Esercizio arbitrario: quando non esclude l’estorsione
La linea di demarcazione tra la legittima pretesa di un diritto e la commissione di un reato grave come l’estorsione è spesso sottile e complessa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: se la decisione di un giudice di merito è ben motivata e priva di vizi logici, non è possibile invocare l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni in sede di legittimità per ottenere una nuova valutazione dei fatti. Analizziamo questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un individuo condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello per il reato di estorsione aggravata. Non accettando la condanna, l’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. La sua tesi difensiva si basava su un unico, cruciale motivo: la presunta erronea qualificazione giuridica dei fatti.
La Tesi Difensiva e l’Esercizio Arbitrario delle Proprie Ragioni
Secondo il ricorrente, le sue azioni non configuravano il grave delitto di estorsione, bensì la fattispecie meno grave prevista dall’art. 393 del codice penale, ovvero l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. In sostanza, egli sosteneva di non aver agito con l’intento di ottenere un profitto ingiusto, ma solo per far valere un proprio diritto, seppur con modalità non conformi alla legge. Chiedeva quindi alla Suprema Corte di riqualificare il fatto, con conseguenze significative sulla pena.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile. Questa decisione non è entrata nel merito della distinzione tra i due reati nel caso specifico, ma si è concentrata sulla correttezza procedurale e logica della sentenza impugnata. Con questa pronuncia, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Sentenza
Il cuore della decisione risiede nel ruolo e nei limiti del giudizio di Cassazione. I giudici hanno spiegato che il ricorso non era ammissibile perché, di fatto, chiedeva una terza valutazione dei fatti, cosa che non rientra nei poteri della Suprema Corte.
La Corte ha osservato che i giudici della Corte d’Appello avevano già fornito una “congrua motivazione esente da vizi logici” per spiegare le ragioni del loro convincimento. Nelle pagine 5 e 6 della sentenza di secondo grado, erano stati esplicitati gli argomenti giuridici per cui la condotta dell’imputato integrava il reato di estorsione e non poteva essere considerata un’ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Poiché questa motivazione era stata ritenuta completa, coerente e giuridicamente corretta, la Cassazione ha concluso che non c’erano i presupposti per accogliere il ricorso. L’appello si risolveva in una mera richiesta di riconsiderare il caso, basata su una diversa interpretazione dei fatti, che è di esclusiva competenza dei giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Suprema Corte non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici dei gradi precedenti, a meno che la motivazione della sentenza impugnata non sia palesemente illogica, contraddittoria o carente.
Per gli avvocati e gli imputati, ciò significa che un ricorso in Cassazione ha possibilità di successo solo se si concentra sulla denuncia di specifici errori di diritto o vizi di motivazione gravi ed evidenti. Non è sufficiente sostenere una ricostruzione alternativa dei fatti, anche se plausibile. Se la sentenza d’appello è ben argomentata, come nel caso di specie, le sue conclusioni sui fatti diventano definitive.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non denunciava una violazione di legge o un vizio logico nella motivazione della sentenza precedente, ma si limitava a proporre una diversa interpretazione dei fatti, cercando di ottenere una nuova valutazione del merito che non è consentita in sede di Cassazione.
Cosa aveva stabilito la Corte d’Appello riguardo all’esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
La Corte d’Appello, con una motivazione ritenuta logica e congrua dalla Cassazione, aveva esplicitato le ragioni per cui il comportamento dell’imputato costituiva il reato di estorsione e non poteva essere qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, applicando corretti argomenti giuridici.
Qual è la conseguenza economica per il ricorrente a seguito di questa decisione?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un ricorso inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4132 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4132 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a TORINO il 08/10/2000
avverso la sentenza del 15/02/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
considerato che l’unico motivo, con cui si deduce violazione di legge e vizio motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità per il reat estorsione aggravata ascritto all’odierno ricorrente e alla mancata riqualifica del fatto ai sensi dell’art. 393 cod. pen., non è consentito in questa sede pe giudice di merito, con congrua motivazione esente da vizi logici, ha esplicitat ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 5 e 6 d impugnata sentenza), facendo applicazione di corretti argomenti giuridici, in b ai quali non è possibile configurare nel caso in esame un’ipotesi di eserc arbitrario delle proprie ragioni;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso, il 29/10/2024.