Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 27174 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 27174 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Pubblico Ministero presso il Tribunale di Patti nel procedimento a carico di:
COGNOME NOME nato a Tortorici il 23/02/1963
COGNOME NOME nato a Santa’Agata di Militello il 21/10/1991
avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Messina in data 16/12/2024
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME la quale ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio;
lette le memorie difensive dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME Giuseppe i quali hanno chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.11 Pubblico Ministero presso il Tribunale di Patti ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame di Messina
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ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di Patti in data 13/11/2024 che, previa riqualificazione di fatti contestati ai capì 6) e 7 (art. 629 cod. pen.), ai sensi dell’art. 393 cod. pen., aveva respinto la richiesta applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Deduce l’impugnante che il Tribunale avrebbe errato nel ravvisare nella condotta degli imputati, consistita nel costringere mediante minaccia COGNOME NOME e COGNOME NOME ad abbandonare i pascoli loro concessi dai proprietari dei fondi in comodato d’uso (capo 6 dell’imputazione) e nel costringere con minaccia di morte NOME ad abbandonare i pascoli a luì concessi in comodato d’uso (capo 7 dell’imputazione), il meno grave delitto di cui all’art. 393 cod. pen. e, quanto al capo 5) il delitto di cui all’art. 392 cod. pen., così da escluder l’applicazione della misura cautelare degli arresti domicillari.
Ad avviso del ricorrente, infatti, nei casi in esame sarebbe configurabile l’estorsione poiché gli indagati agirono non già per tutelare un “preteso diritto”, ma per tutelare un possesso illegittimo e quindi in mala fede.
2.Con il secondo motivo il P.M. deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione avendo il Tribunale ritenuto che gli indagati avessero agito nella convinzione di essere “proprietari dell’area”, valorizzando pretese controversie sulla proprietà dei terreni senza considerare che, dalle indagini, emergeva, piuttosto, che i Destro agirono prepotentemente, ben consapevoli dell’arbitrarietà del loro intervento e quindi in mala fede, tanto che proposero ai contendenti di acquistare i beni oggetto di controversia.
Nessun rilievo potrebbe essere attribuito, secondo il ricorrente al fatto che, rispetto ad alcune particelle catastali, diverse da quelle occupate dagli indagati, i testimoni avessero dichiarato di essersi disinteressati dei terreni e che quindi i Destro li avessero legittimamente usucapiti e li tutelassero confidando nella legittimità delle loro pretese, poichè si tratterebbe di terreni diversi da quel riferibili ai Campisi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono inammissibili perchè sotto forma di censure di legittimità, inerenti alla mancanza o illogicità della motivazione, mirano ad introdurre una diversa ricostruzione dei fatti non opponibile a quella logica operata dal giudice di merito. Ed invero, nell’ipotesi dì ricorso per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il sindacato in sede di legittimità è limitato alla sola verifica del sussistenza dell’esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine
apprezzarne la rilevanza giuridica, nonché della congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive. Ne consegue che resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche (Sez. 3, n. 40542 del 12/10/2007, Rv. 238016).
Ed ancora, è inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perché lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge ( Sez. 7, ordinanza n. 12406 del 19/02/2015, Rv. 262948).
2.Nel caso esaminato il P.M., anche mediante la sottoposizione diretta di un atto processuale ( si veda pag. 14 del ricorso) sollecita la Corte ad una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, in assenza di reali travisamenti della prova (per omissione o per la valutazione di un dato probatorio incontrovertibilmente diverso da quello reale), dovendosi ribadire che è inibita alla Corte di legittimità qualsiasi nuova valutazione delle prove o degli indizi ( Sez. 6,n. 33435 del 4 /5/2006, Rv., 234364)
Ed invero, il Tribunale del riesame, condividendo la decisione del Gip, ha fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di discrimen tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione (Sez. U. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027).
Il Tribunale ha passato in rassegna tutte le dichiarazioni accusatorie: quelle di NOME COGNOME e NOME e quelle di altri proprietari terrieri risultati soccombenti nelle cause relative alla acquisizione della proprietà da parte dei Destro, per usucapione, compiutamente esaminando anche le dichiarazioni dei due COGNOME che hanno riferito delle minacce subite dai Destro affinchè non portassero i loro animali al pascolo nei terreni in questione, e ne hanno motivato l’inconducenza evidenziando come il presunto accordo dei Campisi con gli Amadore, che asserivano di essere proprietari dei terreni, fosse successivo ai fatti ( cfr. pagg. 11 e 12 dell’ordinanza).
In sostanza il Tribunale ha ravvisato la fattispecie di cui all’art. 393 cod. pen., in luogo dell’ipotesi estorsiva di cui all’art. 629 cod. pen., in ragione di plurime circostanze di fatto, non oggetto di travisamenti, ha motivato in ordine alla sussistenza di una situazione controversa in ordine al riconoscimento del diritto di proprietà sui terreni, come quelli in oggetto, ubicati in località Cugnuso e che
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aveva condotto all’instaurazione di molte controversie in sede civile, dalle quali i
Destro erano usciti vittoriosi in tutti i gradi di giudizio ( pag. 11 dell’ordinanza)
concludendo che, anche nel caso dei Campisi, poteva ritenersi sussistente la buona fede degli indagati. Questi ultimi infatti, a fronte di una situazione di
generalizzata incertezza in ordine al conseguimento del diritto di proprietà per usucapione, ben potevano avere agito nella ragionevole convinzione di esercitare
una pretesa legittima.
Le Sez. U. “COGNOME” hanno infatti affermato che i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur
caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all’elemento psicologico: nel primo, l’agente
persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di
esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente
persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua
ingiustizia.
Deve precisarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dal P.M., ai fini della configurabilità del delitto di “ragion fattasi” è sufficiente la convinzione soggettiva – purché non arbitraria e pretestuosa, cioè tale da palesare che l’opinato diritto mascheri altre finalità, determinanti esse l’esplicazione della violenza o il ricorso alla minaccia – dell’esistenza del diritto tutelabile, posto che la possibilità di ricorso al giudice deve intendersi come possibilità in astratto, indipendentemente dalla fondatezza dell’azione e quindi dall’esito eventuale della stessa.
Ciò che caratterizza il reato è infatti la sostituzione dello strumento di tutela pubblico con quello privato, operata dall’agente al fine di esercitare un diritto, con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027; Sez. 5, n. 22140 del 17/04/2019, Rv. 276249; Sez. 6, n. 6226 del 15/01/2020, Rv. 278614; Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017, Rv. 269967).
Alla stregua di quanto complessivamente osservato i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
p.q.m.
Dichiara inammissibili i ricorsi. Così deciso il 15/05/2025