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Esigenze cautelari e spaccio: la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro la misura cautelare del divieto di dimora per illecita cessione di stupefacenti. La Corte ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, basandosi sulla natura organizzata e continuativa dell’attività di spaccio, che denotava professionalità e un concreto pericolo di reiterazione del reato, confermando la legittimità della misura applicata.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari e Spaccio: Quando il Pericolo di Recidiva Giustifica il Divieto di Dimora

La valutazione delle esigenze cautelari rappresenta un punto cruciale nel bilanciamento tra la libertà personale dell’indagato e la tutela della collettività. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 25735/2025, offre importanti chiarimenti su come il pericolo concreto di reiterazione del reato, specialmente in materia di stupefacenti, possa legittimare l’applicazione di misure restrittive come il divieto di dimora.

Il Caso: Divieto di Dimora per Spaccio di Stupefacenti

Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli, che confermava una misura cautelare del divieto di dimora nella provincia di Caserta a carico di un individuo indagato per illecita cessione continuata di sostanze stupefacenti. Secondo i giudici di merito, sussistevano gravi indizi di colpevolezza e specifiche esigenze cautelari che giustificavano tale misura.

La difesa dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione, basando la propria argomentazione su tre motivi principali:
1. La richiesta di riqualificare il reato in un’ipotesi di ‘lieve entità’, data l’unicità della cessione, la modesta quantità di sostanza e l’assenza di precedenti penali.
2. La contestazione della sussistenza delle esigenze cautelari, ritenendo illogica la motivazione del Tribunale sul pericolo di recidiva.
3. La presunta inadeguatezza della misura, suggerendo un’alternativa meno gravosa come il divieto di dimora limitato a un singolo comune.

Le Esigenze Cautelari secondo la Cassazione

La Corte Suprema ha esaminato attentamente i motivi del ricorso, focalizzandosi in particolare sulla questione delle esigenze cautelari. Il secondo motivo di ricorso lamentava che il pericolo di reiterazione del reato fosse stato affermato in modo apodittico, senza un reale ancoraggio alle circostanze concrete.

La Cassazione ha respinto questa tesi, giudicandola infondata. I giudici hanno sottolineato come la motivazione del Tribunale fosse, al contrario, logica e conforme ai principi giurisprudenziali. Il pericolo di recidiva non era stato presunto, ma correttamente desunto da elementi fattuali specifici.

In particolare, sono state valorizzate le modalità di svolgimento dei fatti: l’attività di spaccio non era occasionale, ma continuativa e gestita da un gruppo di quattro persone con una precisa ripartizione dei compiti. Questa organizzazione, secondo la Corte, palesava ‘ottime capacità di organizzazione e un’allarmante consuetudine ai traffici illeciti’.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile nel suo complesso. Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla derubricazione del reato a ‘lieve entità’, i giudici lo hanno ritenuto inammissibile per carenza di interesse. Hanno spiegato che, anche se il reato fosse stato riqualificato, la pena massima prevista avrebbe comunque consentito l’applicazione della misura cautelare non custodiale del divieto di dimora. Di conseguenza, l’accoglimento di tale motivo non avrebbe portato alcun vantaggio concreto all’indagato in quella fase procedimentale.

Per il secondo e terzo motivo, legati alle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura, la Corte ha confermato la correttezza della valutazione operata dai giudici di merito.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza si fonda su un’analisi rigorosa degli elementi che denotano la pericolosità sociale dell’indagato. La Corte ha stabilito che la ‘dimestichezza’ mostrata nello svolgimento dei compiti criminali e un precedente arresto per un reato della stessa natura costituivano indici concreti e attuali del pericolo di recidiva. Non si trattava di una valutazione astratta, ma di un giudizio basato su fatti specifici emersi dalle indagini.

Inoltre, la Corte ha ritenuto irrilevante, ai fini della valutazione del pericolo, l’attività lavorativa che l’indagato svolgeva in un’altra città. Secondo i giudici, questo elemento non era sufficiente a ‘frustrare’ il rischio di reiterazione del reato, evidentemente ben radicato. La decisione del Tribunale del Riesame è stata quindi considerata logicamente motivata e giuridicamente corretta, giustificando la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la valutazione delle esigenze cautelari deve basarsi su un’analisi concreta e individualizzata del caso, non su presunzioni astratte. Elementi come la professionalità, l’organizzazione, la continuità dell’azione criminale e i precedenti specifici sono indicatori chiave per stabilire il pericolo di recidiva. La sentenza chiarisce che un’attività lavorativa lecita, di per sé, non è sufficiente a neutralizzare un giudizio di pericolosità sociale fondato su elementi fattuali così solidi. Il divieto di dimora si conferma una misura adeguata a fronteggiare tale pericolo quando l’attività illecita è strettamente legata a un determinato territorio.

Perché la richiesta di riqualificare il reato in ‘lieve entità’ è stata dichiarata inammissibile?
La Corte ha ritenuto la richiesta inammissibile per carenza di interesse, poiché anche con la riqualificazione, la pena massima prevista per il reato meno grave avrebbe comunque permesso l’applicazione della misura cautelare non custodiale del divieto di dimora. L’indagato non avrebbe ottenuto alcun vantaggio concreto.

Su quali elementi concreti si è basata la Corte per confermare il pericolo di recidiva?
La Corte ha confermato il pericolo di recidiva basandosi sulle specifiche modalità dei fatti: l’attività di spaccio era continuativa e svolta da un gruppo organizzato di quattro persone con compiti ripartiti. Questi elementi, uniti a un precedente arresto per un reato simile, dimostravano professionalità, consuetudine ai traffici illeciti e una concreta pericolosità sociale.

L’avere un’attività lavorativa è sufficiente a escludere le esigenze cautelari?
No. Secondo la sentenza, l’attività lavorativa svolta dall’indagato in un’altra città non è stata ritenuta sufficiente a neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato, poiché questo era fondato su elementi concreti che indicavano una perdurante pericolosità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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