Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4228 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 4228  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/08/2023 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso
Depositata in Caneelieìia
Oggi ,   3 I GEN, 2524
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza del 22 agosto 2023 il Tribunale del riesame di Napoli h confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari applicata dal Giudice p indagini preliminari con l’ordinanza del 28 luglio 2023 per i reati ex art. 74 n. 309 del 1990, 416-bis.1 cod. pen., quale partecipe dell’associazione delinquere operante nel quartiere di Soccavo di Napoli, dal marzo all’ottobre 2
Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione avverso t ordinanza.
2.1. Con il primo motivo si deduce l’assenza e l’illogicità della motivaz sulla sussistenza dei gravi indizi. Il Tribunale del riesame avrebbe risposto ai avverso l’ordinanza genetica con un ragionamento palesemente precario e illogic le indagini non proverebbero che l’indagato sia l’addetto alla piazza di spac NOME COGNOME.
Il Giudice per le indagini preliminari, pur avendo applicato la misura caute nei confronti del ricorrente ritenendolo uomo di fiducia di NOME COGNOME «sen avrebbe, però, rigettato la richiesta del Pubblico ministero nei confron coindagato NOME COGNOMECOGNOME classe DATA_NASCITA, ritenendo i colloqui non relativ partecipazione all’associazione per delinquere.
Nelle intercettazioni in carcere, richiamate nell’ordinanza, non vi sa stato alcun riferimento allo smercio delle sostanze stupefacenti, tanto Giudice per le indagini preliminari avrebbe rigettato l’applicazione della m cautelare per NOME COGNOME.
Il Tribunale del riesame avrebbe risposto con motivazione apparente al motiv relativo alla conversazione n. 95 del 3 maggio 2016, su cui si fondava l’ordin genetica.
Si deduce, poi, la mancanza di motivazione sul motivo di riesame con cui eccepì che il Giudice per le indagini preliminari non aveva valutato la conversaz n. 624 del 10 Marzo 2016; tale conversazione non sarebbe stata valutata neanc dal Tribunale del riesame.
Il Tribunale del riesame avrebbe ritenuto il ricorrente dedito alla vendita sostanze stupefacenti mediante le conversazioni intercettate all’interno del ca di Frosinone che, secondo il Giudice per le indagini preliminari, non fareb riferimento alla vendita della sostanza stupefacente; sarebbe caduto in evi illogicità perché avrebbe portato a sostegno della tesi investigativa ele ritenuti ininfluenti dal Giudice per le indagini preliminari.
L’illogicità della motivazione sussisterebbe anche con riferimento a conversazione n. 1044 del 13 maggio 2016 che farebbe riferimento non all
sostanze stupefacenti ma ad attività illecite differenti da quelle di cui al capo 4; anche il Giudice per le indagini preliminari avrebbe ritenuto che i guadagni relativi all’attività dei «gelati» si riferissero alle attività estorsive nella zona di Soccavo.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’omessa motivazione sull’attualità delle esigenze cautelari.
Con il riesame si contestò che le condotte erano state compiute in un lasso di tempo risalente e circoscritte al periodo Marzo-ottobre 2016, 7 anni prima dell’ordinanza genetica e non sarebbero state seguite da altre condotte illecite; che il ricorrente è ultrasettantenne ed alla prima esperienza processuale.
Il Tribunale del riesame non avrebbe spiegato perché sussista il pericolo di reiterazione del reato, nonostante gli elementi di fatto indicati dalla difesa, e non si sarebbe confrontato con i motivi di riesame; in particolare, con la richiesta di equiparare la posizione del ricorrente con quella di altri indagati per i quali era stata rigettata la richiesta cautelare per la insussistenza delle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato nella parte in cui contesta la sola illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata.
1.1. Ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che «attaccano» la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spess della valenza probatoria del singolo elemento.
1.2. Il primo motivo è inammissibile per genericità nella parte in cui si sostiene che le intercettazioni in carcere non farebbero riferimento alle sostanze stupefacenti; si deduce, in sostanza, il travisamento della prova senza alcuna indicazione specifica delle fonti di prova che sarebbero state travisate.
1.3. Le contestazioni relative alla conversazione n. 95, specificamente valutata dal Tribunale del riesame, consistono, invece, in una mera lettura alternativa della intercettazione.
1.4. Il motivo è inammissibile per genericità quanto al dedotto travisamento della prova per omissione della conversazione n. 624 del 10 marzo 2016, di cui non si indica neanche il contenuto né la rilevanza ai fini della decisione.
Il ricorso per cassazione, con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argonnentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01).
1.5. In relazione alle conversazioni in carcere, il ricorso non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata, con il ruolo descritto nell’ordinanza all’interno dell’associazione per delinquere e con la diretta partecipazione dell’indagato alle conversazioni registrate.
1.6. Manifestamente infondato è il motivo relativo alla conversazione del 13 maggio 2016, esplicitamente ricollegata dal Tribunale del riesame alle attività relative al «pizzo».
Il secondo motivo sulla attualità delle esigenze cautelari è fondato.
Va preliminarmente rilevato che la presunzione relativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è stata ritenuta insussistente, poiché all’indagato è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari.
2.1. L’art. 292, lett. c), cod. proc. pen. impone, anche ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari, la valutazione del tempo trascorso dal commesso reato.
La distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta infatti un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione all’attualità che in relazione alla scelta della misura (Sez. 4, n. 24478 del 12/03/2015, Palermo, Rv. 263722).
2.1.1. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40538 del 24/09/2009, COGNOME, Rv. 244377, in tema di misure cautelari, hanno affermato il principio per il quale il riferimento in ordine al «tempo trascorso dalla
commissione del reato» di cui all’art. 292, comma 2, lett. c) cod. proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari.
Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020, Oliverio, Rv. 279122 – 01, ha di recente affermato che, in tema di presupposti per l’applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdot nell’art. 274, lett. c), cod. proc, pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma indica, invece, la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo d concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare. Ove i reati siano risalenti nel tempo rispetto all’adozione della misura, l’attualità può essere desunta anche dalla persistenza di atteggiamenti che siano espressione sintomatica della proclività al delitto o di collegamenti con l’ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (cfr. in tal senso Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Stamegna, Rv.. 267785 – 01).
2.1.2. Quanto al rapporto tra il decorso del tempo ed il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in relazione a condotte risalenti nel tempo, la sussistenza delle esigenze cautelari deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità; ciò in quanto per tale fattispecie associativa, qualificata unicamente dai reati fine, non può essere applicata la regola di esperienza valida per le associazioni di tipo mafioso, della tendenziale stabilità del sodalizio, in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individual o lo scioglimento del gruppo (cfr. Sez. 3, n. 17110 del 19/01/2016, COGNOME, Rv. 267160).
2.1.3. L’obbligo di motivazione in relazione al tempo decorso dal fatto è stato affermato anche nei casi in cui sussista la presunzione relativa.
Cfr. Sez. 1, n. 42714 del 19/07/2019, Terminio, Rv. 277231 – 01, per cui, in tema di misure cautelari, quando si procede per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale non segnato da condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità (cd. tempo silente), che può rientrare tra
gli «elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», cui si riferisce lo stesso art. 275 comma 3 cod. proc. pen.
2.2. Orbene, il reato per cui si procede risale al 2016; la misura cautelare è stata emessa a distanza di 7 anni dal fatto: si tratta oggettivamente di un notevole lasso di tempo. Inoltre, il reato associativo ha una contestazione chiusa, perché l’attività del sodalizio si sarebbe svolta dal marzo al mese di ottobre 2016.
Dunque, il notevole lasso di tempo decorso e la cessazione della permanenza del reato associativo impongono un obbligo di motivazione particolarmente rigoroso per ritenere che le esigenze cautelari siano esistenti.
2.3. Tale obbligo di motivazione non è stato assolto dal Tribunale del riesame. L’attualità della pericolosità sociale è stata dedotta, nonostante l’assenza di precedenti penali e l’età avanzata, dalla continua frequentazione con gli «esponenti del sodalizio in esame», che però avrebbe cessato di operare nel 2016.
Inoltre, i controlli a cui fa riferimento il Tribunale del riesame sarebbero risalenti al 2017: si tratta di elementi di fatto non attuali e non dimostrativi vincoli associativi o di rapporti con ambienti criminali.
Del tutto irrilevante è poi l’esercizio della facoltà di non rispondere ai fin dell’attualità delle esigenze cautelari.
L’affermazione di aver messo a disposizione la propria persona a disposizione «dell’organizzazione camorristica» collide con la contestazione del solo delitto ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990.
Si impone, dunque, l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente alla sussistenza delle esigenze cautelari, con rinvio al Tribunale del riesame di Napoli, per nuovo giudizio sul punto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso Così deciso il 28/11/2023.