Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8634 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8634 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata il 26/06/1964 a Brescia avverso l’ordinanza in data 08/10/2024 del Tribunale di Brescia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 08/10/2024 il Tribunale di Brescia ha confermato quella del G.i.p. del Tribunale di Brescia in data 05/08/2024, con cui era stata applicata a NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di concorso in corruzione dell’agente di polizia penitenziaria NOME COGNOME ma ha riconosciuto alla predetta la facoltà di accedere presso l’abitazione della madre in determinate ore per prestarle assistenza.
Ha proposto ricorso COGNOME tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., e vizio di motivazione circa la valutazione degli indizi di colpevolezza.
Era stata censurata l’ordinanza genetica nella parte in cui con riguardo alla ricorrente aveva fondato la gravità indiziaria su due conversazioni intercettate, senza esaminarne il contenuto e senza dar conto delle ragioni per cui dalle stesse potesse desumersi un riferimento al soggetto corrotto e non semplicemente ad un avvocato, come risultante dal tenore letterale.
Su tali basi avrebbe dovuto ravvisarsi una mancanza di motivazione non emendabile in sede di riesame, mentre il Tribunale, avendo al più ravvisato un’incompletezza della motivazione, aveva ritenuto di poterla integrare, peraltro diffondendosi in plurime pagine in luogo delle poche righe utilizzate dal G.i.p.
Ciò avrebbe dovuto valere anche con specifico riguardo all’elemento soggettivo del reato di corruzione, non desumibile dalle conversazioni invocate e comunque non esaminato dal G.i.p.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., con riguardo alle esigenze cautelari.
Il G.i.p. aveva valutato solo le modalità della condotta senza aggiungere nulla circa la concretezza e attualità del pericolo, profilo tanto più rilevante in ragione del tempo trascorso, per giunta formulando una valutazione riferita a più indagati che rivestivano anche posizioni diverse.
Anche in questo caso il Tribunale aveva indebitamente integrato una motivazione in realtà mancante, dando rilievo alla sottoposizione della ricorrente a procedimento penale pendente in grado di appello dopo condanna in primo grado e al coinvolgimento come terza interessata in un procedimento di prevenzione riguardante l’ex marito NOME COGNOME: in particolare il Tribunale, su tali basi, aveva parlato di fatti che si ponevano in continuità con i pregressi procedimenti e rispetto ai quali era rilevabile la disponibilità della ricorrente a compiacere i propositi criminali dell’ex marito.
Ma tale ragionamento era viziato in sé e comunque si risolveva nella sostituzione di una motivazione invero mancante e dunque non integrabile.
2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e travisamento della prova in ordine alle esigenze cautelari.
Degli altri procedimenti menzionati non v’era agli atti alcuna traccia, dovendosi dunque ritenere che il riferimento fosse dipeso da un bagaglio conoscitivo del Collegio, tanto che uno dei componenti era stato l’estensore della sentenza di condanna pronunciata in primo grado a carico della ricorrente per il
delitto di riciclaggio e che erano stati forniti dettagliati riferimenti al contestazione, impropriamente riportati in questa sede, ciò che valeva a rappresentare il condizionamento derivante dalle precedenti valutazioni.
2.4. Con il quarto motivo denuncia violazione di legge e mancanza e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.
Contrariamente all’assunto del Tribunale i fatti oggetto del separato procedimento non si ponevano in continuità ma risalivano ad epoca di gran lunga anteriore; inoltre, COGNOME era stato giudicato con rito abbreviato e assolto per insussistenza del fatto dal reato di cui all’art. 512-bis cod. pen.
Indebitamente il Tribunale aveva valorizzato un procedimento relativo a reati di altra specie, non potendosi parlare di asservimento ai propositi di Monteleone.
Per contro avrebbe dovuto valutarsi lo stato di incensuratezza della ricorrente e il tempo di commissione del fatto corruttivo, risalente, quanto al contributo da lei fornito, come emergente, se del caso, dalle conversazioni valorizzate, all’ottobre 2021.
Né era stato chiarito perché la posizione della ricorrente differisse da quella di NOMECOGNOME nei cui confronti era stata applicata misura meno afflittiva.
Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore della ricorrente ha inviato una memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale, ribadendo gli argomenti alla base del ricorso.
Il procedimento si è svolto con trattazione scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è infondato.
Il Tribunale ha correttamente ritenuto che non fosse ravvisabile la mancanza della motivazione dell’ordinanza genetica in punto di gravità indiziaria e che fosse comunque possibile integrarla sulla base di una più compiuta analisi degli elementi valorizzati.
Va invero rimarcato come il provvedimento genetico avesse fatto leva su due conversazioni intercettate, ritenute idonee a dimostrare l’intesa tra la ricorrente e Monteleone, volta ad assicurare il collegamento tra COGNOME e l’assistente di polizia penitenziaria COGNOME, cui tramite il primo avrebbero dovuto farsi pervenire somme di denaro, costituenti il prezzo della corruzione, avente ad oggetto i servigi
assicurati da COGNOME per introdurre in carcere telefoni e altri materiali e garantire contatti con l’esterno anche attraverso la consegna di comunicazioni.
Proprio le conversazioni valorizzate nell’ordinanza genetica costituiscono l’ossatura della gravità indiziaria a carico della ricorrente, peraltro meglio esplicitata dal Tribunale, che ha dato conto della rilevanza di quegli elementi, alla luce di ulteriori acquisizioni probatorie correlate, idonee a suffragare l’assunto che con il termine «avvocato» COGNOME e COGNOME intendessero riferirsi proprio a COGNOME, in relazione agli incontri con COGNOME e alla dazione di denaro che tramite costui avrebbe dovuto essere effettuata.
Su tali basi risulta infondata anche la deduzione difensiva riguardante la mancanza di motivazione dell’ordinanza genetica con riguardo al profilo del coefficiente psicologico, essendosi invero ritenuto che le conversazioni valorizzate, coinvolgenti COGNOME nel mantenimento di contatti con COGNOME, strumentali alla consegna di denaro a COGNOME, sottendessero il consapevole coinvolgimento della ricorrente nel patto corruttivo e comunque nella fase della sua esecuzione.
Gli ulteriori motivi di ricorso, tutti riguardanti il tema delle esigenze cautelari, possono essere esaminati congiuntamente.
2.1. Deve in primo luogo rilevarsi che neppure in questo caso risulta fondata la deduzione concernente la radicale mancanza nell’ordinanza genetica di una motivazione circa la configurabilità delle esigenze cautelari.
Il Tribunale ha correttamente escluso che ricorresse un siffatto vizio e anche ai fini in esame ha comunque proceduto ad un’integrazione della motivazione sul punto.
Per contro il motivo di ricorso risulta genericamente formulato in quanto non vulnera la motivazione del provvedimento in questa sede impugnato, risolvendosi nella riproposizione della doglianza.
2.2. Non può dirsi di per sé fondato neppure il rilievo riguardante la mancanza nel fascicolo dei provvedimenti (sentenza di condanna a carico di COGNOME e misura di prevenzione) valorizzati dal Tribunale, la cui menzione è stata ascritta a conoscenza diretta del Collegio: va invero al riguardo osservato che il dato di fondo costituito dalla pronuncia di condanna nei confronti della ricorrente per il delitto di riciclaggio non è stato in concreto contestato e non può dunque ritenersi smentito.
2.3. Va per contro osservato che la complessiva analisi del Tribunale non ha pienamente dato conto della concretezza e dell’attualità del pericolo di reiterazione tale da imporre l’applicazione nei confronti della ricorrente di una misura di tipo custodiale.
Tali requisiti non implicano l’imminenza di una nuova occasione per delinquere quanto la persistenza e la continuità del pericolo che il soggetto, avuto riguardo
alle sue esperienze, alle sue condizioni di vita e al contesto nel quale opera, possa nuovamente volersi procurare un’occasione propizia per intraprendere un’azione delittuosa, in tal senso potendosi rinvenire una linea interpretativa idonea a ricondurre ad unità l’orientamento che fa leva sulla previsione di un’occasione prossima per compiere delitti della stessa specie (Sez. 6, n. 11728 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286182) e l’orientamento che dà rilievo alla continuità del pericolo nella sua dimensione temporale, alla luce di una attenta analisi personologica e socio-ambientale, continuità correlata alla vicinanza ai fatti e ad elementi indicativi recenti (Sez. 2, n. 6593 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282767; Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, COGNOME, 282991).
Sta di fatto che il Tribunale ha valorizzato una condanna non definitiva per fatti risalenti nel tempo, di cui comunque non ha dato specificamente conto, a fronte dell’intervenuta assoluzione di Monteleone dal reato di cui all’art. 512 cod. pen.; ha genericamente fatto riferimento alla proclività della ricorrente ad assecondare disegni criminali di Monteleone, senza soffermarsi puntualmente sul passato criminale di quest’ultimo e sull’effettivo contributo della ricorrente, non risultando bastevole il mero riferimento alla qualità di terza interessata assunta dalla predetta nell’ambito di procedimento di prevenzione a carico di Monteleone; non ha in alcun modo dato conto né del tempo trascorso dai fatti contestati in questa sede, relativamente ai quali le condotte della ricorrente risalgono a più di tre anni fa, né della effettiva quantità e qualità del contributo in concreto da costei fornito in funzione della commissione del reato, in assenza di elementi sintomatici, idonei a rappresentare nell’attualità la concreta attitudine a delinquere della predetta, a fronte del fatto che il passaggio del tempo influisce non solo sulla sussistenza o meno delle esigenze cautelari ma anche sull’individuazione della misura più adeguata, nel presupposto che si registri un affievolimento delle esigenze, tale da giustificare misure meno afflittive (sul punto Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, COGNOME, Rv. 244 377).
In tale prospettiva devono ritenersi fondati il quarto e il quinto motivo, così da imporre l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Brescia.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7 c.p.p. Così deciso il 23/01/2025