Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12311 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12311 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/02/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette conclusioni e la memoria difensiva del difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che ha insistito per il rigetto del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
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GLYPH Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, Direzione Distrettuale Antimafia, impugna l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Catanzaro il 21 novembre con la quale è stato rigettato l’appello proposto dal
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Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del 15 aprile con la quale il Tribunale di Vibo Valentia aveva respinto l’istanza tesa ad ottenere l’applicazione nei confronti di NOME COGNOME della misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’articolo 416-bis cod. pen., per il quale il COGNOME aveva riportato condanna, in esito al giudizio di primo grado, alla pena di anni 18 di reclusione.
GLYPH Il Pubblico Ministero ricorrente denuncia violazione di legge (art.t. 274 e 275 cod. proc. pen.) e cumulativi vizi di motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non sussistente il pericolo di reiterazione di condotte dello stesso genere. Osserva che il Tribunale ha sminuito l’obiettiva kl gravità della condotta, attestata dalla condanna ad una pena molto elevata, evidenziando che i fatti sono risalenti (in particolare si contesta la condotta di partecipazione ad un’associazione commessa fino al 19 dicembre 2019) e ha depotenziato la valenza della condanna prospettando possibili esiti alternativi del processo poiché la condanna non è ancora definitiva e, quindi, con valutazioni eccentriche rispetto alla valutazione del pericolo di reiterazione, presunto in relazione al titolo di reato e allegato dal pubblico ministero a fondamento della richiesta cautelare.
Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis cod. proc. pen. modificato dall’art. 11, comma 3, d.l. n. 29 del 6 giugno 2024, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 120 del 8 agosto 2024 n. 120.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Pubblico Ministero deve essere rigettato.
2.È pacifico nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione che nel caso di ricorso avverso riesame in tema di misure cautelari personali, le doglianze attinenti alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se rientrano nella previsione di cui all’art. 606, comma primo / lett. e) ( cod. proc. pen., concernente mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Esula, quindi, dalle funzioni della Cassazione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito ed, in particolare, prima, del giudice al quale è richiesta l’applicazione della misura e poi, eventualmente, del giudice del riesame (Sez. 5, n. 806 del 08/03/1993, Arena, Rv. 194139).
2. Il perimetro di valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, nel caso di condanna intervenuta in primo grado, è contenuto nella disposizione recata dall’art. 275, comma 1-bis,cod. proc. pen. secondo cui, in tale evenienza, l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto “anche” dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti, dai quali possa emergere che, a seguito della sentenza, risulta taluna delle esigenze indicate dall’art. 274, comma 1, lett. b) e e.
La disposizione in esame non prevede alcun automatismo di applicazione della misura per effetto della condanna e della pena irrogata.
Cionondimeno, come precisato nella giurisprudenza di legittimità, la pronuncia di una sentenza di condanna costituisce di per sé un fatto nuovo che legittima l’emissione di una misura coercitiva personale e impone al giudice di verificare la sussistenza delle esigenze cautelari indicate dall’art. 274, comma primo, lett. b) e c), cod. proc. pen., tenendo conto degli elementi che emergono dalla pronuncia del giudice della cognizione, dovendosi, a tal fine, escludere alcun vincolo derivante da un precedente giudicato cautelare favorevole al condannato (Sez. 6, n. 20304 del 30/03/2017, COGNOME, Rv. 269956): in tale prospettiva vanno, dunque, esaminati sia le modalità dei fatti, quali risultano dalla sentenza di condanna, sia elementi sopravvenuti idonei a rappresentare la sussistenza delle esigenze cautelari.
Le coordinate di valutazione del giudice funzionali alla verifica della necessità della cautela, in presenza di condanna a pena elevata in relazione ai reati per i quali opera la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari (e adeguatezza della sola misura della custodia cautelare in carcere), ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., non mutano poiché, anche in tal caso, la presunzione può essere superata dalla ricorrenza di elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari e / fra questi, il tempo trascorso che, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale, privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari” (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, COGNOME, Rv. 286202 – 02)
4.11 Tribunale del riesame ha fatto coerente applicazione di tale principio spiegando che la condotta partecipativa dell’imputato è contestata, a fronte di un reato con condotta permanente quale l’attività di una cosca di ndrangheta operativa da anni risalenti, come perdurante fino al 19 dicembre 2019, quindi in epoca risalente rispetto al momento in cui la misura richiesta avrebbe dovuto
essere adottata essendo trascorsi almeno cinque anni dalla cessazione della condotta, in assenza di ulteriori elementi che denotino ulteriori contatti con i sodali.
L’imputato è figlio di un noto capoclan ristretto a regime di 41-bis Ord. Pen., e ha riportato una condanna a pena elevata, condanna che, tuttavia, non giustifica l’applicazione della misura custodiale che, a differenza della pena, è funzionale alla tutela del pericolo di reiterazione di condotte dello stesso genere che, pure nella logica del pericolo presunto, sono state ritenute smentite, secondo le ragionevoli argomentazioni del Tribunale, da altri e positivi elementi riconducibili al comportamento in concreto agito dall’imputato per un apprezzabile periodo temporale.
Le conclusioni dell’ordinanza impugnata, secondo le quali non sussistono le esigenze cautelari, cui si riferisce l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. risultano, pertanto, coerenti con i criteri di cui all’art. 275, comma 1-bis cod. proc. pen. e, quindi, incensurabili in questa sede anche sotto il profilo del vizio di violazione di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 25 febbraio 2025
La Consigliera relatrice
Il Presidente