Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23217 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23217 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME COGNOME NOME, nato a Capo d’Orlando il DATA_NASCITA
COGNOME COGNOME NOME, nato a Capo d’Orlando il DATA_NASCITA
NOME, nato a Capo d’Orlando il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/10/2023 della Corte di appello di Messina;
letti gli atti del procedimento, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte del difensore della parte civile NOME, AVV_NOTAIO, che ha chiesto la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese ed onorari di lite, come da nota specifica depositata.
RITENUTO IN FATTO
Accogliendo l’appello della parte civile NOME COGNOME, la Corte d’appello di Messina ha riformato la sentenza di assoluzione di NOME e NOME COGNOME NOME e NOME dal reato di cui all’art. 392, cod. pen., pronunciata dal Tribunale di Patti il 5 luglio 2022, ed ha condannato gli stessi al
risarcimento dei danni ed al ristoro delle spese legali in favore della medesima parte civile.
L’imputazione loro mossa, e ritenuta fondata dai giudici d’appello, è quella di aver rimosso con violenza, in ora notturna ed avvalendosi anche di mezzi meccanici, la recinzione ed i cartelli con la dicitura “proprietà privata”, apposti da COGNOME su una strada di sua proprietà, rivendicando essi la destinazione della stessa ad uso pubblico, ed in questo modo facendosi giustizia da soli, pur avendo la possibilità di ricorrere al giudice.
Ricorrono per cassazione gli imputati, con unico atto del loro comune difensore, lamentando:
il travisamento delle plurime evidenze, documentali e testimoniali, dimostrative dell’ultraventennale destinazione ad uso pubblico della strada oggetto di controversia e l’esclusiva valorizzazione, da parte della Corte di merito, di un’imprecisa relazione della comandante della polizia municipale, che peraltro non ha escluso tale destinazione, ma si è limitata a rilevare un dato semplicemente formale, ovvero che detta strada non risultava indicata nello stradario comunale;
II) il vizio della motivazione e la violazione della legge penale, nella parte in cui non è stata ravvisata la causa di giustificazione dell’autoreintegrazione nel possesso, avendo gli imputati agito nell’immediatezza della conoscenza dell’altrui condotta arbitraria e nella necessità di evitare il consolidamento della nuova situazione possessoria illegittima.
Ha depositato requisitoria scritta il AVV_NOTAIO generale, concludendo per il rigetto del ricorso.
Ha depositato memoria, conclusioni scritte e nota spese la difesa di parte civile, chiedendo la conferma della sentenza impugnata, con vittoria di spese ed onorari di lite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo è, se non altro, generico, poiché si limita a riproporre un tema quello, cioè, della destinazione o meno ad uso pubblico della strada oggetto di controversia – che la Corte d’appello ha correttamente ritenuto non conferente ai fini del giudizio.
Ai fini della configurabilità del reato – e, per quel che qui interessa, della conseguente responsabilità aquiliana – poco importa, infatti, che detta strada fosse o meno destinata ad uso pubblico, né che gli imputati comunque la considerassero tale, rilevando esclusivamente, invece, che, pur avendo la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria per far valere tale situazione e gli eventuali diritti e facoltà che ne sarebbero potuti derivare loro, essi abbiano deciso di farsi giustizia in proprio con una condotta violenta: circostanza, questa, del tutto incontroversa.
Il tema rilevante, allora, finisce per essere soltanto quello affrontato con il successivo motivo di ricorso, ovvero l’eventuale operatività della causa di giustificazione della “autoreintegrazione” del possesso perduto: della quale, però, nel caso in esame, non ricorrono i presupposti.
In COGNOME tema COGNOME di COGNOME esercizio COGNOME arbitrario COGNOME delle COGNOME proprie COGNOME ragioni, COGNOME infatti, l’autoreintegrazione nel possesso di una cosa, della quale taluno sia spogliato clandestinamente o con violenza, opera come causa speciale di giustificazione solo quando sia impossibile il ricorso al giudice e l’azione reattiva avvenga nell’immediatezza di quella lesiva del diritto, per l’impellente necessità di ripristinare il possesso perduto, al fine di impedire il consolidamento della nuova situazione possessoria (in questi termini, tra altre, in situazioni analoghe a quella in esame, Sez. 6, n. 6226 del 15/01/2020, COGNOME, Rv. 278614; Sez. 6, n. 10602 del 10/02/2010, COGNOME, Rv. 246409; Sez. 5, n. 4975 del 13/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236315).
Perché, dunque, l’ordinamento possa giustificare tale reazione violenta, così come accade per tutte le ipotesi scriminanti, è necessario che essa sia inevitabile, se non a prezzo di un’irrimediabile compromissione del possesso dell’agente, oltre che proporzionata al nocumento da scongiurare.
Non è sufficiente, cioè, come invece vorrebbe la difesa ricorrente, che essa intervenga non appena la vittima dello spoglio ne abbia contezza, se tale situazione si sia ormai realizzata (nello specifico, attraverso l’ostruzione del passaggio sulla strada contesa) e se, per effetto di essa, il soggetto spogliato subisca un pregiudizio comunque evitabile altrimenti. Tanto, invece, è quel che è avvenuto nel caso di specie, in cui la sopravvenuta impossibilità di disporre di quella strada ha determinato solamente la necessità, per gli imputati, di compiere un percorso più lungo per raggiungere i loro fondi.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna dei proponenti al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta inconsistenza delle doglianze, va fissata in tremila euro per ognuno di essi.
In quanto interamente soccombenti, i ricorrenti vanno altresì condannati al pagamento delle spese di costituzione e difesa sostenute dalla parte civile anche nel presente grado di giudizio (art. 592, comma 4, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2024.