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Esigenze cautelari e mafia: la Cassazione decide

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un condannato per trasferimento fraudolento di valori con aggravante mafiosa. La Corte conferma la custodia in carcere, ribadendo la prevalenza della presunzione di adeguatezza di tale misura per specifici reati e sottolinea come il solo decorso del tempo non sia sufficiente a far venir meno le esigenze cautelari.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari e Reati di Mafia: la Cassazione sulla Presunzione di Pericolosità

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 34585 del 2024, offre un’importante analisi sulla persistenza delle esigenze cautelari per reati aggravati dal metodo mafioso. Il caso riguarda un ricorso avverso il rigetto dell’istanza di sostituzione della custodia in carcere. La decisione ribadisce la solidità della presunzione legale che associa determinati reati a un’elevata pericolosità sociale, limitando la rilevanza di fattori come il tempo trascorso.

I Fatti del Caso

L’imputato, già condannato in primo grado a cinque anni di reclusione con rito abbreviato, si trovava in custodia cautelare in carcere per tre episodi di trasferimento fraudolento di valori, aggravati dall’aver agevolato un’associazione mafiosa. La sua richiesta di sostituire la misura detentiva con una meno afflittiva era stata respinta sia dal GUP che dal Tribunale in sede di appello.

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che i giudici di merito non avessero adeguatamente motivato il diniego. Tra gli argomenti portati vi erano l’assenza di precedenti penali, il ruolo ritenuto marginale dell’imputato, il sequestro delle sue attività commerciali (che renderebbe impossibile la reiterazione del reato) e il decorso del tempo. Secondo la difesa, il Tribunale si sarebbe limitato ad applicare la presunzione di adeguatezza della misura carceraria prevista dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, senza una valutazione concreta del caso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per genericità. I giudici hanno chiarito i limiti del giudizio di appello avverso i provvedimenti in materia di misure cautelari. Il Tribunale non è tenuto a riesaminare da capo la sussistenza delle condizioni per l’applicazione della misura, ma deve limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la congruità della motivazione dell’ordinanza impugnata, soprattutto in relazione a eventuali fatti nuovi.

Nel caso specifico, elementi come l’incensuratezza o il disagio psicologico del figlio dell’imputato non sono stati considerati fatti nuovi idonei a modificare il quadro cautelare. La Corte ha quindi confermato la decisione del Tribunale, ritenendola correttamente motivata.

La persistenza delle esigenze cautelari e la presunzione legale

Il punto centrale della sentenza riguarda la valutazione delle esigenze cautelari. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: per i reati di particolare gravità, come quelli con aggravante mafiosa, opera una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola custodia in carcere. Questa presunzione, stabilita dall’art. 275 c.p.p., prevale sulla norma generale.

Ciò significa che spetta alla difesa fornire una prova contraria per superare tale presunzione. Tuttavia, il semplice decorso del tempo o la buona condotta durante la detenzione non sono, di per sé, sufficienti. Questi elementi hanno una valenza neutra se non accompagnati da altri fattori che dimostrino concretamente un’attenuazione della pericolosità sociale. Nel caso in esame, i reati contestati erano stati commessi fino al 2020, un arco temporale non ritenuto sufficientemente rilevante da incidere sul giudizio di pericolosità.

Il ruolo dell’imputato e l’inidoneità di misure alternative

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il Tribunale aveva evidenziato il ruolo non marginale dell’imputato, inserito stabilmente in un ‘sistema’ criminale con professionalità e per un lungo periodo. Queste modalità esecutive sono state considerate indicative di una pericolosità tale da rendere la custodia in carcere l’unica misura idonea a prevenire il pericolo di recidiva.

le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su due pilastri. In primo luogo, il perimetro limitato del giudizio di appello cautelare, che non comporta una rivalutazione ex novo del quadro indiziario e delle esigenze, ma un controllo sulla logicità e correttezza della decisione impugnata alla luce di specifici motivi, specie se basati su fatti nuovi. In secondo luogo, la forza della presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p. per i reati connessi alla criminalità organizzata. La Corte ha specificato che per vincere tale presunzione non basta invocare il tempo trascorso, ma occorrono elementi concreti che dimostrino un reale mutamento della personalità dell’imputato e un’effettiva attenuazione del pericolo di reiterazione dei reati. Il Tribunale, secondo la Cassazione, ha correttamente applicato questi principi, valorizzando la gravità delle condotte, le modalità esecutive e il ruolo tutt’altro che secondario del ricorrente.

le conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla gestione delle misure cautelari per i reati di mafia. La decisione sottolinea che la presunzione di pericolosità non è una formula vuota, ma un criterio guida che impone un onere probatorio rafforzato alla difesa per ottenere un’attenuazione della misura. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia ribadisce che le istanze di revisione delle misure cautelari devono essere fondate su elementi concreti e nuovi, capaci di incidere realmente sulla valutazione della pericolosità sociale dell’imputato, andando oltre argomentazioni generiche come il mero trascorrere del tempo.

Il semplice passare del tempo può ridurre o eliminare le esigenze cautelari in carcere per reati di mafia?
No. Secondo la sentenza, il mero decorso del tempo ha una valenza neutra e non è sufficiente, da solo, a determinare un’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari. Deve essere accompagnato da ulteriori elementi che dimostrino un concreto mutamento della situazione di pericolosità.

Qual è il valore della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.?
Questa presunzione è ‘relativa’ ma ‘prevalente’. Ciò significa che per i reati gravi ivi indicati (incluso quello con aggravante mafiosa), si presume che le esigenze cautelari esistano e che solo il carcere sia una misura adeguata. Tale presunzione può essere superata solo con una ‘prova contraria’, che non può consistere solo nel tempo trascorso.

In un appello contro il rigetto di un’istanza di revoca della misura cautelare, il giudice riesamina da capo tutte le condizioni?
No. Il giudice dell’appello non deve riesaminare da zero la sussistenza delle condizioni che hanno originariamente giustificato la misura. Il suo controllo è limitato a verificare che l’ordinanza impugnata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata, specialmente in relazione a eventuali fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, allegati dalla difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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