attualità delle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
2. Premesso che, in tema di impugnazioni, allorché sia dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la Corte di cassazione è giudice anche del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali (Sez. U., n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092), quanto al capo di imputazione provvisoria n. 26), sono fondate le deduzioni del ricorrente ove lamenta la decontestualizzazione di brani della conversazione tra l’indagato e suo figlio (conversazione da cui emergono dichiarazioni autoaccusatorie), aggiungendo, peraltro, come le stesse riscontrino le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME. Sicché la motivazione appare, sotto questo profilo, incompleta.
In relazione ai capi di imputazione provvisoria da 27) a 29), è vero che l’ordinanza impugnata afferma che il medesimo collaboratore si limitava a chiarire il contenuto di pregresse conversazioni, captate nel corso di diverso procedimento penale (n. 849/2017), in cui lo stesso COGNOME era uno dei dialoganti (con conseguente rischio di circolarità della prova, che – attribuendo rilievo a tali forme di “interpretazione autentica” – diverrebbe autoreferente. Ex multis, Sez. 6, n. 1249 del 26/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258759).
Ciò nondimeno, i Giudici del riesame non chiariscono quale fosse la posizione di COGNOME al tempo della prima conversazione, né se sia stato offerto (e, in tal caso, quale fosse) il contributo informativo degli altri soggett intercettati. Di conseguenza, la motivazione dell’ordinanza impugnata non consente di escludere l’operatività del principio invocato dal Pubblico ministero ricorrente, in base al quale le dichiarazioni auto- ed etero-accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714).
La motivazione appare, dunque, anche sul punto, incompleta: per altro verso, non specificando, neppure in forma sintetica, per quale ragione le condotte contestate ai capi 28) e 29) siano uno sviluppo di quella di cui all’art. 27), sicché la relativa affermazione risulta apodittica, e come tale apparente.
Quanto ai capi 30) e 31), in relazione ai quali gli stessi Giudici del riesame hanno ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, così come, più in genere, a tutte le contestazioni provvisorie, vanno, infine, accolte le deduzioni svolte dal ricorrente in punto di esigenze cautelari, il quale ha richiamato quanto osservato nell’ordinanza cautelare (e riportato nella parte in fatto, a proposito del ricorso), sul punto essendo il caso di ricordare che, come di recente precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari, pur se per i
reati GLYPH di GLYPH cui GLYPH all’art. 275, GLYPH comma GLYPH 3, GLYPH cod. GLYPH proc. GLYPH pen., GLYPH è GLYPH prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 april 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202).
Alla luce delle considerazioni svolte, l’ordinanza, deve essere annullata, affinché il giudice del rinvio svolga una nuova valutazione ovvero integri quella esistente.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di
Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, cod. proc. pen. Così deciso il 14/11/2024