Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 28127 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 28127 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato il 30/05/1992 a Soverato avverso l’ordinanza in data 27/02/2025 del Tribunale di Catanzaro
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 febbraio 2025 il Tribunale di Catanzaro ha confermato in sede di riesame quella del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro in data 17 gennaio 2024, con cui è stata applicata a NOME COGNOME cl. 1992, la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al delitto di cui agli artt. 390 cod. pen. e 4 bis.1 cod. pen., riferito alla condotta di ausilio fornita con altri componenti della famiglia COGNOME a Gallace NOME COGNOME per consentirgli di sottrarsi all’esecuzione di pena inflittagli.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 416bis-1 cod. pen. e mancanza e vizio di motivazione anche in relazione alla memoria depositata con malgoverno dell’istituto del concorso di persone.
In primo luogo, non era stato dato conto dell’esistenza di un consorzio mafioso alla cui agevolazione sarebbe stata rivolta la condotta.
Unico dato probatorio era quello desumibile da taluni frame che ritraevano il ricorrente nel piazzale antistante l’azienda RAGIONE_SOCIALE in orario notturno tra l’otto e il nove agosto 2021.
Inoltre, non era stato comprovato né il vincolo concorsuale esistente, anche in relazione all’accompagnamento della compagna e della figlia del latitante presso il luogo in cui si trovava il predetto, dato non risultante da elementi certi, né il fi agevolativo che avrebbe assistito la condotta del ricorrente in rapporto alla caratura mafiosa e al ruolo apicale del latitante e alle ragioni alla base dell’ausilio fornito da NOME COGNOME, essendo stato disatteso il costante orientamento che fa leva sulla necessità che la condotta sia consapevolmente volta a favorire il sodalizio.
Nel caso di specie non era stata fornita prova del fatto che il latitante avesse potuto continuare a svolgere funzioni apicali nell’interesse della cosca e che di ciò il ricorrente avesse contezza, essendo in tale prospettiva priva di rilievo la condotta addebitata al predetto, quand’anche concretamente suffragata.
Nella memoria difensiva si era osservato che tra padre e figlio intercorreva un difficile rapporto, tema che il Tribunale aveva superficialmente affrontato, negandone la rilevanza.
Inoltre, con riguardo ai dati contenuti nel DVR dell’impianto di videosorveglianza della sede logistica della società, non erano emersi elementi specificamente rilevanti a carico del ricorrente, a fronte di una sua presenza sporadica e comunque distante da contesti criminali.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. e mancanza di motivazione in relazione alla memoria depositata.
Il Tribunale aveva confermato la restrizione domiciliare con motivazione apodittica, senza confrontarsi con il tema della concretezza e dell’attualità delle esigenze cautelari, a fronte della risalenza delle condotte e del tempo silente, dell’incensuratezza del ricorrente, della mancanza di elementi dai quali desumere il mantenimento di contatti con la criminalità.
Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso.
Il procedimento si è svolto con trattazione scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile, perché volto a sollecitare una diversa lettura del compendio indiziario, in assenza dell’individuazione di specifici vizi della motivazione.
1.1. Va al riguardo rilevato che in sede di scrutinio dei presupposti per l’emissione di misura cautelare «alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01).
Orbene, in punto di gravità indiziaria, il Tribunale ha posto in evidenza i numerosi elementi dai quali ha desunto l’attivazione di tutta la famiglia COGNOME, coadiuvata anche da altri soggetti, per consentire la prolungata latitanza di NOME COGNOME, esponente di vertice di una consorteria di ‘ndrangheta.
In particolare, è stato posto in evidenza che presso la ditta RAGIONE_SOCIALE, riferibile alla famiglia COGNOME, era stato creato un bunker destinato al latitante, raggiungibile dal garage attraverso un apposito accesso al vano scale, e che in varia guisa era stata assicurata l’assistenza al latitante e la sua protezione a mezzo di ronde notturne, essendo stato inoltre consentito al predetto di ricevere la visita della compagna e della figlia, oltre che di esponenti della consorteria, attraverso un articolato assetto organizzativo.
In tale quadro è stato segnalato come la presenza in loco del ricorrente fosse stata rilevata in occasione di alcune ronde notturne e, fra l’altro, in concomitanza con uno degli episodi culminati nell’accompagnamento della compagna del latitante, connotato da strategici contatti tra i partecipanti all’operazione e dall’accorto utilizzo di più vetture, una delle quali veniva fatta entrare nel garage.
D’altro canto non è dubbio che nel sito indicato il latitante fosse stato dopo alcuni mesi tratto in arresto, così come non si espone a censure l’assunto del Tribunale secondo cui il quadro indiziario conducesse univocamente a ritenere sulla base di plurimi e convergenti elementi che effettivamente talune operazioni
fossero volte a consentire l’accompagnamento della compagna del latitante, in concomitanza con periodi nei quali dal cellulare di costei non partivano chiamate, che riprendevano dal giorno successivo.
A fronte di ciò, il ricorso si diffonde nella prospettazione di letture alternative di taluni elementi acquisiti e si sofferma su alcune deduzioni, come quella del cattivo rapporto tra il ricorrente il padre, che non illogicamente il Tribunale ha reputato ai fini in esame irrilevante, potendosi affermare che il ricorrente fosse comunque informato sulle operazioni in corso e vi prendesse parte consapevolmente.
Deve aggiungersi che il Tribunale ha anche sottolineato che la protezione del latitante aveva consentito a quest’ultimo non solo di sottrarsi alla cattura, ma anche di continuare a mantenere rapporti con altri esponenti della criminalità in relazione al ruolo di vertice da lui ricoperto.
1.2. In tale ottica non si espone ai vizi dedotti la conclusione che il reato possa dirsi aggravato dalla finalità di agevolare la consorteria di ‘ndrangheta in relazione al ruolo ricoperto dal latitante e al procurato mantenimento della sua capacità di gestione e di relazione.
D’altro canto, se è vero che l’aggravante ha natura soggettiva, deve nondimeno rilevarsi come la stessa sia integrata non solo quando il soggetto persegua quella determinata finalità, ma anche quando egli sia consapevole della finalità perseguita da uno o più dei soggetti che con lui concorrono nel reato (in tal senso Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01), situazione agevolmente riferibile alla posizione del ricorrente, a fronte del fatto che egli aveva contezza del ruolo del latitante e aveva partecipato alla concertata azione di tutela del predetto, ordita da chi, come i suoi familiari, aveva più stretti rapporti con lui.
2. E’ peraltro fondato il secondo motivo.
Il Tribunale in relazione alla configurabilità delle esigenze cautelari ha valorizzato la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. segnalando che non erano stati forniti elementi di segno contrario, a fronte della prolungata attività di ausilio fornita dal ricorrente e dai suoi familiari in favore del latita esponente di rilievo della criminalità organizzata.
Va tuttavia rimarcato che, come esattamente rilevato nel motivo di ricorso, nel caso di specie ricorrevano plurimi elementi che avrebbero dovuto essere valutati anche a fronte della presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari.
Non può infatti sottacersi che il ricorrente non risulta far parte di alcuna consorteria mafiosa, non è gravato da precedenti e ha fornito un contributo nel 71
quadro di una strategia complessiva che tuttavia non faceva capo specificamente a lui.
Inoltre -e soprattutto- deve rilevarsi che dall’epoca dei fatti sono trascorsi circa quattro anni e che in tale lasso di tempo non sono venuti in evidenza elementi
sintomaticamente rappresentativi di un pericolo di reiterazione criminosa ricollegabile all’operatività del ricorrente.
Va infatti rimarcato che in via generale, ma tanto più quando non sia stato attribuito un ruolo partecipativo all’interno di una consorteria criminale, assume
rilievo il c.d. tempo silente, cioè il periodo successivo ai fatti trascorso in assenza di specifici segnali di recidivanza o di contiguità criminale (cfr. Sez. 6, n. 2112 del
22/12/2023, COGNOME, Rv. 285895 – 01, che ha affermato il principio con riguardo alla partecipazione ad associazione mafiosa; in senso analogo, Sez. 6, n. 31587
del 30/05/2023, Gargano, Rv. 285272 – 01).
A fronte di ciò nell’ordinanza impugnata tale profilo non risulta specificamente valutato, a fronte del generico riferimento alla contiguità con ambienti criminali,
imponendosi per contro un nuovo specifico esame del tema cautelare, al fine di stabilire se alla luce di tutti gli elementi di valutazione disponibili la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. possa dirsi o meno superata, eventualmente in quali limiti.
L’ordinanza impugnata deve essere dunque annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro,
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di i Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, cod. pr c. pen.
Così deciso il 3 luglio 2025
Il Consigli re estensore