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Esigenze cautelari e spaccio: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti. La sentenza chiarisce che le esigenze cautelari, come il pericolo di recidiva, sono giustificate non solo da singoli episodi, ma da un’attività di spaccio costante e organizzata, desumibile da intercettazioni, dichiarazioni di co-indagati e collegamenti con ambienti criminali, anche in assenza di un’associazione a delinquere strutturata.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari nello Spaccio: Quando Scattano gli Arresti Domiciliari?

La valutazione delle esigenze cautelari rappresenta un punto cruciale nel diritto processuale penale, specialmente in materia di reati legati agli stupefacenti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi per cui un’attività di spaccio, anche se non inserita in una vera e propria associazione criminale, può giustificare l’applicazione di misure come gli arresti domiciliari. Il caso analizzato riguarda un soggetto accusato di concorso in detenzione di sostanze stupefacenti, la cui difesa contestava la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza sia delle concrete esigenze di cautela.

I Fatti: Un’Attività di Spaccio Organizzata e Territoriale

Il Tribunale del Riesame di Salerno aveva confermato un’ordinanza di arresti domiciliari nei confronti di un individuo, basandosi su un solido quadro indiziario. Le prove principali provenivano da intercettazioni ambientali e dalle dichiarazioni di un co-indagato. Da queste emergeva non un’attività occasionale, ma uno spaccio costante e organizzato, gestito in modo esclusivo dall’indagato presso la propria abitazione, situata nello stesso stabile del co-indagato.

L’attività era talmente strutturata che l’indagato aveva manifestato intolleranza verso la concorrenza del vicino, arrivando a lamentarsi con una figura di spicco della criminalità locale per dirimere il conflitto. Questo, unito ai contatti con un noto capo di un sodalizio dedito al traffico di stupefacenti e ai precedenti penali dell’indagato, delineava un profilo di elevata pericolosità sociale.

Il Ricorso in Cassazione sulle Esigenze Cautelari

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo due motivi principali:
1. Assenza di motivazione sulla condotta concorsuale: Secondo il ricorrente, le prove indicavano solo una collaborazione passata e un singolo episodio recente, senza dimostrare una stabile attività di spaccio attuale.
2. Difetto di motivazione sulle esigenze cautelari: La difesa contestava il collegamento tra la misura cautelare e un’inesistente attività criminale protratta nel tempo, ritenendo che si trattasse di un episodio isolato.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e inammissibile. I giudici hanno chiarito che il ricorso in Cassazione per le misure cautelari è consentito solo per violazioni di legge o manifesta illogicità della motivazione, non per una nuova valutazione dei fatti.

Nel merito, il ragionamento del Tribunale del Riesame è stato ritenuto coerente e logico. Le risultanze investigative (intercettazioni e dichiarazioni) dimostravano in modo univoco che l’indagato non era coinvolto in un’attività occasionale, ma gestiva uno spaccio continuo e organizzato, con una chiara logica di controllo territoriale. La collaborazione con il co-indagato si inseriva in questa più ampia e articolata attività di commercializzazione.

La Corte ha sottolineato come la pianificazione del territorio operata dal sodalizio criminale di riferimento fornisse una giustificazione e una logica all’attività del ricorrente, anche se questa non era strutturata all’interno dell’associazione stessa. Pertanto, il pericolo di reiterazione del reato era concreto e attuale. Questo pericolo, hanno precisato i giudici, si fonda su una valutazione prognostica basata su elementi concreti come la personalità dell’indagato, i precedenti penali (per armi, rapina e furto) e le modalità esecutive del reato, che tutti insieme indicavano un’alta probabilità di future condotte criminose.

Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

La decisione riafferma un principio fondamentale: per giustificare le esigenze cautelari non è necessaria l’appartenenza formale a un’associazione criminale. Un’attività di spaccio costante, organizzata e con logiche di controllo territoriale, unita a un profilo personale dell’indagato che denota una propensione al crimine, costituisce una base solida per ritenere attuale e concreto il pericolo di recidiva. La prognosi di pericolosità non richiede la previsione di una specifica occasione futura per delinquere, ma si fonda su un’analisi complessiva della condotta e della personalità del soggetto, rendendo adeguata una misura come gli arresti domiciliari per neutralizzare tale rischio.

Le dichiarazioni di un co-indagato sono sufficienti per una misura cautelare?
Sì, possono esserlo se, come nel caso di specie, sono riscontrate da altri elementi di prova univoci, come il contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali.

Cosa si intende per attualità del pericolo di recidiva ai fini delle esigenze cautelari?
Si intende una prognosi di probabile ricaduta nel delitto basata su elementi concreti e attuali, come le modalità del reato, la personalità dell’indagato e i suoi precedenti penali. Non è necessario prevedere una specifica e imminente occasione di reato, ma valutare la probabilità di devianze future.

Un’attività di spaccio individuale può giustificare le esigenze cautelari come se fosse un’associazione criminale?
Sì, se l’attività, pur non essendo strutturata all’interno di un’associazione, si rivela costante, organizzata e inserita in una logica di pianificazione e controllo territoriale operata da un sodalizio criminale. In tal caso, la pericolosità sociale e il rischio di reiterazione possono essere ritenuti elevati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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