Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30552 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30552 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/12/2023 della Corte d’appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15/12/2023, la Corte d’appello di L’Aquila confermava la sentenza del 17/01/2022 del Tribunale di Teramo di condanna di COGNOME alla pena di sette mesi di reclusione per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose di cui al capo A) dell’imputazione e di danneggiamento pluriaggravato (dall’avere commesso il fatto per eseguire il reato di cui al capo “A” dell’imputazione e su cosa esposta per necessità alla pubblica fede) di cui al capo 13) dell’imputazione, reati entrambi commessi il 18/02/2019 ai danni di NOME.
Avverso tale sentenza del 15/12/2023 della Corte d’appello di L’Aquila, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza «dell’aggravante ex art. 625 n. 7 c.p.», con riferimento al delitto di danneggiamento.
Il ricorrente contesta l’affermazione della Corte d’appello di L’Aquila secondo cui, al fine di valutare se la cosa danneggiata si dovesse ritenere esposta per necessità alla pubblica fede, non rileverebbe la «presenza in loco o meno della persona offesa».
Il ricorrente rappresenta che il danneggiamento, mediante una mazza da lavoro, del pavimento antistante la pizzeria della persona offesa NOME COGNOME era avvenuto, come era stato dichiarato dallo stesso COGNOME, «dinanzi proprio agli occhi del proprietario e del teste NOME NOME».
Per tale ragione, il ricorrente sostiene che il suddetto danneggiato pavimento della pizzeria non si poteva ritenere esposto per necessità alla pubblica fede, atteso che «esso era, nel momento del danneggiamento, sotto diretta tutela del proprietario».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dell’aggravante (del reato di danneggiamento) prevista dall’art. 61, n. 2), cod. pen.
Il ricorrente deduce che tale circostanza aggravante non sarebbe stata «neppure menzionata dalla Sentenza di appello» e sarebbe comunque insussistente in quanto sarebbe «palese che il reato di danneggiamento è dovuto al fatto che il prevenuto ubriaco si arrabbiava (vedi deposizione del teste COGNOME) e gli rompeva il pavimento. Tale gesto non è volto ad ottenere il pagamento del dovuto ma solo a fare un danno alla vittima per via dell’ubriachezza».
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione con riguard all’affermazione di responsabilità per il reato di esercizio arbitrario delle propri ragioni con violenza sulle cose di cui al capo A) dell’imputazione.
Il ricorrente deduce che: a) «non vi è prova certa che la reazione dell’imputato sia legata alla mancata dazione di denaro essendo lo stesso ubriaco. Infatti, il teste COGNOME riferisce che il COGNOME sia andato a comprare le pizze che avrebbe pure pagato ed è lampante che se fosse andato in tale sede per compiere l’azione di cui al capo b) di certo non le avrebbe mai pagate»; b) posto che l’art. 392 cod. pen. richiede che «al momento della condotta violenta posta in essere dal reo già in atto tra gli interessati una contesa, non necessariamente giudiziale, ma anche di mero
fatto, intorno alla titolarità e alla modalità di esercizio del diritto», nel ca specie «l’imputato si recava presso l’esercizio commerciale della p.o. chiedendo una somma di denaro per i lavori effettuati diversi anni prima come riferito dal teste COGNOME il quale escusso all’udienza del 13.9.21 non menziona mai se, in effetti, si sia rifiutato di dare tale somma al deducente e tale mancanza si ravvede anche nella deposizione del teste COGNOME . Infatti, addirittura dalla cross examination pare che la richiesta di denaro e il danneggiamento siano stati espletati in due momenti diversi», con la conseguenza che «non vi è prova tra il danneggiamento e l’effettiva motivazione dell’azione stessa anche in considerazione dello stato di ubriachezza in cui versava il ricorrente anche perché non vi è traccia dell’eventuale rifiuto del creditore».
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 606 comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 131-bis cod. pen.
Il COGNOME deduce che: a) « nulla rilevano i precedenti del reo poiché il comportamento non può essere ritenuto abituale»; b) «il pavimento era stato solo scalfito come rappresentato dal teste di COGNOME a pag. 8 e, pertanto, da ciò si ritiene che il danno sia stato davvero di lieve tenuità».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo deve essere accolto.
È anzitutto necessario chiarire che, diversamente da quanto mostrano di ritenere sia il ricorrente sia la stessa Corte d’appello di L’Aquila, la commissione del fatto di danneggiamento su una cosa esposta per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede rappresenta ormai, dopo la sostituzione dell’art. 635 cod. pen. a opera dell’art. 2, comma 1, lett. /), del d.lgs. 15 gennai 2016, n. 7, non una circostanza aggravante ma un elemento c:ostitutivo del reato di danneggiamento (semplice), in assenza del quale, perciò, il fatto di danneggiamento è privo di rilevanza penale.
Da ciò discende che, col contestare l’esposizione alla pubblica fede del danneggiato pavimento antistante la pizzeria della persona offesa, il ricorrente ha in realtà contestato la sussistenza non di una circostanza aggravante ma dello stesso reato di danneggiamento, atteso che, come si è detto, la circostanza aggravante dell’essere il fatto di danneggiamento commesso su una cosa esposta per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede è stata ormai “elevata” dal legislatore da elemento accidentale a elemento costitutivo del reato.
Tale contestazione del ricorrente consente al Collegio di rilevare che, anche nel caso di ritenuta sussistenza del reato di danneggiamento, esso risulterebbe
comunque nella specie assorbito nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose di cui al capo A) dell’imputazione.
Nel reato di cui all’art. 392 cod. pen., il farsi arbitrariamente ragione da s medesimo deve intervenire «mediante violenza sulle cose» (primo comma).
Poiché nella vigenza dell’art. 235 del Codice Zanardelli (regio decreto 30 giugno 1889, n. 6133), in ordine a tale requisito del reato, erano insorti numerosi contrasti interpretativi, il legislatore del Codice penale del 1930 ha ritenut opportuno precisare che, «gli effetti della legge penale», si ha «violenza sulle cose» allorché la cosa viene «danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione» (secondo comma dell’art. 392 cod. pen.).
Per la nozione di danneggiamento della cosa, si deve fare riferimento all’art. 635, primo comma, cod. pen., il quale precisa che la cosa è danneggiata quando è distrutta, dispersa, deteriorata o resa in tutto o in parte inservibile.
Da ciò discende, per quanto al presente interessa, che la legge considera elemento costitutivo del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose fatti che costituirebbero, di per sé stessi, il reato danneggiamento («allorché la cosa viene danneggiata»).
Pertanto, la figura del reato complesso, prevista dall’art. 84 cod. pen., implica l’assorbimento di tali fatti nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni c violenza sulle cose (vedi: Sez. 5, n. 2425 del 07/12/1988, dep. 1990, Zamboni, Rv. 183405-01).
Si deve tuttavia precisare che, poiché in tale reato la violenza sulle cose è quella (e solo quella) che è strumentale («mediante» violenza sulle cose) al farsi ragione da sé medesimo, è solo entro tale limite che si determina l’assorbimento dei fatti di danneggiamento nel reato di cui all’art. 392 cod. peri., laddove, qualora gli stessi fatti di danneggiamento risultino sproporzionati rispetto alle esigenze che sono connesse alla realizzazione del preteso diritto, il reato di danneggiamento concorrerà con quello di “ragion fattasi”.
Nel caso in esame, il Collegio ritiene che scalfittura, da parte dell’imputato, del pavimento antistante il locale della persona offesa al fine di esercitare il preteso diritto al compenso per il lavoro di posa dello stesso pavimento costituisca una violenza non eccedente quella strumentale al farsi ragione cla sé medesimo e, quindi, non sproporzionata rispetto a tale fine, con la conseguenza che il suddetto fatto di danneggiamento del pavimento si deve ritenere assorbito nel reato di “ragion fattasi” di cui al capo A) dell’imputazione.
L’esame del secondo motivo, avendo esso a oggetto la contestazione della sussistenza di una circostanza aggravante del reato di danneggiamento di cui al capo B) dell’imputazione, è assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
Il terzo motivo non è consentito.
3.1. Costituisce un principio pacificamente accolto dalla Corte di cassazione quello secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali a imporre una diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatori del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caraclonna, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965-01).
3.2. Richiamato tale principio, si deve osservare come le conformi sentenze dei giudici di merito abbiano ritenuto la responsabilità dell’imputato per il reato d esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose sulla base degli elementi di prova costituiti dalle dichiarazioni che erano state rese, nel corso del dibattimento, dalla persona offesa NOME COGNOME e dal suo collaboratore NOME COGNOME, i quali avevano concordemente riferito come il COGNOME – che, anni prima, nel 2014, aveva effettuato dei lavori di posa di pavimentazione presso la pizzeria del COGNOME che gli erano stati regolarmente pagati -, il giorno dei fatti (18/02/2019), si fosse recato, in evidente stato di ubriachezza, presso la suddetta pizzeria avanzando ulteriori richieste di denaro e, al rifiuto del COGNOME di corrisponderglielo, avesse estratto dal proprio glubbino una mazza da lavoro iniziando dapprima a minacciare di rompere tutto, giustificando tale comportamento con la pretesa di ottenere dal COGNOME i soldi che riteneva spettargli, e poi, iniziando effettivamente a colpire con la suddetta mazza il pavimento antistante la pizzeria danneggiandolo (il che era stato constatato anche dal Carabiniere NOME COGNOME che era intervenuto sul posto).
Tale condotta integra l’attribuito reato di cui all’art. 392 cod. pen sussistendone gli elementi costitutivi della violenza sulle cose (costituita dal danneggiamento della pavimentazione) finalizzata all’affermazione, mediante la stessa violenza, del preteso diritto, contrastato dall’asserito debitore (la persona offesa NOME COGNOME), al pagamento del compenso per l’effettuato lavoro di posa della suddetta pavimentazione; diritto di credito per la tutela del quale l’imputato ben avrebbe potuto ricorrere al giudice, avendo invece inteso farsi arbitrariamente ragione da sé medesimo.
A fronte di ciò, le doglianze del ricorrente, le quali si appuntano, essenzialmente, COGNOME sull’asserita COGNOME mancata finalizzazione della condotta di
danneggiamento all’affermazione di un contrastato diritto al pagamento della propria prestazione lavorativa, più che evidenziare un vizio che si possa ritenere rilevante ai sensi della lett. e) del comma 1 dell’art. 606 cod. proc. pen. e, segnatamente, una manifesta illogicità della motivazione, appaiono sostanzialmente dirette a ottenere una differente valutazione della valenza degli elementi probatori, in particolare delle dichiarazioni dei due testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME, il che non è possibile fare in sede di legittimità.
Il quarto motivo non è consentito perché è del tutto aspecifico.
4.1. Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità pe particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio s tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590-01).
L’ambito applicativo della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen. è, peraltro, limitato requisito soggettivo della non abitualità del comportamento («e il comportamento risulta non abituale»).
Il comportamento abituale è definito dal terzo (ora quarto) comma dell’art. 131-bis cod. pen. che, nel tipizzare l’abitualità, fa riferimento, tra l’altro, «comm più reati della stessa indole». L’abitualità si concretizza quindi in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque, almeno due), diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. (e che possono essere commessi anche successivamente a quest’ultimo). In breve, il terzo illecito della medesima indole dà legalmente luogo alla “serialità” che osta all’applicazione dell’istituto (Sez. U n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591-01; nello stesso senso, successivamente: Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, COGNOME, Rv. 278347-01).
4.2. Nel caso in esame, la Corte d’appello di L’Aquila ha escluso di applicare la causa di non punibilità che è prevista dall’art. 131-bis cod. pen. proprio in ragione dell’abitualità della condotta («difettando il necessario requisito della non abitualità della condotta»), attesa la «presenza di due precedenti specifici per delitti contro il patrimonio».
A fronte di tale motivazione, la quale si fonda perciò sul fatto che l’imputato, avendo commesso un terzo illecito della stessa indole dei due precedenti, aveva realizzato l’indicata “serialità” ostativa all’applicazione dell’istituto, la doglianza ricorrente – il quale, al riguardo, si è limitato ad affermare, in modo meramente
assertivo e anapodittico, che «il comportamento non può essere ritenuto abituale» – si appalesa come del tutto generica e, perciò non consentita.
Parimenti non consentita è la doglianza con la quale il ricorrente sostiene la particolare tenuità dell’offesa («il pavimento era stato solo scalfito»), atteso che, come si è detto, la Corte d’appello di L’Aquila ha ritenuto che il fatto non si potesse ritenere di particolare tenuità, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., in ragione no dell’entità dell’offesa ma, come si è detto, dell’abitualità del comportamento, con la conseguenza che la doglianza è, sul punto, non conferente rispetto alla motivazione della sentenza impugnata e, perciò, appunto, non consentita.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, ritenuto assorbito il reato di danneggiamento nella violazione dell’art. 392 cod. pen., con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per la rideterminazione della pena per tale meno grave reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose. Tale rideterminazione si rende necessaria in quanto il disposto annullamento parziale ha eliminato il vincolo della continuazione che aveva costituito la ragione per la quale la pena per il meno grave reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose era stata determinata con il criterio del cumulo giuridico di cui all’art. 81 cod. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, ritenuto assorbito il reato di danneggiamento nella violazione dell’art. 392 cod. pen., con rinvio alla Corte d’appello di Perugia.
Così deciso il 31/05/2024.