Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8282 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8282 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOMECOGNOME nato a Nicotera il 18/06/1963
avverso l’ordinanza del 28/08/2024 del Tribunale di Reggio Calabria
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso, e l’avv. NOME COGNOME che ha concluso uditi per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha riportandosi al ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28/08/2024, il Tribunale di Reggio Calabria rigettava l’appello ex art. 310 cod.proc.pen. proposto nell’interesse di COGNOME NOME NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa in data 24/07/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, con la quale era stata disattesa la richiesta di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere applicata al predetto in relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R n. 309/1990.
Avverso tale ordinanza ha proposto rìcorso per cassazione COGNOME NOME Giuseppe COGNOME a mezzo del difensore di fiducia articolando un unico complesso motivo con il quale deduce violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3 e 274 cod.proc.pen., 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990 e vizio di motivazione.
Argomenta che il Tribunale aveva omesso di valutare la documentazione acquisita in sede di indagine difensiva, successiva all’udienza ex art. 309 cod.proc.pen., che dimostrava l’assoluta estraneità del Solano alla contestazione (perché assente dal luogo di lavoro al momento della scansione del cointainer MSDU7868793, in data 21.12.2020, alle ore 16:38), così incorrendo in vizio di motivazione.
Con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari, poi, il Tribunale non aveva spiegato le ragioni in base alle quali due rilevantissimi elementi di novità (la sospensione dell’attività lavorativa ed un domicilio fuori Regione) rendessero ancora concrete ed attuali le esigenze cautelari ravvisate al momento di emissione dell’ordinanza cautelare; difettava, inoltre, la valutazione del tempo trascorso dalla vicenda criminosa conclusasi a dicembre 2022 e di quello decorso in custodia cautelare.
Erronea, inoltre, era la valutazione di inadeguatezza di altre misure cautelari, perché basata su un giudizio astratto di inaffidabilità delle capacità autocustodiali del ricorrente.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
3. La difesa del ricorrente ha chiesto la trattazione orale in pubblica udienza del ricorso; il PG ha depositato memoria ex art 611 cod.proc.pen. nella quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza delle doglienze proposte.
Va osservato in premessa che, secondo il consolidato orientamento di legittimità, la decisione del giudice sull’appello avverso l’ordinanza emessa a seguito di istanza di revoca o sostituzione di una misura cautelare è vincolata oltre che dall’effetto devolutivo proprio di siffatto tipo di impugnazione, che circoscrive la cognizione entro i confini tracciati dai motivi – anche dalla natura del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all’ordinanza impositiva della misura.
Invero, in sede di appello avverso la ordinanza di rigetto della richiesta di revoca di misura cautelare personale, il tribunale non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o a escludere la sussistenza di esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato (Sez.6, n. 45826 del 27/10/2021,Rv. 282292 – 01; Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016, Rv. 266676; Sez.3, n. 43112 del 07/04/2015,Rv.265569 – 01 n. 43112 del 2015 Rv. 265569).
Nella specie, il Tribunale ha ritenuto che il quadro indiziario consolidatosi non risultasse scalfito dalla documentazione prodotta dalla difesa a fondamento della richiesta di sostituzione della misura cautelare in atto.
In particolare, il Collegio cautelare ha rimarcato, innanzitutto, che solo parte della documentazione prodotta presentasse elementi di novità rispetto al quadro probatorio esaminato in sede di riesame; ha evidenziato, poi, che, comunque, le nuove allegazioni non si ponevano in contrasto con le risultanze istruttorie, che attestavano che il COGNOME si procurava illecitamente beni derivanti dalle attività di controllo svolte nell’ambito del proprio incarico, in quanto non emergeva che il container oggetto della condotta predatoria del COGNOME fosse quello indicato dalla difesa (ed in relazione al quale era stata documentata l’assenza del COGNOME dal lavoro al momento della relativa scansione).
Trattasi di motivazione adeguata e immune da vizi logici ed in linea con il suesposto principio di diritto; a fronte di tale adeguata e corretta motivazione, il ricorrente propone censure meramente contestative e prive di confronto critico con le argomentazioni contenute nell’ordinanza impugnata (confronto doveroso per l’ammissibilità dell’impugnazione, ex art. 581 cod.proc.pen., perché la sua funzione tipica è quella della critica argomentata avverso il provvedimento oggetto
di ricorso, cfr. Sez.6, n.20377 del 11/03/2009, Rv.243838; Sez.6, n.22445 del 08/05/2009, Rv.244181).
4. Con riferimento alle esigenze cautelari, il Tribunale ha evidenziato che il quadro cautelare consolidatosi risultava immutato, rimarcando la protrazione nel tempo delle condotte (circa due anni), il numero degli episodi contestati, il quantitativo di sostanza stupefacente di cui si agevolava l’ingresso, la vasta rete dei contatti, sia sul territorio nazionale che all’estero, vantati dal sodaliz criminoso e dimostrativi dello stabile inserimento nel contesto criminale internazionale, i precedenti penali dell’imputato e le modalità del fatto; da tali elementi veniva tratta, conseguentemente, la valutazione di persistenza del pericolo di reiterazione criminosa, in ragione sia della gravità dei reati contestati che della pericolosità soggettiva dell’indagato desunta anche dalle modalità del fatto.
Tale valutazione è conforme ai principi da tempo affermati da questa Corte (Sez. 5, n. 35265 del 12/03/2013) secondo cui in tema di esigenza cautelare costituita dal pericolo di reiterazione di reati della stessa indole, prevista dall’ar 274 c.p.p., lett. c), la pericolosità sociale dell’indagato deve risultar congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla sua personalità.
La motivazione complessiva è, quindi, adeguata, logica e conforme a diritto anche alla luce della modifica dell’art. 274 lett, c) cod.proc.pen., ad opera della legge 16 aprile 2015, n. 47, che richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale.
Il Tribunale, infatti, ha valorizzato ampiamente il concreto pericolo di recidivanza esponendo, con congrue ed esaustive argomentazioni, le ragioni giustificative della valutazione sull’immutato quadro cautelare. Del pari congrua è la valutazione relativa all’attualità delle esigenze cautelari. Invero, l’attualità de essere intesa non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondata su elementi concreti – e non congetturali – rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo reiterazione, attualizzata al momento della adozione della misura, nel senso che l’analisi della personalità e delle concrete condizioni di vita dell’indagato deve indurre a ritenere probabile una ricaduta nel delitto “prossima” – anche se non specificamente individuata, nè tanto meno imminente – all’epoca in cui la misura viene applicata (Sez.2, n.47619 del 19/10/2016, Rv.268508; Sez.6, n.9894 del 16/02/2016, Rv.266421; Sez.2, n.18745 del 14/04/2016, Rv.266749; Sez.2, n.53645 del 08/09/2016, Rv.268977; Sez.5, n.33004 del 03/05/2017, Rv.271216).
L’ordinanza impugnata, dunque, ha pienamente osservato i criteri direttivi ora indicati, perché in essa la valutazione è stata eseguita richiamando la valorizzazione di un complesso di emergenze coerentemente rappresentate, in particolare le specifiche modalità di realizzazione delle condotte delittuose, il contesto in cui i reati si sono realizzati ed hanno prodotto effetti, la personalità negativa palesata dal ricorrente, i consolidati contatti con soggetti appartenenti a circuiti criminali internazionali, elementi tutti idonei a rendere non solo concreto ma anche attuale il pericolo di recidivanza.
Il Tribunale ha compiutamente valutato anche il tempo trascorso tra i fatti e l’esecuzione della misura cautelare (il cd tempo silente), rimarcando che, all’esito della valutazione complessiva delle modalità dei fatti, del loro contesto e della personalità dell’imputato, tale elemento non presentava caratteri di significatività ed incidenza sulla presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod.proc.pen. La motivazione è congrua ed esente da vizi logici e si sottrae, quindi, al sindacato di legittimità.
Appare opportuno effettuare alcune considerazioni in ordine al cd “tempo silente”, ossia il decorso di un apprezzabile lasso temporale tra l’emissione della misura ed i fatti contestati.
In ordine a tale valutazione si registrano due diversi orientamenti, entrambi riferiti al momento di applicazione della misura cautelare.
Secondo un primo orientamento, il cd “tempo silente” ove non accompagnato da altri elementi fattuali, è inidoneo a superare la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod.proc.pen. Si afferma, infatti, che detta presunzione è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen.; ne consegue che se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. la presunzione di legge fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, non desumibile dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (Sez.2 n. 6592 del 25/01/2022, dep.23/02/2022, Rv. 282766 – 02; Sez.1, n. 21900 del 07/05/2021, Rv. 282004 – 01; Sez.5, n. 91 del 01/12/2020,dep.04/01/2021, Rv.280248 – 01).
Secondo altro orientamento, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui all legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli
“elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (Sez.6, n. 2112 del 22/12/2023, dep.17/01/2024, Rv. 285895 – 01; Sez.6, n. 31587 del 30/05/2023,Rv.285272 01; Sez.3, n. 6284 del 16/01/2019,Rv.274861 – 01). Si è affermato che la presunzione menzionata – in particolare nelle ipotesi in cui sono contestati un reato per sua natura non permanente oppure un reato permanente, come quello associativo, ma oggetto dì contestazione “chiusa”, perché corredata dall’indicazione del momento di cessazione della condotta partecipativa – tenda ad affievolirsi, quando un considerevole arco temporale separi il momento di consumazione del reato da quello dell’intervento cautelare.
Quanto alla nozione di rilevante arco temporale, la necessità di valutare il cd tempo silente è stata considerata con riferimento ad una misura cautelare applicata a distanza di cinque anni rispetto alla data di commissione del reato a contestazione chiusa (Cfr. Sez.6, n. 11735 del 25/01/2024, dep.20/03/2024, Rv.286202 – 02; Sez.3, n. 6284 del 16/01/2019, Rv.274861 – 01, cit. ) Inoltre, si è, condivisibilmente, affermato che, in tema di misure cautelari riguardanti il reato di associazione ex art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la prognosi di pericolosità non si rapporta solo all’operatività della stessa, né alla data ultima dei reati fine, ma ha ad oggetto la possibile commissione di delitti che siano espressione della medesima professionalità e del medesimo grado di inserimento in circuiti criminali che caratterizzano l’associazione di appartenenza (Sez.4, n. 3966 del 12/01/2021, Rv.280243 – 01).
Per quanto riguarda, invece, il tema della valutazione del tempo silente ai fini della revoca o sostituzione della misura – ipotesi che qui rileva- si è, condivisibilmente, affermato che tale circostanza deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza di custodia cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 cod. proc. pen. ai fini della revoca o sostituzione della misura (Sez.2 n. 47120 del 04/11/2021, Rv.282590 – 01; Sez.2,n. 12807 del 19/02/2020, Rv.278999 – 01; Sez.2, n.46368 del 14/09/2016, Rv.268567 – 01; Sez.2, n.47416 del 30/11/2011, Rv.252050 – 01).
Nella specie, come visto, il Tribunale, pur pronunciandosi in tema di revoca o sostituzione di misura cautelare, ha, comunque, considerato anche il tempo decorso tra í fatti e l’applicazione della misura cautelare ed ha compiutamente argomentato in merito.
Nè, infine, coglie nel segno la deduzione difensiva con cui si deduce la mancata considerazione da parte del Collegio cautelare, anche del tempo decorso durante la custodia cautelare.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, il principio secondo il quale, in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare, elementi, nella specie, non emergenti dalla valutazione complessiva contenuta della vicenda cautelare contenuta nell’ordinanza impugnata (Sez.2 n. 47120 del 04/11/2021, Rv.282590 – 01; Sez.5, n.39792 del 29/05/2017, Rv.271119; Sez. 2 n. 1858, dep.17/01/2014 Rv.258191; Sez.1, n.24897del 10/05/2013, Rv.255832; Sez. 5, ordinanza n. 16425, dep.27/04/2010, Rv.246868, Sez.2,n. 39785 dep. 26/10/2007, Rv.238763).
Il provvedimento impugnato, infine, è esente da vizi di motivazione anche in ordine alla specificazione delle ragioni ostative alla sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’art. 275 bis comma 1 cod. proc. pen
Il Tribunale ha congruamente argomentato che, con riguardo al reato associativo contestato, considerati tutti gli elementi summenzionati, non appariva superata la presunzione relativa di adeguatezza fissata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., e che la misura cautelare della custodia in carcere, impedendo qualsiasi contatto con gli altri sodali (a nulla rilevando che l’abitazione ove era stata richiesta la misura degli arresti domiciliare si trovasse fuori dal territori calabrese in considerazione della vasta rete di contatti del sistema in cui l’imputato appariva inserito) era l’unica misura idonea a sradicare il ricorrente dal contesto territoriale in cui erano maturate le condotte delittuose; risultava, quindi, inadeguata la misura autocustodiale che non avrebbe precluso al COGNOME di continuare a svolgere l’attività delittuosa anche dal domicilio (l’indagato aveva tentato di entrare in contatto con figure di riferimento dell’associazione anche avvalendosi della propria figlia); tale motivazione risulta assorbente anche dell’intervenuta sospensione attività lavorativa, in ordine alla quale, peraltro, il ricorrente non ne spiega la decisività rispetto al complessivo impianto argomentativo, risultando la censura anche generica.
Consegue, pertanto, come anticipato, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Essendo il ricorso inammissibile, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura ritenuta equa indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp.att. cod.proc.pen.
Così deciso il 30/01/2025