Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21096 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21096 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 14/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Foggia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 10 agosto 2023 dal Tribunale di Bari
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari che ha confermato l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Deduce cinque motivi di ricorso, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per !a motivazione.
1.1 Con il primo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione
in relazione alla dedotta eccezione di mancanza di autonoma valutazione in ordine alle esigenze cautelari. Deduce il ricorrente che il primo Giudice non ha distinto le singole posizioni, ma si è acriticamente riportato alla richiesta di applicazione della misura cautelare. Tale lacuna non è stata colmata dall’ordinanza impugnata, nonostante il ricorrente avesse rappresentato che i precedenti penali a suo carico risalgono al DATA_NASCITA e che, allo stato, non vi sono procedimenti pendenti.
1.2 Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al giudizio di gravità indiziaria relativo al reato di c:ui all’art. 74 d. n. 309 del 1990. Ciò sulla base dei seguenti elementi: 1) l’associazione era in via di formazione e non era ancora attiva ed operativa; 2) il ricorrente non è tra coloro che percepivano uno stipendio e si è limitato a contatti sporadici ed occasionali; 3) non vi è alcuna prova che il ricorrente abbia ottenuto delle forniture raddoppiate né tantomeno della sua partecipazione ai colloqui relativi a detl:e forniture. Oltre a censurarsi la sussistenza nel caso in esame degli elementi costitutivi dell’associazione, in particolare dell’elemento organizzativo, rileva il ricorrente che mancano sia l’accordo che l’elemento psicologico del reato atteso che, nel caso di specie, vi era una imposizione da parte del c.d. “Direttorio” a rifornirsi dell sostanza stupefacente. In presenza di un consenso “estorto”, manca dunque il presupposto dell’accordo necessario alla configurabilità del reato.
1.3 Con il terzo motivo deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione all’aggravante dell’agevolazione mafiosa, avuto riguardo, in particolare, alla mancata individuazione degli elementi di fatto sintomatici della consapevolezza da parte del ricorrente della finalità perseguita dal c.d. “Direttorio” e da Aprile, ovvero della destinazione dei proventi del narcotraffico alla consorteria mafiosa.
1.4 Con il quarto motivo deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. Rileva il ricorrent che nel caso in esame sussistono a suo carico indizi desumibili esclusivamente dalle intercettazioni (c.d. “droga parlata”); che né il Giudice per le indagini preliminari né il Tribunale del riesame hanno valutato adeguatamente il materiale indiziario; che l’ordinanza impugnata è illogica in quanto non spiega perché i quantitativi indicati e intercettati sarebbero stati ricevuti tutti i mesi e non second cadenze diverse né se il raddoppio della fornitura sia effettivamente avvenuto o è rimasta una mera intenzione del “Direttorio”.
1.5 Con il quinto motivo deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, avendo il Tribunale omesso di considerare che il s.d. “sistema della droga” e, con esso il sodalizio che !RAGIONE_SOCIALE gestiva, è cessato nel novembre 2018, quando sono stati arrestati i componenti
del “Direttorio” o, al più, nel dicembre 2019 quando sono state rinvenute le liste presso l’abitazione di COGNOME. Aggiunge il ricorrente che l’affermazione del Tribunale, secondo la quale l’associazione sarebbe ancora operativa, è del tutto svincolata da elementi fattuali. Aggiunge, infine, che proprio il rinvenimento di tali liste, contenenti i nomi dei presunti “grossi spacciatori”, uno dei quali è NOME COGNOME, tenuti al pagamento del pizzo all’associazione, evidenzia la cessazione dell’associazione ed il passaggio ad un diverso regime operativo non più fondato sulla fornitura in esclusiva della droga ma sulla imposizione del pizzo per l’attività di spaccio.
2. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.
Il primo motivo è inammissibile in quanto, oltre a dedurre per la prima volta, in termini particolarmente generici, la carenza di autonoma valutazione in ordine alle esigenze cautelari (in sede di riesame l’eccezione aveva, infatti, interessato il giudizio di gravità indiziaria), è privo dei necessario requisito del specificità. Va, infatti, ribadito che in tema di impugnazioni avverso i provvedimenti “de libertate”, il ricorrente per cassazione che denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza ha l’onere di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496).
Il secondo e quarto motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro logicamente connessi, sono inammissibili in quanto meramente reiterativi delle medesime censure dedotte in sede di riesame e privi di adeguato confronto critico con le argomentazioni dell’ordinanza impugnata che, con motivazione immune da manifesta illogicità o contraddittorietà, ha adeguatamente argomentato in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine sia alla sussistenza del sodalizio ed alla partecipazione del ricorrente che al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
E’ sufficiente, a tale riguardo, sottolineare che il giudizio di gravità indiziar risulta saldamente ancorato al contenuto delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia, in particolare, quanto alla posizione del ricorrente, quella de collaboratore COGNOME, ed ai riscontri emersi dalle conversazioni intercettate, sulla base dei quali è stato ricostruito sia l’assetto organizzativo dell’associazione (si vedano le pagine 22 e 23) che il ruolo svolto dal ricorrente (riconosciuto fotograficamente da COGNOME), quale stabile spacciatore della sostanza stupefacente fornita con cadenza regolare dal sodalizio medesimo, inserito nella lista gestita da Aprile e retribuito per la sua illecita attività (si veda pagina 4 Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è stata, inoltre, desunta, risalente operatività del sodalizio, genericamente censurata dal ricorrente.
L’ordinanza impugnata ha, inoltre, adeguatamente esaminato la questione, genericamente riproposta con il ricorso, in ordine alla rilevanza sulla ritenuta partecipazione della pressione esercitata dal sodalizio al fine di ottenere il monopolio nella fornitura della sostanza stupefacente. Con argomentazione immune da vizi logici, completamente ignorata dal ricorrente, il Tribunale ha escluso che tale circostanza possa incidere sul giudizio di gravità indiziaria e, in particolare sulla sussistenza della “affectio societatis”, ponendo l’accento sul fatto che il ricorrente ha liberamente scelto di proseguire a spacciare per conto del sodalizio, continuando, peraltro, a interagire con un soggetto apicale del sodalizio (Aprile) e, conseguentemente, ha anche liberamente accettato le condizioni di monopolio da questo imposte.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di interesse dei ricorrente, stante l’inidoneità dell’eventuale esclusione dell’aggravante ad incidere sull’an o sul quomodo della misura.
Va, infatti, ribadito il consolidato principio di diritto in forzai del quale, in t di impugnazioni avverso misure cautelari personali, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” o sul “quomodo” della misura (così, da ultimo, Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, COGNOME, Rv. 284489).
Nel caso di specie già la mera partecipazione al sodalizio integra il fatto costitutivo della presunzione cautelare di cui all’art. 275, cornma 3, cod. proc. pen., sicchè l’esclusione dell’aggravante non produrrebbe per il ricorrente alcuna conseguenza favorevole risultando, peraltro, analogo, il termine di fase (Sez. 3, n. 31633 del 15/03/2019, Irabor, Rv. 276237).
Deve ritenersi, invece, fondato i! quinto motivo di ricorso.
5.1 Va, innanzitutto, premesso che sulla questione relativa alla rilevanza del tempo decorso dai fatti contestati sulla concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, nei casi in cui opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sono ravvisabili nella giurisprudenza di legittimità due indirizzi ermeneutici.
Secondo un primo orientamento, cui si è uniformata l’ordinanza impugnata, il c.d. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati), ove non accompagnato da altri elementi fattuali, è inidoneo a superare la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Si afferma, infatti, che detta presunzione è prevalente, in quanto speciale, rispetto alle disposizioni generali stabilite dall’art 274 cod. proc. pen. cosicché se il titolo cautelare riguarda i reati previsti dall’ar 275, comma 3, cod. proc. pen., la presunzione in esame fa ritenere sussistente i caratteri di attualità e concretezza del pericolo, salvo prova contraria, non desumibile, tuttavia, dalla sola circostanza relativa al mero decorso del tempo, ove non accompagnata da altri elementi circostanziali idonei a determinare un’attenuazione del giudizio di pericolosità (cfr. Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766 – 02; Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282865; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004).
5.2 Altro orientamento, cui il Collegio intende dare continuità, ritiene, invece, che, pur se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (in tal senso, tra le tante, Sez. 6, n. 31587 del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272; Sez. 3, n. 6284 del 16/01/2019, Pianta, Rv. 274861).
Si è, infatti, condivisibilmente affermato che la presunzione menzionata – in particolare nelle ipotesi in cui sono contestati un reato per sua natura non permanente oppure un reato permanente, come quello associai:ívo, ma oggetto di contestazione “chiusa”, perché corredata dall’indicazione del momento di cessazione della condotta partecipativa – tende ad affievolirsi, quando un considerevole arco temporale separi il momento di consumazione del reato da quello dell’intervento cautelare.
Va, inoltre, considerata la specificità del reato associativo di cui all’art. d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in relaziona al quale la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di sottolineare come i legami tra compartecipi non presentino quella tendenziale stabilità nel tempo che, invece, contraddistingue l’appartenenza alle associazioni di stampo mafioso. Si è affermato, infatti, che in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificat unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reat di cui all’art. 416-bis cod. pen., di talché risulta ad essa inapplicabile la regola esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento de gruppo (Sez.6, n. 3096 del 28/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272153; Sez.3, n. 17110 del 19/1/2016, COGNOME, Rv. 267160; Sez.6, n. 140 del 2712/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265917; Sez.6, n. 44129 del 22/10/2015, Rv. 265457; Sez.4, n. 26570 dell’11/6/2015, COGNOME, Rv. 263817).
5.3 Tenendo presenti tali coordinate ermeneutiche, si ritiene che la valutazione contenuta nell’ordinanza cautelare in ordine all’attualità delle esigenze cautelari presenti aspetti di contradditorietà, meritevoli di una rivalutazione.
L’ordinanza fonda la prognosi negativa essenzialmente sul fatto che la contestazione del reato associativo è “aperta” e che nel marzo 2022 veniva sequestrato un consistente quantitativo di cocaina detenuto da NOME COGNOME, fratello di NOME, indicato quale uno degli associati.
Entrambe le affermazioni non forniscono elementi rilevanti, dovendosi in primo luogo sottolineare come, al di là della contestazione formale del tempus commissi delicti, la condotta contestata al ricorrente si arresta a marzo del 2018 e, quindi, a più di cinque anni prima dell’applicazione della misura (luglio 2023).
A ciò deve aggiungersi che: a) il ruolo ricoperto dal ricorrente viene descritto come marginale, trattandosi di uno spacciatore al dettaglio, sostanzialmente tenuto a rifornirsi dal sodalizio che esercitava un controllo egemonico sull’attività illecita; b) la stessa perdurante attività dell’associazione, a prescindere dalla partecipazione del ricorrente, non è agevolmente riconducibile ad epoca successiva al novembre del 2018, epoca in cui venivano tratti in arresto i vertici della stessa. Né, a tal fine, può darsi rilievo al sequestro di cocaina eseguito nel 2022, posto che: a) il detentore dello stupefacente era soggetto che non risulta tra i partecipi all’associazione; b) il mero rapporto di parentela con uno degli
associati (NOME COGNOME) è inidoneo a far ritenere la destinazione dello stupefacente ad alimentare i traffici del sodalizio.
Va, infine, considerato che anche le argomentazioni in ordine alla personalità del ricorrente appaiono generiche e incomplete, mancando ogni riferimento all’epoca di commissione dei fatti cui si riferiscono le condanne considerate dal Tribunale.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto limitatamente alla ritenuta sussistenza dell’attualità delle esigenze cautelari. L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata su tale punto con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bari competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. che, nella rivalutazione delle esigenze cautelari, si atterrà ai principi sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari competente ai sensi dell’art. 309, co.7, c.p.p. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presird nte