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Esigenze cautelari: Cassazione conferma il carcere

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un individuo accusato di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, confermando la misura della custodia cautelare in carcere. La Corte ha ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, in particolare il pericolo di recidiva, nonostante il tempo trascorso dai fatti, basandosi sulla personalità dell’indagato e sulla persistente operatività del sodalizio criminale.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari e Associazione a Delinquere: La Cassazione fa il Punto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20211/2024, si è pronunciata su un caso di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, affrontando temi cruciali come la valutazione delle esigenze cautelari e la sussistenza del metodo mafioso. La decisione conferma la linea rigorosa della giurisprudenza nel bilanciare i diritti dell’indagato con la necessità di tutela della collettività, anche quando è trascorso un significativo lasso di tempo dai fatti contestati.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un giovane indagato per la sua partecipazione a un sodalizio criminale dedito al commercio di sostanze stupefacenti, con base operativa in Liguria ma con forti legami e canali di approvvigionamento in Calabria. L’associazione, a struttura prevalentemente familiare, gestiva sia il traffico di cocaina proveniente dal sud Italia, sia la coltivazione locale di marijuana.

All’indagato veniva contestato un ruolo poliedrico e fondamentale per l’organizzazione. Nonostante un periodo di permanenza relativamente breve (circa cinque mesi) presso l’abitazione del cugino, considerato il promotore del gruppo, il giovane avrebbe svolto mansioni cruciali: corriere per il trasporto dello stupefacente, recupero crediti con metodi estorsivi, coltivazione di canapa e cessione di partite di droga ai pusher locali. Il quadro accusatorio era aggravato dalla contestazione del metodo mafioso, data la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza a note famiglie calabresi.

I Motivi del Ricorso e le Esigenze Cautelari

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava la custodia in carcere. I motivi del ricorso si concentravano su tre punti principali:

1. Carenza di gravi indizi: Secondo la difesa, gli elementi raccolti non dimostravano un coinvolgimento strutturato e organico dell’indagato nell’associazione, ma solo un collegamento limitato a episodi isolati e circoscritti nel tempo.
2. Insussistenza dell’aggravante del metodo mafioso: Si contestava che le condotte intimidatorie non avessero le caratteristiche tipiche del metodo mafioso, mancando l’evocazione di una specifica organizzazione criminale strutturata.
3. Mancanza di attualità delle esigenze cautelari: La difesa sosteneva che, essendo trascorso un lungo periodo dai fatti e avendo l’indagato cessato ogni collaborazione e intrapreso un’attività lavorativa in un’altra regione, non sussistesse più un pericolo concreto e attuale di recidiva che giustificasse la misura carceraria.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente e confermando la misura della custodia cautelare in carcere. La sentenza offre importanti chiarimenti sulla valutazione della gravità indiziaria e, soprattutto, sulla persistenza delle esigenze cautelari.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale del Riesame logica e coerente. In primo luogo, ha respinto la censura sulla gravità indiziaria, sottolineando come le intercettazioni ambientali e telefoniche avessero documentato il contributo “poliedrico” e “funzionale” dell’indagato alle finalità criminose del sodalizio. Il suo ruolo non era marginale, ma essenziale per il funzionamento dell’associazione.

In merito all’aggravante del metodo mafioso, i giudici hanno confermato la sua sussistenza, valorizzando i riferimenti intimidatori al potere criminale della consorteria, la provenienza geografica degli affiliati (“noi siamo calabresi e non di Milano”) e le allusioni allo spessore criminale di parenti detenuti. Questi elementi sono stati ritenuti sufficienti a integrare l’aggravante, evocando una forza intimidatrice che va oltre la semplice violenza.

Il punto centrale della sentenza riguarda però le esigenze cautelari. La Corte ha distinto nettamente i concetti di “concretezza” e “attualità” del pericolo di recidiva. La concretezza si lega alla capacità a delinquere del reo, desumibile dalle modalità dei fatti e dalla sua personalità. L’attualità, invece, si riferisce alla presenza di occasioni prossime al reato. I giudici hanno chiarito che l’attualità non richiede la previsione di una specifica occasione per delinquere, ma una valutazione prognostica fondata su elementi concreti. Nel caso di specie, la giovane età, l’intraprendenza criminale dimostrata in un breve lasso di tempo e l’inserimento in un sodalizio ancora operativo e vitale sono stati considerati elementi sufficienti a fondare un giudizio di alta probabilità di reiterazione dei reati. Il decorso di meno di due anni dall’allontanamento dalla Liguria non è stato ritenuto un tempo sufficiente a escludere tale pericolo.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale in materia di misure cautelari: la valutazione del pericolo di recidiva deve basarsi su un’analisi complessiva della personalità dell’indagato e del contesto criminale in cui ha operato. Il semplice trascorrere del tempo o un apparente cambiamento di vita non sono, di per sé, sufficienti a far venir meno le esigenze cautelari, specialmente in contesti di criminalità organizzata. La decisione sottolinea come la prognosi sulla pericolosità sociale debba essere ancorata a elementi concreti, e come la misura della custodia in carcere rimanga la scelta adeguata quando il rischio di reiterazione di gravi delitti è ritenuto elevato e attuale.

Quando si possono considerare attuali le esigenze cautelari anche se è passato del tempo dai fatti?
Secondo la Corte, le esigenze cautelari sono attuali quando è possibile formulare una prognosi di ricaduta nel delitto basata sulla probabilità di devianze prossime. Non è necessaria una specifica occasione imminente, ma una valutazione fondata su elementi concreti come la personalità dell’indagato, le sue condizioni di vita e il contesto criminale, anche se è trascorso quasi due anni dai fatti contestati.

Cosa si intende per “metodo mafioso” in un’associazione non formalmente mafiosa?
Il metodo mafioso può essere riconosciuto anche in assenza di un’associazione di stampo mafioso formale. È sufficiente che il gruppo criminale utilizzi una forza intimidatrice che evoca il potere di una consorteria, facendo leva sulla provenienza geografica degli affiliati e sullo spessore criminale dei suoi membri per incutere timore e ottenere vantaggi illeciti.

Un ruolo meramente esecutivo in un’associazione a delinquere è sufficiente per la custodia in carcere?
Sì. La Corte ha stabilito che un contributo “poliedrico e funzionale” alle finalità del sodalizio, anche se non di tipo direttivo ma esecutivo (come corriere, esattore, coltivatore), è sufficiente a dimostrare un inserimento strutturale nell’organizzazione e a giustificare, in presenza di gravi indizi ed esigenze cautelari, l’applicazione della misura della custodia in carcere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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