Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25735 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25735 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato in Gambia il 05/03/1999, avverso l’ordinanza in data 21/03/2025 del Tribunale di Napoli, Sezione per il riesame;
letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 21/03/2025, il Tribunale di Napoli, Sezione per il riesame, ha confermato l’ordinanza con cui, il precedente 01/03/2025, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva applicato, nei confronti di NOME COGNOME la misura del divieto di dimora in provincia di Caserta in relazione al delitto di illecita cessione continuata di sostanze stupefacenti, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del COGNOME, avv.to NOME COGNOME che ha articolato tre motivi di ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, inosservanza della norma processuale di cui all’art. 273 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in punto di denegata riqualificazione dei fatti in termini di lieve entità.
Sostiene, in specie, che, nella decisione impugnata, il Tribunale distrettuale avrebbe respinto la prospettata richiesta di derubricazione col generico rilievo che ne precludevano, in radice, l’accoglimento i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, ancorché deponessero in senso contrario l’unicità della cessione effettuata, l’unicità della sostanza commercializzata, lo scarso valore ponderale della stessa e la condizione di incensuratezza dell’indagato.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 274, comma 1, e 275, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza di esigenze cautelari.
Assume al riguardo che, nel provvedimento del Tribunale distrettuale, la ritenuta sussistenza di esigenze preventive correlate, in specie, al pericolo di reiterazione, sarebbe stata motivata in maniera palesemente illogica, avuto riguardo all’ermeneusi delle evocate disposizioni processuali invalsa nella giurisprudenza di legittimità, risultando smentita dalle circostanze concrete l’affermata gravità dei fatti e contrastando con le risultanze processuali l’asserita pericolosità dell’agente, posto che si sarebbe apoditticamente ritenuto la sua attività illecita connotata da professionalità e abitualità.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 274, comma 1, e 275, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per carenza, in punto di ritenuta inadeguatezza al contenimento delle esigenze di cautela di modalità esecutive della misura meno gravose.
Sostiene, in particolare, che, nella decisione impugnata, a fronte di una specifica richiesta di parte, non si sarebbe in alcun modo argomentata la denegata modifica delle modalità esecutive della misura in atto, mercè il contenimento dell’ambito territoriale cui afferiva il divieto di dimora al solo comune di San Nicola La Strada, integrando gli estremi di una motivazione apparente il riferimento alla gravità dei fatti e all’entità della pena irroganda i
concreto effettuato dai giudici cautelari per giustificare la propria decisione reiettiva.
Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall’art. 5-duodecies del d.l. n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 199 del 2022 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. n. 75 del 2023, convertito, con modificazioni, nella legge n. 112 del 2023.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è manifestamente infondato per le ragioni che, di seguito, si espongono.
Inammissibile è il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in relazione a quanto previsto dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, inosservanza della norma processuale di cui all’art. 273 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, in punto di denegata riqualificazione dei fatti in termini di lieve entità, sostenendo che, con la decisione impugnata, si sarebbe erroneamente ed immotivatamente respinta la richiesta di derubricazione del delitto in contestazione col rilievo che ne impedivano l’accoglimento le modalità e le circostanze dell’azione, sebbene inducessero a diversa conclusione l’unicità della cessione effettuata, l’unicità della sostanza commercializzata, lo scarso valore ponderale della stessa e la condizione di incensuratezza dell’indagato.
Ritiene in proposito il Collegio che l’articolata doglianza e, per l’effetto, i motivo di ricorso con cui essa è stata dedotta risultano inammissibili per carenza di interesse, atteso che l’eventuale accoglimento della richiesta di riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 non recherebbe alla difesa alcun vantaggio concreto, ove si consideri che i limiti edittali di pena stabiliti in relazione al meno grave delitto di cui alla citata disposizione e, in specie, la pena massima per esso comminata dal legislatore (pari a cinque anni di reclusione) legittimerebbero comunque, ex art. 280, comma 1, cod. proc. pen., l’adozione della misura cautelare non custodiale di fatto applicata all’indagato.
Tanto chiarito, deve, comunque, evidenziarsi che, alla stregua della ricostruzione della vicenda concreta effettuata dai giudici cautelari, la denegata derubricazione risulta logicamente motivata, oltre che conforme all’ermeneusi
che della menzionata norma incriminatrice offre la giurisprudenza di legittimità, costituendo principio consolidato quello secondo cui «In tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la fattispecie autonoma di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è configurabile nelle ipotesi di c.d. piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati, che ricom prende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti» (così Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, COGNOME, Rv. 284149-02).
3. Del tutto infondato è il secondo motivo del ricorso, con cui ci si duole dell’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 274, comma 1, e 275, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e del vizio di motivazione per manifesta illogicità, in punto di ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, sostenendo che, nel provvedimento impugnato, sarebbe stato illegittimamente ed illogicamente individuato un pericolo di recidivanza, posto che l’asserita gravità dei fatti risulterebbe smentita dalle circostanze concrete e la pericolosità dell’agente sarebbe stata apoditticamente affermata.
Ritiene in proposito il Collegio che i giudici della cautela, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, abbiano motivato in maniera logica e altresì conforme all’ermeneusi delle evocate disposizioni processuali offerta dalla giurisprudenza di legittimità, l’affermata sussistenza di un pericolo di recidivanza connotato da concretezza e attualità.
Ciò perché tale pericolo è stato correttamente inferito dalle particolari modalità di svolgimento dei fatti – la continuativa attività di spaccio era svolta, invero, da quattro individui che avevano avuto cura di ripartirsi compiti nel cui espletamento talvolta si avvicendavano, così palesando ottime capacità di organizzazione e un’allarmante consuetudine ai traffici illeciti – e dalla pericolosità sociale dell’indagato – ne costituiscono indice la dimestichezza dallo stesso mostrata nello svolgimento dei compiti attribuitigli e il precedente arresto per un delitto di analoga natura – sicché non può ritenersi, come sostenuto, che la sussistenza del rischio di condotte recidivanti sia stata arbitrariamente e illegittimamente affermata.
Né, per altro verso, appare in qualche modo viziato il rilievo dei giudici della cautela secondo cui il pericolo di reiterazione non avrebbe potuto ritenersi frustrato dall’attività lavorativa svolta, in Firenze, dall’indagato, essendosi puntualmente posto in rilievo che militava nel senso della perduranza
dell’indicata esigenza preventiva la discontinuità dell’attività e, per l’effetto, ridotto importo dei guadagni da essa derivanti.
4. Manifestamente infondato è, infine, anche il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta l’inosservanza delle norme processuali di cui agli artt. 274, comma
1, e 275, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per carenza, in punto di ritenuta inadeguatezza al contenimento delle esigenze cautelari di
modalità esecutive della misura meno gravose, sostenendo che, nella decisione impugnata, a fronte di una specifica richiesta di parte, non si sarebbe in alcun
modo argomentato il rigetto dell’istanza di modifica del vincolo personale.
Rileva, infatti, il Collegio che il Tribunale distrettuale ha puntualmente motivato, pur se in maniera sintetica, l’affermata inadeguatezza alla tutela delle
evidenziate esigenze preventive di modalità esecutive del disposto vincolo personale meno afflittive, chiarendo, in specie, che l’allontanamento dal territorio
della provincia di Caserta costituiva presidio appena sufficiente a frustrare il rimarcato rischio di condotte recidivanti.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’01/07/2025