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Esigenze cautelari: annullata misura per l’incensurato

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio un’ordinanza di arresti domiciliari nei confronti di un individuo incensurato, accusato di aver favorito la latitanza di un esponente di vertice della ‘ndrangheta. Sebbene la Corte abbia ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, ha stabilito che il Tribunale del riesame non ha adeguatamente valutato le esigenze cautelari, omettendo di considerare elementi come la mancanza di precedenti penali e la non appartenenza dell’indagato a consorterie mafiose, fattori che possono superare la presunzione di pericolosità.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esigenze cautelari: l’incensuratezza può superare la presunzione di pericolosità?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28127/2025, affronta un tema cruciale nel diritto processuale penale: la valutazione delle esigenze cautelari per reati gravi, specialmente quando l’indagato è incensurato. Il caso riguarda un giovane accusato di aver aiutato un pericoloso latitante affiliato alla ‘ndrangheta, e la Corte traccia una linea netta tra la sufficienza degli indizi di colpevolezza e la necessità di una motivazione concreta e individualizzata per giustificare una misura restrittiva come gli arresti domiciliari.

I fatti del caso

Il Tribunale di Catanzaro aveva confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di un giovane uomo, accusato di aver contribuito a nascondere un esponente di vertice di una cosca mafiosa. Secondo l’accusa, l’indagato, insieme ad altri membri della sua famiglia, avrebbe fornito un ausilio fondamentale al latitante. Questo supporto includeva la predisposizione di un bunker all’interno dell’azienda di famiglia, l’organizzazione di ronde notturne per la sorveglianza e l’agevolazione di incontri tra il fuggitivo, la sua compagna e sua figlia. Le accuse contestate erano quelle di procurata inosservanza di pena, aggravata dall’aver agito per favorire un’associazione mafiosa (artt. 390 e 416-bis.1 c.p.).

I motivi del ricorso

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione sulla colpevolezza: Si sosteneva l’insufficienza delle prove a carico, la mancanza di dimostrazione di un vincolo associativo e, soprattutto, dell’intento consapevole di agevolare la cosca mafiosa.
2. Violazione di legge e vizio di motivazione sulle esigenze cautelari: La difesa ha criticato la decisione del Tribunale per aver applicato la misura in modo quasi automatico, basandosi sulla presunzione di pericolosità prevista dalla legge per questo tipo di reati. Si evidenziava come non fossero stati adeguatamente considerati elementi favorevoli all’indagato, quali la sua incensuratezza, la risalenza nel tempo dei fatti e l’assenza di contatti attuali con ambienti criminali.

La decisione della Corte di Cassazione sulle esigenze cautelari

La Suprema Corte ha operato una distinzione netta, giudicando inammissibile il primo motivo ma accogliendo il secondo, con conseguente annullamento dell’ordinanza e rinvio al Tribunale per una nuova valutazione.

Analisi del primo motivo: la gravità indiziaria

La Corte ha ritenuto che il quadro indiziario fosse solido e ben motivato dal Tribunale. Gli elementi raccolti (il bunker, le ronde, l’organizzazione logistica) erano sufficienti a configurare, in questa fase preliminare, la partecipazione consapevole dell’indagato all’operazione di favoreggiamento. La Corte ha sottolineato che, per l’aggravante mafiosa, è sufficiente la consapevolezza di aiutare un soggetto la cui latitanza giova all’intera organizzazione criminale, anche senza un’intenzione diretta di favorire la cosca.

Analisi del secondo motivo: le esigenze cautelari e la presunzione legale

Il punto cruciale della sentenza risiede nell’accoglimento del secondo motivo. La Cassazione ha stabilito che, sebbene per reati di questo tipo esista una presunzione legale sulla sussistenza delle esigenze cautelari (art. 275, comma 3, c.p.p.), questa presunzione non è assoluta. Il giudice ha il dovere di valutarla alla luce di tutti gli elementi concreti del caso, inclusi quelli a favore dell’indagato. Nel caso specifico, il Tribunale aveva omesso di considerare adeguatamente plurimi elementi significativi: l’indagato non risultava affiliato a nessuna consorteria mafiosa, era incensurato e il suo contributo appariva circoscritto a un contesto specifico.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sul principio che la pericolosità sociale, presupposto delle misure cautelari, deve essere concreta e attuale. La presunzione legale non esonera il giudice da un’analisi approfondita e individualizzata. Ignorare elementi come l’assenza di precedenti penali e di legami organici con la criminalità organizzata si traduce in un vizio di motivazione. Il Tribunale del riesame, quindi, avrebbe dovuto spiegare perché, nonostante questi fattori positivi, riteneva comunque sussistente un pericolo concreto di reiterazione del reato, cosa che non ha fatto. La Corte ha quindi annullato l’ordinanza, imponendo al Tribunale di Catanzaro di effettuare una nuova e più completa valutazione, che tenga conto di tutti gli elementi disponibili per stabilire se la presunzione di pericolosità possa considerarsi superata.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale dello stato di diritto: le misure che limitano la libertà personale devono essere sempre supportate da una motivazione robusta, concreta e personalizzata. Anche di fronte a reati di estrema gravità e a presunzioni legali, il giudice non può abdicare al suo ruolo di garante dei diritti individuali. L’incensuratezza e l’assenza di legami strutturali con la criminalità organizzata sono elementi che devono essere attentamente ponderati e non possono essere liquidati superficialmente. La decisione impone ai giudici di merito un maggior rigore nell’analisi delle esigenze cautelari, evitando automatismi e assicurando che ogni restrizione della libertà sia strettamente necessaria e proporzionata.

Per quale motivo era stata applicata la misura degli arresti domiciliari?
La misura era stata applicata perché l’indagato era accusato di aver aiutato un latitante di spicco della ‘ndrangheta a sottrarsi alla pena, fornendo supporto logistico come un nascondiglio (bunker) e sorveglianza. Questo reato è aggravato dalla finalità di agevolare un’associazione mafiosa.

La Corte di Cassazione ha ritenuto insussistenti le prove a carico dell’indagato?
No, al contrario. La Corte ha ritenuto il primo motivo di ricorso inammissibile, confermando che gli elementi raccolti (come la creazione del bunker e le ronde notturne) costituivano gravi indizi di colpevolezza sufficienti per questa fase del procedimento.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di arresto?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancanza di motivazione sulle esigenze cautelari. Il Tribunale non aveva valutato adeguatamente elementi favorevoli all’indagato, come la sua incensuratezza e la sua non appartenenza a clan mafiosi, che avrebbero potuto superare la presunzione di pericolosità prevista dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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