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Esigenze cautelari: il reato associativo escluso

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro la custodia in carcere. Anche se viene esclusa l’associazione per delinquere (art. 74), le esigenze cautelari possono persistere sulla base della gravità dei singoli reati di spaccio (art. 73), del pericolo di recidiva e dei collegamenti internazionali dell’imputato.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari: Persistono Anche Senza il Reato Associativo?

La valutazione delle esigenze cautelari rappresenta uno dei momenti più delicati del procedimento penale, bilanciando la libertà personale dell’indagato con la tutela della collettività. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale: l’esclusione del reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90) non comporta automaticamente il venir meno della necessità di mantenere una misura come la custodia in carcere. Vediamo perché.

I Fatti del Caso

Un soggetto, detenuto in carcere per reati in materia di stupefacenti, si vedeva rigettare la richiesta di revoca della misura. Proponeva quindi ricorso per cassazione, basando le sue argomentazioni su un presupposto principale: in altri procedimenti, era stata esclusa la sussistenza del reato associativo (art. 74) a carico dei suoi presunti complici. Secondo la difesa, tale esclusione avrebbe dovuto estendersi anche a lui, eliminando di conseguenza le esigenze cautelari che giustificavano la detenzione.

Il ricorrente sosteneva, inoltre, una violazione di legge riguardo all’attualità e concretezza del pericolo, sempre in relazione all’esclusione del vincolo associativo.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del tribunale del riesame. La decisione si fonda su un principio cardine della procedura penale: la necessaria correlazione tra i motivi di ricorso e la motivazione del provvedimento impugnato.

L’Autonoma Valutazione delle Esigenze Cautelari

Il punto centrale della sentenza è che il ricorso del difensore ignorava completamente il fulcro della motivazione del tribunale. Quest’ultimo, infatti, non aveva basato la persistenza delle esigenze cautelari sulla partecipazione all’associazione, ma su altri elementi concreti e gravi:

* La “pletora di reati fine”: l’imputato era accusato di numerosi e gravi episodi di spaccio di stupefacenti (reati previsti dall’art. 73 D.P.R. 309/90).
* Collegamenti internazionali: la grande quantità di droga movimentata suggeriva l’esistenza di contatti internazionali, che aumentavano il pericolo di fuga.
* Pericolo di recidiva: la gravità dei fatti e la loro sistematicità indicavano un concreto e attuale rischio che l’imputato, se liberato, potesse commettere altri reati della stessa specie.

In sostanza, il tribunale aveva già considerato l’esclusione della fattispecie associativa, ma aveva concluso che il pericolo sociale derivante dai singoli reati di spaccio era più che sufficiente a giustificare la misura cautelare.

Il Principio della Correlazione tra Motivi e Decisione

La Corte di Cassazione ha ribadito che un ricorso è inammissibile quando i motivi sono “intrinsecamente indeterminati” o, come in questo caso, “difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato”. Il ricorrente non può ignorare la motivazione del giudice e proporre argomenti che non la scalfiscono. La difesa si è limitata a un’affermazione apodittica (l’esclusione dell’art. 74 elimina ogni esigenza cautelare), senza confrontarsi con il ragionamento del tribunale basato sulla gravità dei reati fine e sul pericolo di recidiva.

le motivazioni

La motivazione della Corte si basa sulla netta distinzione tra il reato associativo e i singoli reati che l’associazione si prefigge di commettere (i “reati fine”). La pericolosità sociale di un individuo non deriva esclusivamente dalla sua partecipazione a un sodalizio criminale, ma può essere desunta anche dalla gravità, dalle modalità e dalla reiterazione dei singoli delitti. Il tribunale del riesame aveva correttamente fondato il suo giudizio sulla persistenza di un elevato rischio di recidiva e di fuga, basandosi sulla “pletora di reati fine ex art. 73”, sull’ingente quantitativo di stupefacenti e sui provati “collegamenti internazionali” che rendevano difficile rintracciare l’imputato. Pertanto, le esigenze cautelari erano state ritenute attuali e concrete a prescindere dall’accusa di associazione, rendendo il motivo di ricorso non pertinente rispetto al ragionamento del giudice.

le conclusioni

La sentenza rafforza un principio fondamentale: la valutazione delle esigenze cautelari deve essere condotta in modo concreto e non astratto. L’esclusione di una circostanza aggravante o di un’autonoma figura di reato, come quella associativa, non produce un effetto automatico di attenuazione della pericolosità. Il giudice deve valutare tutti gli elementi a disposizione per determinare se il rischio di fuga, inquinamento probatorio o reiterazione del reato sia ancora attuale. Per la difesa, ciò significa che ogni ricorso deve essere mirato a smontare le specifiche argomentazioni del provvedimento impugnato, pena la sua inammissibilità.

L’esclusione del reato di associazione a delinquere (art. 74 DPR 309/90) comporta automaticamente la revoca della custodia in carcere?
No. Secondo la Corte, le esigenze cautelari devono essere valutate in concreto. Anche se cade l’accusa di associazione, la misura cautelare può essere mantenuta se sussistono gravi indizi e un concreto pericolo (di fuga o di reiterazione del reato) basati sui singoli reati contestati, come lo spaccio di stupefacenti (i cosiddetti “reati fine”).

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati dal difensore non si confrontavano con le reali motivazioni dell’ordinanza impugnata. La difesa si è concentrata sull’esclusione del reato associativo, mentre il tribunale aveva basato la sua decisione sulla persistenza del pericolo di recidiva derivante dalla gravità dei numerosi reati di spaccio e dai collegamenti internazionali dell’imputato.

Cosa significa che i motivi di ricorso devono avere “necessaria correlazione” con il provvedimento impugnato?
Significa che l’atto di impugnazione non può limitarsi a critiche generiche o astratte, ma deve contestare specificamente le ragioni e gli argomenti logico-giuridici su cui si fonda la decisione che si intende appellare. In caso contrario, come in questa vicenda, il ricorso risulta inefficace e quindi inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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