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Esigenze cautelari: il tempo che passa annulla il carcere

La Corte di Cassazione ha confermato l’annullamento di una misura di custodia cautelare per due indagati di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. La decisione si fonda sulla valutazione che il notevole tempo trascorso dai fatti (oltre tre anni) ha fatto venir meno le attuali esigenze cautelari, superando la presunzione di pericolosità prevista dalla legge, nonostante la gravità delle accuse e la pericolosità del sodalizio.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari e Reati Associativi: Quando il Tempo Sconfigge la Presunzione di Pericolosità

La valutazione delle esigenze cautelari rappresenta uno dei nodi più delicati del processo penale, bilanciando la libertà personale dell’indagato con la necessità di proteggere la collettività. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante chiave di lettura su come il trascorrere del tempo possa incidere su tale valutazione, anche in contesti di criminalità organizzata. Il caso esamina la situazione di due soggetti indagati per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, per i quali era stata annullata la custodia in carcere proprio per il venir meno dell’attualità di tali esigenze.

I Fatti del Caso

Due individui venivano indagati quali partecipi di una complessa organizzazione criminale, con vertici internazionali, dedita al traffico di ingenti quantitativi di cocaina. Sulla base delle indagini, il Giudice per le Indagini Preliminari disponeva per entrambi la misura della custodia cautelare in carcere. Le difese proponevano istanza di riesame al Tribunale della Libertà, contestando non la gravità degli indizi, ma l’attualità delle esigenze cautelari.

La Decisione del Tribunale della Libertà

Il Tribunale della Libertà accoglieva l’istanza e annullava l’ordinanza di custodia cautelare. Pur riconoscendo la solidità del quadro indiziario riguardo l’esistenza del sodalizio e la partecipazione degli indagati, il Tribunale riteneva superata la presunzione di pericolosità. La motivazione si basava su due pilastri: il considerevole lasso di tempo intercorso tra i fatti contestati (risalenti al periodo 2020-2021) e il momento della decisione (2024), e le specifiche vicende personali degli indagati. Per uno, si evidenziava un progressivo allontanamento, seppur non volontario, dal gruppo criminale; per l’altro, un ruolo marginale e una personalità non allarmante. In sostanza, il giudice del riesame ha ritenuto che lo “iato temporale” avesse reso non più attuali i rischi che la misura cautelare intendeva prevenire.

Il Ricorso del Pubblico Ministero e il Ruolo delle Esigenze Cautelari

Il Procuratore della Repubblica ricorreva in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avesse errato. Secondo l’accusa, la natura stessa del sodalizio, altamente organizzato e ancora operativo, e la gravità dei reati avrebbero dovuto rendere irrilevante il tempo trascorso. Per il Pubblico Ministero, la presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere, prevista dall’articolo 275, comma 3, c.p.p., non poteva essere superata da un mero dato cronologico, specialmente considerando che l’allontanamento di uno degli indagati non era stato spontaneo ma imposto dai vertici dell’organizzazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la correttezza del ragionamento del Tribunale della Libertà. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: la presunzione di pericolosità per i reati di criminalità organizzata è relativa e non assoluta. Questo impone al giudice di compiere sempre una valutazione individualizzata e concreta dell’attualità delle esigenze cautelari. Il tempo trascorso non è un elemento da considerare isolatamente, ma uno dei fattori cruciali, insieme ad altri, per verificare se il pericolo che giustificava la misura esista ancora al momento della decisione.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente valorizzato elementi specifici e personali: l’allontanamento di un indagato dalla consorteria (a prescindere dalla sua volontarietà) e la precedente esperienza di custodia per l’altro, elementi che, uniti al lungo silenzio investigativo, indicavano un superamento della presunzione. La Corte ha inoltre precisato che la perdurante operatività del gruppo criminale e la commissione di reati da parte di altri associati non possono essere automaticamente estese a carico di chi, da anni, non risulta più coinvolto nelle attività illecite.

Conclusioni

La pronuncia riafferma che nessuna presunzione legale può trasformarsi in un automatismo applicativo che ignori l’evoluzione della situazione personale dell’indagato. La valutazione delle esigenze cautelari deve essere ancorata al presente (hic et nunc). Un significativo intervallo di tempo, privo di elementi negativi, può e deve essere considerato un fattore determinante per escludere l’attualità del pericolo di reiterazione del reato, anche di fronte a contestazioni di estrema gravità. Questa decisione sottolinea l’importanza di un’analisi caso per caso, che salvaguardi la libertà personale quando non sia strettamente necessario limitarla per finalità di sicurezza pubblica.

Il solo trascorrere del tempo è sufficiente a far decadere le esigenze cautelari per un reato associativo?
No, non è sufficiente da solo. Tuttavia, come chiarito dalla Corte, è un elemento fondamentale che, unito ad altri fattori individualizzati (come l’allontanamento dal gruppo o l’assenza di nuovi fatti criminosi), può portare a ritenere superata la presunzione di pericolosità e quindi a negare la sussistenza attuale delle esigenze cautelari.

La pericolosità del gruppo criminale si applica automaticamente a tutti i suoi presunti membri ai fini della custodia in carcere?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che la valutazione deve essere sempre individualizzata. Sebbene la pericolosità del sodalizio sia un punto di partenza, il giudice deve esaminare il ruolo specifico, la condotta e il percorso successivo di ogni singolo indagato per determinare se, al momento attuale, egli rappresenti ancora un pericolo concreto.

Cosa significa superare la ‘presunzione relativa’ di pericolosità prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p.?
Significa dimostrare, attraverso elementi di fatto concreti e specifici relativi all’indagato, che, nonostante la gravità del reato contestato, non sussiste più un attuale e concreto pericolo di reiterazione del reato, di inquinamento delle prove o di fuga. Nel caso di specie, il lungo tempo trascorso e il distacco dal contesto criminale sono stati ritenuti elementi idonei a vincere tale presunzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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