Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 47644 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47644 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato a Cagliari il 27.11.1992
avverso la ordinanza in data 12.7.2024 del Tribunale di Cagliari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 12.7.2024 il Tribunale di Cagliari, adito in sede di appello cautelare, ha rigettato, confermando il provvedimento del Gip, la richiesta di sostituzione della massima misura custodiale con gli arresti domiciliari proposta da NOME COGNOME imputato del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 per aver preso parte ad un’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti ramificata in tutto il territorio sardo in veste di stabile acquirente con il ruolo di clie maggior rilievo, nonché di 15 reati-fine commessi nell’arco temporale compreso tra agosto 2021-gennaio 2022, tutti aventi ad oggetto consistenti partite di marijuana e cocaina.
Il ricorso non può essere ritenuto ammissibile.
Anche a voler escludere l’assenza di una preclusione cautelare non risultando che sia stata proposta alcuna istanza di riesame avverso il provvedimento cautelare originario, mancano tuttavia i presupposti necessari alla richiesta di sostituzione della misura custodiale in corso con gli arresti donniciliari non solo non venendo prospettato alcun elemento di novità che consenta di ritenere l’affievolimento dele esigenze cautelari sottese alla massima misura custodiale in corso, ma neppure venendo superata dalle doglianze svolte la presunzione cautelare che assiste ai sensi dell’art. 275, terzo comma cod. pen. il reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 in ordine al pericolo di reiterazione del reato e all adeguatezza della detenzione carceraria.
Va in primo luogo rilevato che il tempo astrattamente idoneo ad incidere sull’attualità della misura non è affatto quello intercorso tra i fatti criminosi richiesta di sostituzione della misura, bensì soltanto quello decorso rispetto all’emissione del provvedimento originario risalente al 24.4.2023, e dunque dall’inizio di esecuzione della misura, non valendo il periodo trascorso nella detenzione carceraria ad elidere, in difetto di elementi di novità, le esigenze cautelari individuate al momento della sua stessa emissione. Sotto tale profilo non è dato ravvisare alcun vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata che puntualmente individua il pericolo di reiterazione non solo nella gravità delle condotte in contestazione – profilo ben diverso dalla gravità del titolo di reat menzionato dall’art. 275 terzo comma – contando a carico del prevenuto oltre al delitto partecipativo ben 15 reati fine, tutti aventi ad oggetto cospicui quantitati di sostanze stupefacenti, peraltro di diversa tipologia con conseguente maggiore invasività del mercato illecito, ma altresì nella sua variegata bibliografia criminale rivelatrice, alla luce della molteplicità e della specificità delle condanne pronunciat nei suoi confronti, di un commercio nel settore degli stupefacenti elevato a sistema di vita, senza peraltro sostanziale soluzione di continuità rispetto ai fatti contestazione intercorrendo solo un anno di distanza tra l’ultimo precedente penale e l’avvio dell’associazione criminosa sub judice. Le suddette argomentazioni, che tratteggiano a tutto tondo la continuità del periculum libertatis in considerazione della possibilità, niente affatto remota ove parametrata alla preesistente condotta del Sitzia, della prosecuzione della condotta criminosa, consentono di ritenere correttamente declinato, anche in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato, il principio univocamente dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’attualità del pericolo di recidivanza si identifica non già, come assume la difesa, nella previsione di una specifica occasione per delinquere, ma in una valutazione prognostica fondata su elementi concreti, desunti sia dall’analisi della personalità dell’indagato (valutabile anche attraverso le modalità del fatto per cui si procede), sia dall’esame delle concrete condizioni di vita d quest’ultimo, idonei a dar conto della esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, nonché probabili nel loro vicino verificarsi e dunque dell’effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare (Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, Avolio, Rv. 277242; Sez. 6, n. 24779 del 10/05/2016, COGNOME, Rv. 267830; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, COGNOME, Rv. 269684). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Non rivestendo infatti i delitti contestati natura meramente occasionale, essendo al contrario frutto di una spiccata professionalità delinquenziale del suo autore, non è ravvisabile alcuna carenza motivazionale in ordine allo iato temporale tra fatti e cautela, iato neppure così rilevante, considerato che tra l’ultimo reato fine e l’adozione della misura intercorrono circa 15 mesi.
Anche in relazione al requisito della concretezza le aporie così come le carenze motivazionali denunciate dalla difesa risultano manifestamente infondate oltre che precluse dalla presunzione dettata dall’art. 275, terzo comma. Il Tribunale di Cagliari àncora invero a specifici elementi concreti il periculum libertatis, costitui come sopra evidenziato, dalle modalità realizzative delle condotte avuto riguardo ai molteplici reati-fine in contestazione e ai quantitativi di droga di volta in vo acquistati, nonché dalla caratura delinquenziale dell’indagato desunta dal suo certificato penale, senza che di nessuna censura sia passibile la ritenuta irrilevanza della circostanza che per gli ultimi due mesi rispetto alla chiusura delle indagini costui non abbia commesso ulteriori delitti, risalendo l’ultimo reato-fine al gennaio 2022. Va infatti considerato che il cd. “tempo silente” non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, occorrendo allorquando si verta in tema di reati associativi, al fine di superare la presunzione ex lege l’evidenza, desumibile dagli elementi a disposizione del giudice o perché presenti agli atti o perché dimostrati dalla difesa, che l’associato abbia definitivamente rescisso i suoi legami con il sodalizio di appartenenza quando lo stesso era ancora attivo ovvero l’esaurimento della stessa attività associativa. In assenza di siffatta dimostrazione, che coerentemente i giudici della cautela hanno ritenuto insussistente a fronte di una sospensione di appena due mesi dalla concreta attività criminosa all’interno della consorteria, sul giudice della cautel non grava alcun onere di argomentare in positivo circa la configurabilità delle esigenze cautelari in presenza di un reato per sua natura permanente, assistito dalla presunzione in termini di attualità e concretezza dettata dall’art. 275, comma 3 (così ex multis Sez. 6, Sentenza n. 28821 del 30/09/2020 – dep. 16/10/2020, COGNOME, Rv. 279780; Sez. 5, Sentenza n. 91 del 01/12/2020 – dep. 04/01/2021, COGNOME, Rv. 280248). Senza contare che, a prescindere dal contesto associativo, lo stabile inserimento dell’imputato nel traffico locale delle sostanze stupefacenti protrattosi per un considerevole numero di anni ancor prima della costituzione dell’associazione viene messo con coerenza di ragionamento in rilevo ai fini della prognosi recidivante, stante il rischio concreto che costui possa sfruttare i plurim contatti con i trafficanti nel settore, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto, infine, al diniego della misura degli arresti donniciliari assistita d presidi di sicurezza così come dagli specifici divieti consentiti dall’art. 284 second comma cod. proc. pen., l’ordinanza impugnata dà ampiamente conto della sua inidoneità evidenziando l’inaffidabilità del ricorrente in ordine all’adempimento delle restrizioni cautelari desunta da una precedente condanna pronunciata nei suoi confronti per violazione delle disposizioni della detenzione domiciliare, con cui la difesa omette ogni
Segue all’esito del ricorso l’onere delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., nonché quello del versamento, ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativannente fissata come da dispositivo
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in data 5.12.2024