Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6579 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6579 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Napoli il 25/10/1975 avverso l’ordinanza del 24/06/2024 del Tribunale di Napoli, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procura generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarat inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 24 giugno 2024, il Tribunale di Napoli ha rigettat l’istanza di riesame proposta dal difensore dell’imputato avverso l’ordina emessa dal G.i.p. del medesimo Tribunale il 6 maggio 2024, con la quale era stat applicata al predetto la misura cautelare degli arresti domiciliari con i divi indicati, in quanto indagato per reati contro l’ambiente.
Avverso l’ordinanza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, la difesa censura la violazione degli artt. 434, 452-bis e 452-quater cod. pen. e 274 cod. proc. pen. e il difetto di motivazione, nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto decisiva, ai fini del riconoscimento dell’esigenza cautelare, la condotta omissiva adottata dall’imputato rispetto all’adozione delle cautele e dei provvedimenti esecutivi prescritti dall’ordinanza della Città di Napoli n. 3/2019, dal momento che quest’ultima si fonda su accertamenti risalenti al 2015 e 2016, coincidenti don quelli già presi in considerazione ai fini di un precedente procedimento ormai conclusosi. Si lamenta, altresì, che il Tribunale non ha tenuto conto delle comunicazioni intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e gli enti preposti alla tutela ambientale, proprio allo scopo di dare esecuzione alla citata ordinanza.
In particolare, riproponendo le doglianze già articolate nella richiesta di riesame, la parte ricorrente sostiene che i fatti di cui al presente procedimento non si caratterizzano per una loro autonoma valenza o sussistenza, ma coincidono piuttosto con le conseguenze di un’attività di discarica e della successiva ritenuta omessa bonifica, già oggetto di altro giudizio. In tale contesto – afferma la difesa – la ricostruzione ontologica delle esigenze cautelari adottata dal Tribunale risulta estranea al dettato codicistico, dal momento che l’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. pone a fondamento del pericolo di reiterazione il rischio di realizzazione di condotte analoghe, rendendo di conseguenza necessaria la reiterazione di una condotta di tipo attivo. Il metodo seguito dal Tribunale risulterebbe pertanto errato, dal momento che i gravi indizi di colpevolezza sono elementi distinti dalle esigenze cautelari, rispetto alle quali costituiscono un necessario ed imprescindibile presupposto. Secondo la tesi difensiva, il Tribunale cerca di ricostruire un pericolo di reiterazione rilevando come il Sansone, anche attraverso i propri familiari, avrebbe ancora la disponibilità di altre società con le quali compiere reati analoghi. Tale conclusione risulterebbe meramente assertiva e priva di riscontro. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In aggiunta, il ricorrente afferma che il Tribunale ha operato un indebito riferimento ad una denuncia del 2018, per violazione di norme urbanistiche ed edilizie, rispetto a fatti per i quali non vi è pendenza di processi penali, e ha ritenuto rilevanti, al fine della sussistenza delle esigenze cautelari, due episodi, ovvero la presenza dell’automezzo del Sansone nella ex cava COGNOME e la rilevazione di un rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e la cava Contessa, che la difesa afferma già essere stati oggetto di documentata contestazione in sede di riesame.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, riprendendo in parte quanto dedotto già nel primo motivo, la difesa si duole della violazione degli artt. 274 e 275 cod.
proc. pen., del difetto di motivazione in punto di attualità e concretezza delle esigenze cautelari e di adeguatezza e proporzionalità della misura, oltre che del travisamento della prova.
Ad avviso della difesa, le condotte che potrebbero supportare un’eventuale reiterazione del reato da parte del Sansone sarebbero risalenti a non oltre il 2016, dal momento che i successivi comportamenti di natura omissiva si compendiano negli stessi fatti già oggetto di precedente giudizio. L’affermazione del pericolo di reiterazione del reato sarebbe frutto del travisamento delle risultanze probatorie. Sia la concretezza che l’attualità della misura sarebbero, quindi, presunte dal Tribunale che non avrebbe fornito alcuna motivazione al riguardo, oltre a non aver valutato in maniera corretta i profili della proporzionalità e dell’adeguatezza.
3. La difesa ha depositato memoria, con la quale insiste in quanto già dedotto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che le censure sono per la maggior parte dirette ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa, tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez. 5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A fronte della ricostruzione e della valutazione del Tribunale, il ricorrente non offre la compiuta rappresentazione e dimostrazione di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente rappresentata dal giudicante) di per sé dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa, tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati. E deve ricordarsi che, in tema di impugnazione, il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (ex plurimis, Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Rv. 281112).
A ciò deve aggiungersi, quanto alle dedotte violazioni di legge, che la difesa non individua interpretazioni di diritto alternative rispetto a quelle fatte proprie dalle sentenze di primo e secondo grado, limitandosi a richiamare le norme di
riferimento con clausole di stile, allo scopo di denunciare, nella sostanza, vizi della motivazione.
La prospettazione difensiva si esaurisce, infatti, in valutazioni di ordine fattuale volte all’ottenimento di un’analisi diversa di circostanze già adeguatamente considerate in sede di riesame.
1.1. Alla luce delle considerazioni appena svolte, nel caso di specie non è riscontrabile il vizio motivazionale denunciato dal ricorrente con la sua prima censura, dal momento che il Tribunale del riesame, confrontandosi con le argomentazioni difensive, ha ben evidenziato quali siano gli estremi del reato contestato e quale sia la tipologia di condotta richiesta ai fini del perfezionamento della fattispecie. Ed invero, partendo dall’evidenza che il reato di disastro ambientale sia reato di evento e a forma libera, esso può essere integrato tanto da condotte commissive quanto omissive, purché esse si pongano in un rapporto di causalità efficiente con un evento dannoso. Il Tribunale ha correttamente rilevato che le tardive e blande interlocuzioni tra l’imputato e la pubblica amministrazione non hanno alcuna valenza; i dati di fondo – a livello indiziario restano quelli di una continua inerzia rispetto alla bonifica imposta a Sansone e di una negazione da parte sua dell’evidenza di ciò che è stato accertato in più sedi. Sintomatico di ciò appare il fatto che l’imputato non abbia provveduto neppure a porre in essere la messa in sicurezza preliminare della cava, non compiendo alcuna manutenzione del sito e lasciando che in esso si aggravasse una pericolosa situazione di degrado.
Con riferimento alla doglianza relativa all’assenza di attualità delle esigenze cautelari, perché basata su fatti risalenti ad epoca anteriore a quelli oggetto di giudizio già definitosi con la prescrizione, il Tribunale offre una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, evidenziando come, ai fini applicativi, il presupposto della concretezza debba essere desumibile da elementi di fatto esistenti, mentre quello dell’attualità richieda una valutazione di tipo prognostico fondata sulle modalità di fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui quest’ultimo verrà a trovarsi ove non sottoposto a misure, all’esito della quale appaia altamente probabile che l’indagato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione. In altri termini, l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza delle condotte criminose, sicché il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche se risalenti nel tempo (ex plurimis, Sez. 2, n. 38299 del 13/06/2023, Rv. 285217; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Rv. 282891).
A tal fine, il Tribunale non solo richiama fatti risalenti al 2016 ma valuta altresì eventi successivi, rimarcando come la polizia giudiziaria, nelle annotazioni citate nell’ordinanza genetica della misura, attesta che le attività imprenditoriali dell’indagato sono proseguite a pieno regime attraverso le altre numerose società a lui riconducibili, sia nella cava di interesse che in altri siti, e che l’indagato perseverato in condotte analoghe.
Ad avviso della difesa, i due episodi imputati al Sansone relativi alla presenza del proprio automezzo nella ex cava Suarez e la rilevazione di rapporti intercorrenti tra la RAGIONE_SOCIALE e la Cava Contessa sarebbero risalenti agli anni 2016 e 2019 e sarebbero stati travisati da parte del Tribunale. Ebbene, a fronte di generici rilievi difensivi di tipo strettamente valutativo, diretti a sconfessare la consistenza delle risultanze indiziarie, va osservato che: in primo luogo, il mero richiamo agli atti non è sufficiente ai fini del riconoscimento di un eventuale travisamento; in secondo luogo, tali episodi non risultano dirimenti ai fini del riconoscimento delle esigenze cautelari, essendo solo alcuni di una lunga lista di risultanze di cui il Tribunale tiene conto nella sua analitica motivazione.
Né può essere dato seguito all’affermazione difensiva riferita alla denuncia per violazione di norme urbanistiche ed edilizie, che non avrebbe avuto conseguenze penali, trattandosi di un profilo evidentemente marginale, a fronte del quadro indiziario sopra delineato.
2.2. Analoghe considerazioni valgono in relazione al secondo motivo di doglianza, che è parzialmente ripetitivo del primo, incentrandosi anch’esso sulla lontananza nel tempo dei comportamenti ritenuti rilevanti dal Tribunale ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari e della scelta della misura.
La censura è manifestamente infondata.
Deve rilevarsi che, sul tema dell’attualità e della concretezza delle esigenze cautelari, non sono riscontrabili i vizi denunciati dal ricorrente, dal momento che il Tribunale, confrontandosi con le argomentazioni difensive, poi pedissequamente riprodotte in sede di legittimità, ha ben evidenziato, nel testo dell’intera ordinanza, quali sono gli elementi posti alla base del presidio cautelare che confermano l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione: l’indagato risulta attualmente titolare e gestore effettivo della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE entrambe operative, oltre che gestore di fatto di altra società. Tali società, sulla scorta di un accertamento preliminare compiuto dagli operanti dell’U.O.T.A. e compendiato nell’informativa del 16 dicembre 2020, appaiono il fulcro di una illecita gestione di rifiuti, nonché di una intensa attività urbanistica costruzione ed ampliamento.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame, inoltre, ha correttamente valorizzato, ai fini della scelta della misura, non solo l’inclinazione dell’indagato a
perseverare nel compimento di programmi criminosi in materia ambientale e la sua negativa personalità, ma altresì la concreta possibilità che egli ha di proseguire l’attività criminale attraverso altre società di cui dispone, sia nella cava di interesse che in altri siti.
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/11/2024.