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Esigenze cautelari: appello del PM inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero contro la revoca di una misura interdittiva a carico di un avvocato. Il motivo è la mancata dimostrazione delle attuali esigenze cautelari, requisito fondamentale per l’interesse ad impugnare da parte della pubblica accusa. L’avvocato era accusato di aver facilitato telefonate non autorizzate a un detenuto.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze Cautelari: Quando l’Appello del PM è Inammissibile

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8635/2025, ha ribadito un principio cruciale in materia di misure cautelari: il Pubblico Ministero, per poter validamente impugnare la revoca di una misura, deve dimostrare la sussistenza attuale e concreta delle esigenze cautelari. Senza questa dimostrazione, il ricorso è destinato all’inammissibilità per carenza di interesse. Approfondiamo questo caso per capire le implicazioni pratiche di tale principio.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un’indagine a carico di un avvocato, accusato del reato previsto dall’art. 391-ter c.p. per aver presumibilmente consentito a un suo cliente detenuto di effettuare telefonate non autorizzate. Secondo l’accusa, le chiamate partite dallo studio legale venivano ritrasferite a destinatari finali, aggirando i controlli penitenziari. In seguito a queste accuse, al professionista era stata applicata una misura cautelare interdittiva, ovvero il divieto temporaneo di esercitare la professione forense.

L’avvocato aveva presentato un appello cautelare al Tribunale, il quale lo aveva accolto, annullando la misura. Il Tribunale aveva basato la sua decisione su due punti principali:
1. Inutilizzabilità delle prove: Le dichiarazioni della segretaria dello studio legale, considerate decisive, erano state ritenute inutilizzabili perché raccolte quando già esistevano indizi di reità a suo carico.
2. Non configurabilità del reato: Il Tribunale aveva interpretato l’art. 391-ter c.p. in modo restrittivo, ritenendo che si applicasse solo all’introduzione fisica di dispositivi di comunicazione in carcere, e non all’uso di apparecchi esterni per facilitare le comunicazioni.

L’Appello del PM e la necessità delle esigenze cautelari

Il Pubblico Ministero, non condividendo la decisione del Tribunale, ha presentato ricorso per Cassazione, contestando entrambi i punti della motivazione. In particolare, ha sostenuto che:
* L’interpretazione dell’art. 391-ter c.p. fornita dal Tribunale era errata e irragionevole, in quanto la norma punisce anche l’uso indebito di strumenti di comunicazione resi disponibili al detenuto, non solo la loro introduzione fisica.
* Le dichiarazioni della segretaria erano pienamente utilizzabili, poiché al momento dell’escussione non esistevano sufficienti indizi per considerarla un’indagata.

Tuttavia, il ricorso del PM ha omesso un elemento fondamentale.

La Decisione della Cassazione e il principio sulle esigenze cautelari

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Pubblico Ministero inammissibile senza entrare nel merito delle questioni sollevate. La ragione è stata definita “assorbente”: il PM non aveva argomentato in alcun modo sulla persistenza delle esigenze cautelari.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha richiamato un proprio consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’interesse del Pubblico Ministero a impugnare un’ordinanza che annulla una misura cautelare non può basarsi unicamente sulla contestazione dei vizi della decisione. L’interesse ad agire è strettamente legato alla possibilità concreta di ottenere il ripristino della misura richiesta.

Perché ciò sia possibile, è indispensabile che il PM dimostri che, al momento del ricorso, sussistono ancora quelle specifiche condizioni previste dalla legge (art. 274 c.p.p.), ovvero il pericolo di inquinamento probatorio, il pericolo di fuga o il pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato. Nel caso di specie, il ricorso si concentrava esclusivamente sulla critica giuridica all’ordinanza del Tribunale, trascurando completamente di rappresentare le ragioni per cui la misura interdittiva fosse ancora necessaria per tutelare la collettività. Questa omissione ha determinato una carenza di interesse, rendendo il ricorso inammissibile.

Le conclusioni

Questa sentenza è un importante monito per la pubblica accusa: l’impugnazione di un provvedimento favorevole all’indagato in materia cautelare richiede un duplice onere argomentativo. Non è sufficiente sostenere l’erroneità in diritto della decisione impugnata, ma è altresì necessario e imprescindibile allegare e dimostrare che le esigenze cautelari che avevano originariamente giustificato la misura sono ancora attuali e concrete. In assenza di tale dimostrazione, l’appello, pur potenzialmente fondato nel merito, verrà respinto in via preliminare per ragioni procedurali.

Perché il ricorso del Pubblico Ministero è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il Pubblico Ministero ha omesso di argomentare e dimostrare la sussistenza attuale e concreta delle esigenze cautelari che giustificassero il ripristino della misura interdittiva. La Corte ha ritenuto che mancasse l’interesse a ricorrere.

Cosa deve dimostrare il Pubblico Ministero quando impugna la revoca di una misura cautelare?
Secondo la sentenza, il Pubblico Ministero deve dimostrare due cose: in primo luogo, l’erroneità della decisione del giudice precedente; in secondo luogo, e in modo imprescindibile, deve fornire le ragioni a sostegno dell’attualità e della concretezza delle esigenze cautelari (pericolo di fuga, inquinamento delle prove o reiterazione del reato).

La Corte di Cassazione ha deciso se l’avvocato fosse colpevole del reato contestato?
No. La Corte non ha esaminato il merito della vicenda, né si è pronunciata sulla colpevolezza dell’indagato o sulla corretta interpretazione della norma penale. La decisione è stata puramente processuale, basata sulla mancanza di un requisito fondamentale del ricorso del PM.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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