Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10437 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10437 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Caserta il 13/10/1984
avverso l’ordinanza del 23/10/2024 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; udito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 ottobre 2024 il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 12 settembre 2024 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata allo stesso COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 contestatogli al capo a).
Avverso tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a tre motivi. 2.1. Con il primo motivo ha prospettato la violazione degli artt. 273 e 292 cod. proc. pen. e anche degli artt. 73 e 74 d.P.R. 309/90, con riferimento alla affermazione della sussistenza di gravi indizi a suo carico della partecipazione al sodalizio criminale di cui al capo a), quale stabile acquirente del gruppo facente capo a NOME COGNOME e NOME COGNOME omettendo di considerare, anzitutto, gli elementi a favore del ricorrente desumibili dall’ordinanza di custodia cautelare emessa a carico dello stesso COGNOME per il reato di estorsione aggravata commesso in danno dello stesso ricorrente, e anche la condanna del ricorrente medesimo per la partecipazione, quale stabile acquirente e fino al settembre 2019, della diversa e autonoma associazione per delinquere ex art. 74 d.P.R. 309/90 facente capo al Clan COGNOME – COGNOME, ritenuta dimostrata sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME COGNOME NOME e NOME COGNOME, che non potevano, però, essere a conoscenza di fatti successivi al settembre 2019, ai quali, invece, si riferisce la contestazione associativa in esame (nella quale il periodo di operatività della associazione era indicato da settembre 2019 ad agosto 2020). Dunque, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non si riferirebbero ai rapporti tra il ricorrente e il Clan COGNOME NOME, e sarebbero pertanto inidonee a giustificare l’affermazione della sussistenza della gravità indiziaria in ordine all partecipazione al sodalizio di cui al capo a). Anche le conversazioni intercettate sarebbero generiche su tale punto, con il conseguente carattere apodittico della affermazione della partecipazione del ricorrente a tale sodalizio quale stabile acquirente dallo stesso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato la violazione dell’art. 292, secondo comma, cod. proc. pen., quale conseguenza dell’omessa o comunque errata considerazione di un elemento favorevole all’indagato, costituito dall’essere stato vittima di una estorsione ascritta a NOME COGNOME già eccepita con la richiesta di riesame e a proposito della quale il Tribunale aveva colmato, indebitamente, la lacuna argomentativa presente nell’ordinanza applicativa della misura, evidenziando il trattamento di favore riservato a NOME COGNOME ritenendolo
dimostrativo della sua intraneità al sodalizio, trattandosi, in realtà, di condott incompatibili con l’affectio societatis.
2.3. Con il terzo motivo ha denunciato la violazione degli artt. 274, 284 e 292, comma 2, lett. c) e c-bis), cod. proc. pen., con riferimento alla affermazione della sussistenza di esigenze cautelari e alla errata considerazione del tempo trascorso dalla commissione del reato, oltre che delle proprie precedenti condanne, risalenti al 2012, e alla indebita sottovalutazione dello svolgimento di attività lavorativa.
Con memoria pervenuta il 13 febbraio 2025 il ricorrente, nel replicare alla memoria depositata dal Procuratore Generale, con la quale è stata sollecitata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ha ribadito la fondatezza di tutti e tr i motivi di ricorso, sottolineando, in particolare e con riferimento al primo motivo, la mancanza di elementi dimostrativi della prosecuzione della gestione da parte del ricorrente di una piazza di spaccio successivamente al settembre 2019 e anche di acquisiti di stupefacenti dal Clan COGNOME COGNOME in quanto le dichiarazioni utilizzabili dei collaboratori si riferivano solamente ad acquisti di stupefacent effettuati prima del settembre 2019 e dal Clan COGNOME – COGNOME (essendo stata riferita solamente da NOME COGNOME l’operatività fino al 2022 della piazza di spaccio in precedenza gestita dal ricorrente).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo e il secondo motivo, esaminabili congiuntamente in considerazione della sovrapponibilità delle censure con essi formulate, tutte relative alla valutazione degli elementi indiziari a carico e alla loro concludenza in ordine alla gravità indiziaria riguardo al reato associativo di cui al capo a), e anche alla errata e inadeguata considerazione di elementi ritenuti a discarico, sono inammissibili, essendo entrambi volti, tra l’altro riproducendo i corrispondenti motivi posti a sostegno della richiesta di riesame, a censurare l’apprezzamento e la valutazione degli elementi indiziari a carico, in particolare il contenuto delle dichiarazioni d collaboratori di giustizia e delle conversazioni intercettate, che, però, sono stat oggetto di considerazione non manifestamente illogica né fondata sul travisamento degli elementi indiziari, come tale non sindacabile sul piano delle valutazioni di merito nel giudizio di legittimità.
Va, dunque, in premessa, rammentato che le Sezioni Unite, con la sentenza Sebbar, hanno chiarito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla
valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione all massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; conf. Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01), e che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Rv. 263714 – 01).
Entrambi i motivi sollecitano, invece, una rilettura degli elementi indiziari considerati e posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, però, riservata in via esclusiva ai giudici del merito, senza che possa integrare alcun vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente pi adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944), senza neppure concretamente confrontarsi con l’ordinanza impugnata, che ha evidenziato puntualmente i molteplici, e invero univoci, elementi dimostrativi del rapporto di stabile fornitura di droga dal clan COGNOME a favore del ricorrente e come tale rapporto fosse funzionale alla attività del sodalizio, determinando, di conseguenza, l’inserimento nello stesso anche del ricorrente NOME COGNOME.
Nell’ordinanza impugnata, dopo aver ricostruito la genesi e lo svolgimento dell’indagine e illustrato la nascita del sodalizio facente capo ad NOME COGNOME e NOME COGNOME, divenuto egemone nel territorio di Caivano, sono state illustrate le modalità di funzionamento di tale associazione, caratterizzata dal controllo da parte del Clan COGNOME – COGNOME delle varie “piazze di spaccio” già esistenti in Caivano, sulle quali tale clan aveva assunto l’egemonia e il controllo, fornendo ai gestori protezione da altri clan rivali o concorrenti e pretendendo da essi l’acquisto della sostanza stupefacente da rivendere solamente attraverso i canali del clan (che, in tal modo aveva la garanzia di uno stabile mercato di smercio dello stupefacente, garantendosi, così, prospettive certe di operatività), imponendo anche il pagamento di una percentuale sui guadagni derivanti dall’attività di spaccio o di una tangente fissa per la protezione ricevuta.
In tale contesto è stata evidenziata la posizione del ricorrente, indicando gli elementi ritenuti dimostrativi della sua intraneità, quale stabile acquirente, a sodalizio.
In particolare, il Tribunale ha richiamato le concordi dichiarazioni di plurimi collaboratori di giustizia (COGNOME, NOME e NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME), circa la risalente e consolidata gestione da parte dei fratelli NOME e NOME COGNOME di una piazza di spaccio di cocaina (presso il Bar Moschino dagli stessi gestito), riportando anche gli stralci più significativi delle loro dichiarazi
alle pagg. 10, 11 e 12 della motivazione dell’ordinanza impugnata, in quanto chiaramente e univocamente dimostrative dello svolgimento di tale attività, posto che dalle stesse si desume agevolmente lo svolgimento di tale attività sin dal 2012 (prima rifornendosi di stupefacenti da COGNOME e successivamente dal Clan COGNOME – COGNOME).
E’ stato, poi, evidenziato anche il contenuto di alcune conversazioni intercettate (di cui sono stati riportati gli estratti più significativi e giudi univoca valenza dimostrativa alle pagg. 12, 13 e 14 della motivazione dell’ordinanza impugnata), dalle quali è stato ricavato, in modo non illogico, l’inserimento del ricorrente nel sodalizio, in quanto da tali conversazioni è stata desunta la stabilità e la regolarità del rapporto di fornitura di stupefacent (proseguito con il Clan COGNOME COGNOME dopo che questo aveva assunto il controllo del territorio di Caivano, subentrando al Clan COGNOME – COGNOME, traendone ulteriore conferma del rapporto stabile esistente tra l’attività svolta dal ricorrent e il clan e anche, soprattutto, della funzionalità di tale rapporto alla operatività d sodalizio.
Tali considerazioni, non certamente illogiche, ma, anzi, pienamente razionali, alla luce dell’univoco contenuto delle conversazioni intercettate, anche per come riportate nella motivazione dell’ordinanza impugnata, e, soprattutto, idonee a dar conto degli elementi ritenuti dimostrativi della consapevole partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo a), sono state censurate dal ricorrente esclusivamente sul piano dell’apprezzamento e della valutazione degli elementi a carico, in particolare delle conversazioni intercettate, proponendone una lettura alternativa, non consentita, come ricordato, nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità dell fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Va aggiunto, con riferimento alla eccezione sollevata con il secondo motivo, circa l’indebita integrazione da parte del Tribunale di una lacuna argomentativa presente nell’ordinanza applicativa della misura (a proposito della mancata considerazione da parte del Giudice per le indagini preliminari di un elemento a favore del ricorrente, costituito dall’essere stato vittima di una estorsione posta in essere nei suoi confronti da NOME COGNOME), che tale aspetto è stato considerato
dal Tribunale che, nel disattendere la censura, ha spiegato che l’elemento in questione non ha alcuna connotazione favorevole rispetto al quadro di gravità indiziaria a carico del ricorrente, evidenziando che il pagamento da parte di NOME COGNOME della sola somma di 1.000,00 euro per la protezione del suo esercizio commerciale, qualificata nelle conversazioni intercettate come un “regalo”, costituiva un trattamento di favore per l’COGNOME rispetto a quello riservato agli altri gestori di esercizi commerciali che con cadenza mensile doveva pagare il “pizzo”, traendone, invece, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la conferma della affiliazione al Clan COGNOME – NOME (posto che nella conversazione con NOME COGNOME il ricorrente viene appellato con il termine “compagno” e che dopo aver discusso del suddetto “regalo” i due discutono anche della gestione della piazza di spaccio), con la conseguente manifesta infondatezza anche di tale profilo di censura, non versandosi nell’ipotesi di mancata considerazione di un elemento favorevole o di integrazione di una ordinanza genetica incompleta.
3. Il terzo motivo, relativo alla attualità e concretezza delle esigenze cautelari, è manifestamente infondato.
Va, dunque, anzitutto rammentato che, in tema di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze di cautela sancita dall’art. 275, terzo comma, cod. proc. pen. può essere superata a condizione che si dia conto dell’avvenuto apprezzamento di elementi, evidenziati dalla parte o direttamente enucleati dagli atti, significativi in tal senso, afferenti, in specie, tipologia del delitto in contestazione, alle concrete modalità del fatto e alla sua risalenza, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero decorso del cosiddetto “tempo silente”, posto che è escluso, in materia, qualsiasi automatismo valutativo (Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024, COGNOME, Rv. 286698 – 01).
La presunzione relativa di pericolosità sociale posta dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. determina la necessità che il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei “pericula libertatis”, si limiti ad apprezzare le ragioni della sua esclusione, ove queste siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti, tra le quali, in particolare, rilevano sia il fattore trascorso dai fatti”, che deve essere parametrato alla gravità della condotta, sia la rescissione dei legami con il sodalizio di appartenenza, desumibile da indicatori concreti, quali le attività risocializzanti svolte in regime carcerario, volte reinserimento nel circuito lavorativo lecito, nonché l’assenza di comportamenti criminali (Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, dep. 2024, S., Rv. 285879 – 01; Sez. 5, n. 36891 del 23/10/2020, Quaceci, Rv. 280471 – 01; Sez. 5, n. 57580 del 14/09/2017, Lupia, Rv. 272435 – 01).
Ora, nel caso in esame, in presenza della doppia presunzione relativa di cui all’art. 275, terzo comma, cod. proc. pen., di sussistenza delle esigenze cautelari
e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, il ricorrente si è limitato ad allegare il decorso di un apprezzabile arco di tempo dalla cessazione della operatività del sodalizio (che sarebbe cessata nell’agosto 2020), la mancata commissione di altri reati e lo svolgimento di attività lavorativa dall’agosto 2020 (ossia dalla cessazione dell’attività del sodalizio criminale di cui al capo a).
Si tratta, indubbiamente, di allegazioni generiche e, soprattutto, insufficienti, a fronte della personalità negativa del ricorrente, della sua pericolosità, della evidenziata gravità dei reati e del contesto criminale conseguente alla costituzione della associazione della quale era stabile partecipe anche il ricorrente.
Al riguardo il Tribunale ha rimarcato sia la pericolosità del ricorrente, noto come spacciatore inserito da anni in contesti camorristici a Caivano (sin dall’epoca in cui tale territorio era controllato dal COGNOME e poi dal Clan COGNOME già condannato per reati in materia di stupefacenti, sia il suo inserimento nel sodalizio (anche se non con un ruolo dirigenziale, non contestato, come inesattamente indicato nell’ordinanza a pag. 15), sottolineando la stabile e risalente contiguità del ricorrente con ambienti criminali dediti allo spaccio di stupefacenti e la sistematica prosecuzione di tale attività nel corso degli anni, rapportandosi con i vari clan succedutisi nell’egemonia e nel controllo del territorio, indipendentemente dalla loro composizione, ribadendo quindi la sussistenza delle esigenze cautelari, la loro concretezza e attualità, stante la risalenza nel tempo dell’attività illecita e la stabilità dei collegamenti del ricorrente con ambie criminali, e anche la adeguatezza della custodia in carcere, in ragione della pericolosità del ricorrente.
Si tratta di motivazione idonea a dare conto della persistenza delle esigenze cautelari e della adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere, che il ricorrente ha censurato in modo generico, omettendo di confrontarsi con tutti gli aspetti evidenziati dal Tribunale e senza allegare, oltre al tempo trascorso, fatti specifici indicativi della rescissione dei legami con gli ambienti criminali nei qual lo stesso era stabilmente e da tempo inserito e dai quali è stata ricavata la sua pericolosità e la conseguente inadeguatezza di misure cautelari diverse, con la conseguente inammissibilità anche di tale motivo di ricorso, che risulta generico e manifestamente infondato.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e della manifesta infondatezza di tutti i motivi ai quali è stato affidato
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 19/2/2025