Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7538 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7538 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato a Melito di Porto Salvo il 03/07/1994; avverso l’ordinanza del 03/09/2024 del Tribunale di Reggio Calabria; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 3 settembre 2024, il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto ex art. 310 cod. proc. pen. dalla difesa dell’indagato avverso l’ordinanza della Corte di appello di Reggi9 Calabria, che, in data 3 luglio 2024, pur accogliendo parzialmente l’istanza di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con quelle dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di
presentazione alla polizia giudiziaria, aveva rigettato la richiesta di revoca della misura cautelare in atto, applicata in relazione ai delitti di cui agli artt. 73 (capi B e C) e 74 (capo A) del d.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso l’ordinanza, l’indagato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, l’erronea applicazione degli artt. 125, comma 3, 274, comma 1, lettera c), e 299, comma 2, cod. proc. pen., nonché il connesso vizio di motivazione quanto alla ravvisata sussistenza di attuali esigenze cautelari.
Nel rigettare l’istanza di revoca della misura, la Corte di appello di Reggio Calabria avrebbe fatto richiamo a mere formule di stile, indebitamente reiterative delle valutazioni emesse in sede di riesame, senza alcuna considerazione della situazione attuale, così omettendo di considerare numerosi elementi di segno contrario, quali: a) la inoperatività dell’associazione criminale dal 2017; b) il periodo di tempo trascorso in regime detentivo, pari ad anni 5 e mesi 1 di misura cautelare patita; c) l’aiuto minimo prestato, seppur in forma associativa, per i soli due reati fine in contestazione; d) l’intervenuta assoluzione dal reato più grave, ascritto al capo El) dell’originaria incolpazione; e) l’esclusione dell’aggravante del numero delle persone superiore a tre.
Secondo l’indagato, inoltre, la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe manifestamente illogica allorché fonda la manifestazione della consistenza delinquenziale del ricorrente, nonché la dimostrazione della pregnanza della partecipazione al sodalizio criminale – utili ad integrare il requisito del pericolo di fuga e di reiterazione criminosa di cui all’art. 274, comma 1, lettere b) e c), cod. proc. pen. – sull’intervenuta condanna ad anni 6, mesi 10 e giorni 20 di reclusione, considerato che la pena sarebbe stata irrogata, in ogni caso, in misura prossima al minimo edittale, pari a 10 anni per il reato associativo, mesi 1 per il capo C) e mesi 3 per il capo B), non potendo la sola emissione di una sentenza di condanna giustificare alcuno dei requisiti di cui al predetto art. 274 cod. proc. pen., per gli stessi motivi logici per cui il decreto ex art. 415-bis cod. proc. pen. limita la non necessarietà della misura cautelare alla sola lettera a) d lla suddetta norma, senza possibilità di estensione alle lettere b) e c) della stessa. A parere del ricorrente, del resto, sarebbe illogico ritenere che una sentenza di condanna possa integrare il pericolo di fuga alla luce della rimanente pena, pari ad anni 1 e mesi 9 di reclusione, avendo il prevenuto già scontato anni 5 e mesi 1 di detenzione, su una pena complessiva di anni 6, mesi 10 e giorni 20.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso – relativo alla violazione degli artt. 125, comma 3, 274, comma 1, lettera c), e 299, comma 2, cod. proc. pen. e al relativo vizio di motivazione è inammissibile. La prospettazione difensiva si esaurisce in mere valutazioni di ordine fattuale e valutativo, dirette semplicemente ad ottenere un’analisi diversa di circostanze già adeguatamente considerate dal giudice dell’appello cautelare.
Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa, le circostanze di fatto prospettate dal ricorrente sono state adeguatamente prese in considerazione dal Tribunale di Reggio Calabria, il quale, a fronte di un quadro cautelare di rilevante significatività – basato sulla gravità dei reati contestati nonché sul carattere permanente della partecipazione alle associazioni criminali – ha evidenziato come le misure cautelari dell’obbligo di dimora con il divieto di uscire dalla propria abitazione dalle ore 20:00 alle ore 07:00 e dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, benché non limitative della libertà personale dell’indagato in modo continuativo, risultino sufficienti ad evitare che egli possa reiterare illeciti ed intrattenere ulteriormente relazioni criminali ex art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., dunque correttamente ribadendo la negativa valutazione personale del soggetto, a fronte, peraltro, di un quadro generale caratterizzato da una condanna in secondo grado a pena detentiva significativa, pari ad anni 6, mesi 10 e giorni 20 di reclusione.
Inoltre, va in ogni caso evidenziato che, come parimenti rilevato dal Tribunale del riesame, la doglianza difensiva è stata articolata in termini assolutamente generici, non avendo l’imputato addotto, con la necessaria specificità, elementi nuovi, indebitamente pretermessi dal Tribunale, utili ai fini prognostici, tali non potendosi considerare né, da un lato, l’aiuto minimo prestato, seppur in forma associativa, per i soli due reati fine in contestazione, l’intervenuta assoluzione dal reato più grave, ascritto al capo El) dell’originaria incolpazione, ovvero l’esclusione dell’aggravante del numero delle persone superiore a tre – dei quali il ricorrente non deduce mai la decisività – né, dall’altro lato, il trascorrere del tempo in sé e l’assoggettamento alla misura cautelare detentiva (ex plurimis, Sez. 5, n. 16425 del 02/02/2010, Rv. 246868). Ed invero, costituisce principio costantemente ribadito da questa Suprema Corte quello secondo cui il mero decorso del tempo trascorso dall’inizio dell’esecuzione di una misura cautelare, qualunque essa sia, non è rilevante, perché la sua valenza si esaurisce nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa, e quindi necessita di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a suffragare la tesi dell’affievolimento delle esigenze cautelari (ex multis, Sez. 4, n. 17470 del 22/03/2024; Rv. 286207; Sez. 1, n. 19818 del 23/03/2018, Rv. 273139; Sez. 1, n. 24897 del 19/05/2013, Rv. 25583; Sez. 2, n. 45213 del 08/11/2007, Rv. 238518). Il fatto “nuovo” rilevante ai fini della revoca ovvero della sostituzione
della misura cautelare con altra misura meno grave, deve perciò essere costituito da elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari apprezzate all’inizio del trattamento cautelare (ex plurimis, Sez. 3, n. 43113 del 16/09/2015, Rv. 265652; Sez. 2, n. 1858 del 09/10/2013, dep. 2014, Rv. 258191; Sez. 6, n. 47819 del 24/11/2003, Rv. 227430), non potendosi dunque ritenere sufficiente a tal fine il tempo trascorso dalla commissione del reato, che per costante giurisprudenza di legittimità, deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza cautelare, ma che, per contro, non deve costituire oggetto di analoga valutazione ai sensi dell’art. 299, cod. proc. pen., ai fini della revoca o sostituzione della misura (ex multis, Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Rv. 282590; Sez. 2, n. 12807 del 19/02/2020, Rv. 278999; Sez. 2, n. 46368 del 14/09/2016, Rv. 268567).
Del resto, in tema di misure cautelari per il reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività dell’associazione, né alla data ultima dei reati fine dell’associazione stessa, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza e postula, pertanto, una valutazione complessiva, nell’ambito della quale il tempo trascorso è solo uno degli elementi rilevanti (ex multis, Sez. 3, n. 16357 del 12/01/2021, Rv. 281293; Sez. 2, n. 19341 del 21/12/2017, dep. 2018, Rv. 273435).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.