Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26248 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26248 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME SOVERATO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/02/2024 del TRIB. LIBERTA di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso, riportandosi alla requisitoria già depositata.
udito il difensore L’AVV_NOTAIO COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 01/02/2024 il Tribunale del riesame di Catanzaro – adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. – ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia del 19 gennaio 2024, di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di NOME COGNOME, in quanto gravemente indiziata dei delitti di cui agli artt. 110 cod. pen. e 23 legge 110 del 1975 (capo a) – per avere, in concorso con il padre, NOME COGNOME, e con la madre, NOME COGNOME, illecitamente detenuto, nascosti in un casolare in località Nucari del comune di Nardodipace, un fucile da caccia TARGA_VEICOLO. TARGA_VEICOLO, privo di marca, con matricola abrasa e riverniciata, unitamente al relativo munizionamento, ovvero n.93 cartucce dello stesso calibro – e artt. 110,81 cpv. e 648 cod. pen. (capo b) – per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso con i soggetti di cui sopra, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, acquistato o comunque ricevuto l’arma di cui al capo a), priva di marca e con matricola abrasa, perciò da ritenersi arma clandestina -; fatti accertati in Nardodipace il 18 gennaio 2024.
1.1. In data 18 gennaio 2024, Carabinieri della stazione di Nardodipace effettuavano un controllo nei confronti di NOME COGNOME presso la sua abitazione sita in INDIRIZZO, Nardodipace, e sui veicoli in uso a lui ed alla moglie, in quanto sospettato di detenere armi, munizioni e materiale esplodente. Stante l’esito negativo degli stessi, i militari dell’Arma informavano COGNOME che le operazioni di perquisizione sarebbero state estese all’altra casa, sita in INDIRIZZO nella frazione di Ragonà, ed al casale ed al terreno in località Nucari (sempre nel territorio del comune di Nardodipace), dove peraltro già si trovavano appostati altri carabinieri.
NOME COGNOME, che appariva agitato, chiedeva ai militari di procedere possibilmente prima alla perquisizione dell’immobile sito in INDIRIZZO e dopo al casolare ed terreno di località Nucari; ottenuto l’assenso degli operanti, il COGNOME, prima di accompagnare i militari presso l’abitazione di INDIRIZZO, rientrava in casa con una scusa e sussurrava qualcosa alla moglie. Mentre veniva effettuata la perquisizione in INDIRIZZO, gli operanti venivano avvertiti dagli operanti che si trovavano presso il casale sito in località Nucari, che erano, nel frattempo, sopraggiunte NOME COGNOME e la figlia NOME COGNOME le quali, dopo avere parcheggiato l’auto sulla pubblica via, entravano nel casolare per poi uscirne poco attimi dopo con in mano, ciascuna di esse, un borsone di colore rosso che cercavano di nascondere dietro alcune pietre.
I militari, che avevano seguito tutti i movimenti delle donne, le bloccavano prima che potessero celare i borsoni; le predette dichiaravano spontaneamente ai militari che erano state incaricate espressamente da NOME NOME COGNOME di recarsi
nel casolare e prelevare e nascondere nei terreni circostanze le sacche in oggetto, al cui interno venivano rinvenuti e sequestrati il fucile e le munizioni di cui all’imputazione, oltre a due caschi ed altro materiale antincendio.
1.3. Con concorde valutazione, i Giudici di merito hanno ritenuto sussistente la gravità indiziaria in capo all’odierna indagata NOME COGNOME in relazione ad entrambi i delitti contestati, in considerazione del fatto che l’arma ed il munizionamento risultavano custoditi in un casolare nella disponibilità dell’intero nucleo famigliare COGNOME: la circostanza che l’indagata, unitamente alla madre, si fosse recata in quel luogo su disposizione del padre al fine di occultare l’arma, palesava secondo la valutazione dei Giudici della cautela, la disponibilità in capo alla medesima di quanto custodito nel luogo,
1.3. In punto esigenze cautelari, è stato dato rilievo al rischio di recidivanza desunto dalle specifiche modalità e circostanze della condotte, indicative di una spiccata attitudine criminale e tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con ambienti criminali per conto dei quali tali armi vengono custodite e detenute; la misura custodiale domiciliare è stata ritenuta adeguata, in considerazione della pericolosità sociale dell’indagata, che, pur incensurata, “lungi dall’adottare una condotta collaborativa si è ben guardata dal consegnare l’illecito armamentario ai militari operanti, ma, al contrario, ha assecondato le richieste del padre e, dunque, con questi cercato ad ogni costo di sviare le indagini, così dimostrando, in ultima analisi, assoluta pervicacia criminale e spregiudicatezza”.
Avverso la predetta ordinanza NOME AVV_NOTAIO COGNOME, per mezzo dei difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 dis att. cod. proc. pen., insistendo per l’annullamento del provvedimento impugNOME.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), c) ed e) , cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento agli artt. 309 e 273 cod. proc. pen., ed il vizio di motivazione rispetto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della indagata, nonché l’omessa motivazione con riguardo alle argomentazioni difensive proposte nel giudizio di riesame.
La giovane COGNOME si era recata al casolare solo per seguire la madre che stava aderendo ad una richiesta del marito; le due donne non sapevano, fino alla mattina dei fatti, dell’esistenza dell’arma ivi occultata; peraltro, osserva la Difesa, se l’avessero saputo non avrebbero avuto bisogno dell’input del padre e marito, per recarsi ad occultare l’arma. Anche la circostanza che le due donne recuperarono nell’occasione due borsoni, uno dei quali conteneva oggetti non incriminanti, conduce alla conclusione circa la inconsapevolezza delle donne del contenuto dei borsoni stessi.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) , c) ed e) , cod. proc. pen. la violazione di legge, in particolare degli artt.309 e 274 cod. proc. pen. ed il relativo vizio di motivazione inesistente, contraddittoria o comunque apparente rispetto al pericolo di recidiva, ed omessa motivazione con riguardo alle argomentazioni difensive proposte nel giudizio di riesame.
Il giudizio di persistente pericolo di recidiva risulta disancorato dalle specifiche argomentazioni difensive, attinenti all’assenza di precedenti penali, l’ammissione dei fatti e la occasionalità della condotta: tutti elementi che il Tribunale ha omesso di considerare. Quanto al riferimento ai collegamenti con contesti criminali di più ampio respiro, trattasi di argomento che non si attaglia alla posizione della ricorrente risolvendosi in una mera clausola di stile, non essendo state indicate le specifiche circostanze dei fatti su cui si fonda tale giudizio.
2.3. Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., il vizio di motivazione e di omessa valutazione, anche per travisamento del fatto, con riferimento al pericolo di reiterazione del reato fondato sull’errato presupposto della collusione della indagata con ambienti criminali pur in assenza di elementi indiziari al riguardo.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha depositato una memoria con la quale chiede il rigetto del ricorso.
Con memoria telematicamente depositata la Difesa ha avanzato motivi nuovi.
Deduce in particolare violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., in riferimento all’art. 110, 648 cod. pen. e 23 I. 110 del 1975. Il vizio in cui è incorso il Tribunale del riesame si concretizza nell’avere effettuato un automatismo tra la condotta di tutti gli indagati, peraltro appartenenti al medesimo nucleo familiare, senza valutare le differenti posizioni dovute anche al contesto familiare e culturale degli stessi.
Con un secondo motivo ha dedotto vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 274 comma 1 lett. c) e 275 comma 3 cod. proc. pen., nonché motivazione generica e apparente e carenza della motivazione anche con riguardo alle argomentazioni difensive. Il Tribunale avrebbe dovuto valutare in concreto la sussistenza del rischio di reiterazione del reato, valutandolo sia alla luce degli elementi specifici sulla base dei quali è stata esclusa l’adeguatezza della misura carceraria, quindi il ruolo marginale dell’indagata: tale analisi è mancata non avendo il Tribunale nè individuato né spiegato gli elementi specifici dai quali desumere l’attualità del rischio di reiterazione dei reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato esclusivamente con riferimento ai motivi attinenti la sussistenza delle esigenze cautelari, dovendosi respingere nel resto.
Va in particolare respinto il motivo con il quale la Difesa censura l’impugnata ordinanza nella parte in cui ha ritenuto sussistenti in capo all’indagata gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati.
2.1. Va ricordato come, in tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugNOME. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01).
In termini generali, deve anche COGNOME ribadirsi che ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede la precisione e la concordanza degli indizi giacché il comma 1-bis dell’art. 273 cod. proc. pen. richiama espressamente i soli commi 3 e 4, ma non il comma 2 del suddetto art. 192 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 27498 del 23/5/2019, COGNOME, Rv. 276704; Sez. 1, n. 43258 del 22/05/2018, Tantone, Rv. 275805; Sez. 2, n. 22968 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270172).
2.2. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame, con motivazione adeguata e non manifestamente illogica, ha ritenuto sussistente un quadro di gravità indiziaria in capo all’indagata evidenziando come, la mattina del 18/02/2024, l’odierna ricorrente, unitamente alla madre NOME COGNOME, fosse stata colta dai militari operanti nel possesso dell’arma di cui all’imputazione; le due donne si erano infatti recate nella casa di campagna su indicazione di NOME NOME COGNOME che, nel corso della perquisizione già avviata nei suoi confronti, si era premurato di avvertire le famigliari di spostare i due borsoni che si trovavano nel casolare e di occultarli nella campagne circostanti.
La tesi difensiva volta ad avvalorare l’inconsapevolezza in capo all’indagata del contenuto dei borsoni è smentita dalle stesse parole rese dalla COGNOME in interrogatorio di garanzia, come riportate in ricorso (pag. 5: “mio padre ha detto che c’era l’arma in casa, noi siamo andate e l’abbiamo tolta”).
Va a tale proposito ricordato come, ai fini della configurabilità del concorso in detenzione o porto illegale di armi, è necessario che ciascuno dei compartecipi abbia la disponibilità materiale di esse e si trovi, pertanto, in una situazione di fatto tale per cui possa, comunque, in qualsiasi momento, disporne (sez. 1, n. 6796 del 22/0172019, Rv. 274806 – 01): nel caso di specie, allorquando intervengono i Carabinieri, l’arma è già nel possesso dell’indagata, dentro un borsone, che la COGNOME, unitamente alla madre, aveva già prelevato dall’interno del casolare.
Congrue e logiche appaiono quindi le argomentazioni del Tribunale del Riesame che, dopo aver dato conto delle censure difensive prospettate dalla ricorrente, ha valorizzato, per la riconducibilità alla indagata della condotta contestata, il luogo di rinvenimento e di custodia del borsone contenente le armi e il munizionamento (trattandosi di un casolare di campagna nella disponibilità dell’intero nucleo familiare), la dinamica del sollecito recupero e del tentativo di occultamento del borsone da parte della NOME, su indicazioni del padre, l’estrema rapidità con cui aveva eseguito tali indicazioni senza alcuna necessità di ulteriori chiarimenti.
È appena il caso di ricordare infatti che questa Corte è priva di potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e di rivalutazione degli apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità, quindi, è limitato all’esame del contenuto dell’atto impugNOME e alla verifica delle ragioni giuridicamente significative che lo determinavano e dell’assenza d’illogicità evidente, ossia dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie ( tra le altre, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, COGNOME, Rv. 221001; Sez.
Un., n. 11 del 22/03/2000 , COGNOME, Rv. 215828 ), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (cfr. Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, COGNOME, Rv. 215331; Sez. 1, n. 1496 dell’11/03/1998, COGNOME, Rv. 211027; Sez. Un., n. 19 del 25/10/1994, COGNOME, Rv. 199391).
Fondati appaiono viceversa sia il secondo che il terzo motivi del ricorso, come integrati dai motivi aggiunti.
La motivazione del provvedimento custodiale, condivisibile come visto nella parte riguardante la gravità indiziaria, risulta tuttavia carente e meramente assertiva sui punti decisivi riguardanti il giudizio in ordine alla sussistenza attuale di un quadro cautelare connotato da un oggettivo pericolo di reiterazione del reato da parte dell’indagata e all’idoneità a contenerlo della sola misura custodiale, sia pure domiciliare, in quanto basato sul rilievo di collegamenti con la criminalità organizzata che, per quanto attiene la specifica posizione della COGNOME, appaiono sforniti di adeguato supporto probatorio e quindi della necessaria concretezza.
3.1. Va anche osservato come non sia dato rinvenire nell’ordinanza impugnata la considerazione prognostica dell’entità della pena prevedibilmente irrogabile nel giudizio di cognizione, atteso l’esplicito disposto dell’art. 275 cod. proc. pen., comma 2 -bis, come novellato dal D.L. 26 giugno 2014, nr. 92, tenuto anche conto del fatto che la COGNOME all’epoca del fatto era, oltre che incensurata, infraventunenne.
3.2. Quanto infine al dedotto profilo dell’adeguatezza della misura detentiva, sia pure nella forma attenuata domiciliare, va ricordato come il giudice, sia in fase di applicazione di una misura cautelare che in sede di riesame, ha il dovere di effettuare una valutazione globale e complessiva della vicenda cautelare alla stregua di una serie di parametri di apprezzamento, di natura tanto oggettiva che soggettiva, quali sono delineati dagli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.. Ne consegue che sia l’applicazione che il mantenimento delle misure cautelari personali non possono in nessun caso fondarsi esclusivamente su una prognosi di colpevolezza, ne’ mirare a soddisfare le finalità tipiche della pena – pur nelle sue ben note connotazioni di polifunzionalità – ne’, infine, essere o risultare in itinere prive di un loro specifico e circoscritto scopo.
Esiste, quindi, un nesso inscindibile tra la misura e la funzione cautelare che essa deve assolvere. Ciò comporta che la compressione della libertà personale deve avere luogo secondo un paradigma di rigorosa gradualità, così da riservare alla più intensa limitazione della libertà, attuata mediante le misure di tipo custodiale, il carattere residuale di extrema ratio. Nel novero dei parametri legislativamente delineati si iscrivono anche i principi di proporzionalità e adeguatezza che sono destinati a spieg
i loro effetti tanto nella fase genetica della applicazione della misura, che nel suo aspetto funzionale della relativa protrazione.
In forza del canone di adeguatezza il giudice deve porre in correlazione logica la specifica idoneità della misura a fronteggiare le esigenze cautelari che si ravvisano nel caso concreto e il paradigma di gradualità.
Tale specifico aspetto risulta carente: pur avendo diversificato le posizioni dei coindagati, il Tribunale ha tuttavia omesso di effettuare una specifica analisi concreta e individualizzata rispetto alla personalità della giovane NOME, al fine di verificare l’idoneità a garantire le ritenute esigenze cautelari anche di misure non custodiali.
L’ordinanza impugnata deve, dunque, essere annullata, limitatamente al punto relativo alle esigenze cautelari, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio su punto al Tribunale di Catanzaro, competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, C.P.P..
Così deciso il 22 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente