Esercizio Arbitrario delle Proprie Ragioni: Quando la Pretesa Non Basta
L’impulso di “farsi giustizia da sé” è un concetto antico, ma nel diritto penale moderno i confini sono netti e invalicabili. Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni esiste proprio per sanzionare chi, pur avendo un diritto, decide di imporlo con la forza anziché rivolgersi a un giudice. Tuttavia, cosa accade se il diritto vantato non è legittimo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 22125/2024) fa luce su questo punto cruciale, stabilendo che senza una pretesa giuridicamente fondata, non si può parlare di questo specifico reato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. L’imputato sosteneva che la sua condotta, caratterizzata da violenza o minaccia, dovesse essere qualificata come il reato più lieve di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall’art. 393 del Codice Penale. A suo dire, egli agiva per far valere un proprio diritto. Contestava, inoltre, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero potuto comportare una riduzione della pena.
La Decisione della Corte e l’Esercizio Arbitrario delle Proprie Ragioni
La Corte di Cassazione ha respinto completamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il suo ricorso inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri logico-giuridici ben distinti, che affrontano separatamente i motivi del ricorso.
Primo Motivo: L’Assenza di una Pretesa Legittima
Il punto centrale della decisione riguarda la corretta qualificazione del reato. La Corte ha ritenuto il primo motivo del ricorso “manifestamente infondato”. Richiamando un’importante sentenza delle Sezioni Unite (la n. 29541/2020), i giudici hanno ribadito un principio cardine: il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non è configurabile se la condotta non si fonda su una “legittima pretesa creditoria”.
In altre parole, non è sufficiente che l’agente sia convinto di avere un diritto. Tale diritto deve esistere, essere concreto e tutelabile in sede giudiziaria. Se la pretesa è infondata, illegittima o inesistente, l’azione violenta o minacciosa posta in essere per realizzarla non può rientrare nella fattispecie più lieve dell’art. 393 c.p., ma ricadrà in reati più gravi come la violenza privata, la minaccia o l’estorsione.
Secondo Motivo: La Discrezionalità sulle Attenuanti Generiche
Anche il secondo motivo, relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha spiegato che la valutazione sulla concessione di tali attenuanti è un potere discrezionale del giudice di merito. In sede di legittimità, la Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice precedente, ma solo verificare che la motivazione sia corretta e non illogica.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato la sua decisione evidenziando due elementi negativi a carico dell’imputato: l’assenza di qualsiasi condotta riparatoria a favore della vittima e la presenza di un precedente penale specifico. Tale motivazione è stata ritenuta ineccepibile.
Le Motivazioni della Sentenza
Le motivazioni dell’ordinanza si concentrano sulla necessità di preservare il monopolio statale dell’uso della forza per la risoluzione delle controversie. Ammettere la configurabilità dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni anche in assenza di una pretesa giuridicamente valida significherebbe legittimare indirettamente azioni violente basate su mere convinzioni soggettive, con grave pregiudizio per l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. La Corte ha quindi voluto tracciare una linea chiara: solo chi ha un diritto effettivo può, sbagliando, incorrere in questo specifico reato; chi non lo ha, commette un’aggressione pura e semplice al patrimonio o alla libertà altrui. Per quanto riguarda le attenuanti, la motivazione risiede nel rispetto dei gradi di giudizio: la valutazione del merito, se logicamente argomentata, non è sindacabile dalla Corte di Cassazione, il cui compito è garantire l’uniforme interpretazione della legge, non riesaminare i fatti.
Conclusioni
L’ordinanza in commento offre un’importante lezione pratica: non ci si può appellare al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni come scappatoia per giustificare comportamenti violenti se non si è in grado di dimostrare l’esistenza di un diritto tutelabile. La decisione rafforza la tutela delle vittime di aggressioni, impedendo che l’aggressore possa beneficiare di un trattamento sanzionatorio più mite sulla base di pretese arbitrarie e infondate. Inoltre, conferma che la valutazione sulla personalità dell’imputato e sulla concessione delle attenuanti generiche resta saldamente nelle mani dei giudici di merito, a patto che sia sorretta da una motivazione coerente e priva di vizi logici.
Quando un’azione violenta per far valere un diritto si qualifica come ‘esercizio arbitrario delle proprie ragioni’?
Un’azione si qualifica come tale solo se la pretesa alla base è legittima e giuridicamente tutelabile. Se il diritto vantato è inesistente o infondato, si configurano reati più gravi, come la violenza privata o l’estorsione.
È sufficiente essere convinti di avere un diritto per beneficiare della qualificazione più lieve di esercizio arbitrario?
No. Secondo la Corte, la convinzione soggettiva non basta. La pretesa deve essere oggettivamente fondata e avere una base giuridica concreta.
La Corte di Cassazione può annullare la decisione di un giudice che nega le attenuanti generiche?
La Corte di Cassazione può farlo solo se la motivazione del giudice di merito è manifestamente illogica, contraddittoria o giuridicamente scorretta. Se la motivazione è adeguata, come nel caso esaminato in cui si è tenuto conto di precedenti penali e dell’assenza di condotte riparatorie, la decisione non è sindacabile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22125 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME, ritenuto che il primo motivo, con cui si censura violazione dell’art. 393 cod. pen. e vizio di motivazione in relazione alla mancata qualificazione giuridica del fatto nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è manifestamente infondato. La Corte d’appello, con motivazione coerente con le risultanze istruttorie ed esente da illogicità (vedi pag. 11 della sentenza impugnata), ha fatto corretta applicazione del principio di diritto secondo cui il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia non è configurabile laddove la condotta non sia fondata su una legittima pretesa creditoria (cfr. Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME);
considerato che il secondo motivo, con cui si lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non è consentito in sede di legittimità in presenza di una motivazione giuridicamente corretta e logicamente ineccepibile che – a pag. 13 – da un lato evidenzia l’assenza di condotte riparatrici in favore della persona offesa. nonché l’esistenza di un precedente penale specifico e dall’altro lato, indica la mancanza di elementi suscettibili di positiva valutazione al fine del riconoscimento delle attenuanti de quo (Sez. 4, n. 32872 dell’8/06/2022, COGNOME, Rv. 283489-01);
osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2024
Il Con2.1. i,eye Estensore
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