Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3472 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3472 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a POMPEI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a SCAFATI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/11/2022 della CORTE di APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; il difensore AVV_NOTAIO insisteva per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Salerno confermava la condanna dei ricorrenti alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed euro duemila di multa per il reato di tentata estorsione.
Si contestava agli stessi di avere posto in essere azioni dirette in modo non equivoco a costringere i NOME NOME ed NOME COGNOME, a cedere un appezzamento di terreno vicino · a quella di NOME COGNOME, suocera di NOME COGNOME e titolare di un diritto di prelazione sul terreno preteso.
Segnatamente: si contestava COGNOME (a) a NOME COGNOME, in concorso con NOME COGNOME, di avere rivolto ad NOME COGNOME una minaccia di morte se lui ed il fratello no gli avessero ceduto la proprietà del fondo, (b) a NOME COGNOME d avere fatto irruzione, ·
unitamente a persona non identificata, nel piazzale della società dei RAGIONE_SOCIALE e, do avere terrorizzato i presenti scorrazzando con il motociclo e, dopo essersi tolto il casco, di essersi avvicinato a NOME COGNOME, cugino e dipendente dei RAGIONE_SOCIALE, intimandogli d contattarli e minacciando di ucciderli; (c) a NOME COGNOME di avere schiaffeggiato NOME COGNOME, ritenendolo mediatore della compravendita del terreno preteso e di avere minacciato NOME COGNOME, madre dei NOME COGNOME, minacciando di uccidere i suoi figli.
Si riconosceva l’aggravante delle più persone riunite.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore di COGNOME NOME, che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 393 cod. pen. art. 581 cod. proc. pen.) in ordine l qualificazione giuridica delle condotte contestate: queste avrebbero dovuto essere inquadrate nella fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni; si allegava COGNOME NOME coabitava con la suocera NOME COGNOME, che era titolare di un diritto di prelazione sul terreno preteso, sicché il ricorrente avrebbe avuto un interesse “familiare”, diretto e condiviso con la titolare del diritto ed il figlio, ad ottenere il si deduceva che la condivisione dell’interesse ad esercitare il diritto di prelazione dell suocera, dedotta con l’atto d’appello, non sarebbe stata sufficientemente scrutinata dalla Corte territoriale; si ribadiva che NOME COGNOME sarebbe stato anch’egli titolare del diritto di prelazione e che il ricorrente, padre di NOME, avrebbe agito, condividendo l’interesse del figlio alla sua soddisfazione.
Da ultimo, si deduceva che l’intensità della violenza e della minaccia non avrebbero potuto essere considerati indicativi della sussistenza del delitto di estorsione.
Ricorreva per Cassazione anche il difensore di NOME COGNOME, che deduceva:
3.1. violazione di legge (art. 56, 629 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordin all’attribuzione al ricorrente della responsabilità per l’azione violenta posta in essere NOME COGNOME sulla base del riconoscimento del “dolo eventuale”, considerato che tale atteggiamento soggettivo è incompatibile con il delitto tentato;
3.2. violazione di legge (art. 393 cod. peri., art. 581 cod. proc. pen.) in ordi all’inquadramento giuridico della condotta: si riproponevano le medesime ragioni poste a · sostegno della qualificazione giuridica della stessa nella fattispecie prevista dall’art. 3 cod. pen. avanzate nell’interesse di NOME COGNOME (§ 2.1);
3.3. violazione di legge (art. 628, comma 3 n.1), cod. pen.) e vizio di motivazione nell’attribuzione a NOME COGNOME della aggravante delle “più persone riunite”: il ricorrente avrebbe consumato una frazione di condotta unitamente ad altra persona, ma non
sarebbe COGNOME stato presente alle COGNOME azioni COGNOME del padre, il che impedirebbe di configurare l’aggravante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME ed il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, con i quali si invoca la qualificazione delle condotte nella più lieve fattispecie prevista dall’art. 393 cod. pen. son infondati.
1.1. Il collegio riafferma che il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario de proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna “divers ed ulteriore” finalità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 03).
I ricorrenti invocavano la derubricazione della tentata estorsione nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sulla base del fatto che gli stessi sono “familiari” di NOME, titolare del diritto di prelazione sul terreno “preteso”, sicché avrebbero agito per soddisfare un interesse familiare diffuso.
Con specifico COGNOME riferimento alla COGNOME presunzione di condivisione dell’interesse alla soddisfazione del diritto da parte dei familiare del titolare nella sentenza delle sezion unite si legge: «la qualificazione come esercizio arbitrario delle proprie ragioni (a seconda dei casi, con violenza sulle cose oppure con violenza o minaccia alle persone) delle condotte poste in essere sponte da terzi non appartenenti al nucleo familiare del creditore (coniuge, figlio, genitore, come emerso nella casistica giurisprudenziale innarzi riepilogata), che si siano attivati di propria iniziativa, senza previo concerto o comunque non d’intesa con il creditore, comporterebbe l’immotivata applicazione del previsto regime favorable, che trova giustificazione, anche quanto al rispetto del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., proprio e soltanto nella contrapposizione tra un presunto creditore ed un presunto debitore, che risolvono la propria controversa senza adire le vie legali, pur potendo farlo (il creditor ricorrendo al giudice civile, il debitore sporgendo querela). Nel caso in cui il presunto creditore sia del tutto estraneo all’iniziativa del terzo negotiorum gestor, non potrà, quindi, essere configurato un reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, cit, § 6.4.2).
Sul punto deve essere chiarito che le Sezioni Unite prospettano una “presunzione” di condivisione dell’interesse alla soddisfazione privata del diritto da parte dei famili stretti (“coniuge”, “figli” e “genitori”) sempre a condizione che non emergano prove . indicative del fatto che i familiari agiscano, non ad esclusivo supporto del titolare de diritto, ma per un interesse proprio.
1.2. Si ritiene, cioè, che il concorso del “familiare stretto” nella condotta di eserciz arbitrario di “ragioni” discendenti dalla sussistenza un diritto azionabile in giudizio poss essere riconosciuto solo quando “non” emerga un interesse proprio ed ulteriore di tale familiare. Pertanto il vincolo parentale non ha rilevanza autonoma, ma è solo “uno” dei possibili elementi indicativi del concorso nel reato di esercizio arbitrario, che deve esser valutato secondo le ordinarie regole probatorie e dunque della sussistenza di eventuali mandati o accordi tra il titolare del diritto ed il familiare.
1.3. COGNOME A ciò si aggiunge che, per potersi COGNOME configurare la fattispecie dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, è necessario che l’azione aggressiva sia esercitata da chi è titolare del diritto azionabile in giudizio (o dal terzo che condivide l’interesse soddisfazione senza averne alcuno proprio) verso chi è nelle condizioni di soddisfarlo; se l’aggressione è, invece rivolta verso terzi, estranei a tale rapporto, ovvero verso coloro che non potrebbero essere convenuti in un ipotetico giudizio, l’azione non può essere considerata come diretta a far valere ipotetiche ragioni, ma deve essere qualificata come estorsione.
Sul punto le Sezioni Unite hanno autorevolmente affermato che «risulta evidente che l’agente non potrebbe azionare in giudizio la sua pretesa chiamando in causa, in garanzia, e senza titolo alcuno, i terzi oggetto di violenza o minaccia. Come già correttamente ritenuto, in più occasioni, da questa Corte, è, pertanto, configurabile, il delitto di estorsi nei casi in cui l’agente abbia esercitato la pretesa con violenza e/o minaccia in danno di un terzo assolutamente estraneo al rapporto obbligatorio esistente inter partes, dal quale scaturisce la pretesa azionata, per costringere il debitore ad adempiere (Sez. 2, n. 33870 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260344: fattispecie in cui il creditore ed i coimputati avevano rivolto nei confronti del debitore gravi minacce in danno del figlio e della moglie; Sez. 2 n. 5092 del 20/12/2017, dep. 2018, Gatto, Rv. 272017), poiché essa non sarebbe tutelabile dinanzi all’Autorità giudiziaria, risultando in concreto diretta a procurarsi un profi ingiusto, consistente nell’ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale (Sez. 2, n. 16658 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 259555 e Sez. 2, n. 45300 del 28/10/2015, COGNOME, Rv. 264967, entrambe in fattispecie nelle quali era stata usata violenza in danno del padre del debitore, per costringerlo ad adempiere il debito del figlio)» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, cit, § 10.5.1.).
1.2. Applicando tali principi al caso in esame deve essere rilevato che secondo la razionale e logica valutazione delle prove effettuata dei giudici di merito:
(a) NOME e NOME COGNOME non hanno agito per soddisfare l’interesse di NOME COGNOME, ovvero dell’unica persona legittimata ad esercitare il diritto di prelazione sul terreno preteso, ma per un interesse proprio, in quanto NOME COGNOME, e suo padre NOME, intendevano ottenere il terreno per “annetterlo alla attività di deposito auto, dunque “per sé”; dunque l’aggressione contestata non era funzionale a
soddisfare l’interesse della COGNOME, ma ad ottenere, con violenza, un profitto ingiusto, ovvero la cessione del terreno da parte dei COGNOME contro la loro volontà (pag. 11 della sentenza impugnata);
(b) NOME COGNOME aveva aggredito l’COGNOME, persona estranea al rapporto tra la COGNOME ed i COGNOME, che non era “parte” del rapporto controverso, oggetto di ipotetico accertamento giudiziale, mentre NOME COGNOME aveva aggredito sia NOME COGNOME dipendente e cugino dei COGNOME, sia la madre dei COGNOME, NOME COGNOME, entrambi · estranei al rapporto giuridico controverso ed impossibilitati a dare spddisfazione al diritto di prelazione vantato da NOME COGNOME (pag. 12 della sentenza impugnata)..
Risulta, pertanto, pienamente legittimo l’inquadramento del reato contestato nella fattispecie dell’estorsione tentata invece che in quello di esercizio arbitrario delle propr ragioni.
E’ infondato il secondo motivo di ricorso, proposto nell’interesse di NOME COGNOME che deduce che il profilo soggettivo del delitto tentato, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, non può mai essere identificato nel dolo eventuale.
Sul punto il collegio riafferma il principio secondo cui il dolo eventuale non è compatibile con il delitto tentato (ex multis: Sez. 6, n. 14342 del 20/03/2012, R., Rv 252565 – 01).
Deve essere tuttavia rilevato che, nel caso in esame, l’imputazione è costruita attraverso la descrizione di diverse condotte, attribuite specificamente, e differentemente, a NOME e NOME COGNOME, che, pur essendo distinte, risultano comunque rivolte a costringere le vittime a cedere, contro la loro volontà, il terreno confinante con quello d NOME COGNOME.
In particolare si contestava:
(a) a NOME COGNOME ed a NOME COGNOME di avere rivolto a NOME COGNOME una minaccia di morte,
(b) a NOME COGNOME, unitamente a persona non identificata, di avere minacciato NOME COGNOME ed, indirettamente, i NOME COGNOME,
(c) a NOME COGNOME di avere aggredito con uno schiaffo NOME COGNOME e di avere minacciato NOME COGNOME.
Tali condotte, pur essendo distinte sotto il profilo oggettivo, hanno il comun denominatore, ovvero quello di essere dirette in modo non equivoco a costringere i NOME COGNOME a cedere il terreno confinante con la proprietà di NOME COGNOME contro la lor volontà.
Ebbene tali COGNOME condotte minatorie e violente, partitamente attribuite a ciascuno dei ricorrenti, sono sorrette da un profilo soggettivo sicuramente inquadrabile come “dolo diretto” e non come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello come “dolo eventuale”.
La Corte di merito ha, infatti, illegittimamente attribuito a NOME, sulla base del riconoscimento di un atteggiamento soggettivo riconducibile al dolo eventuale, la condotta consumata dal padre NOME (pag. 12 della sentenza impugnata), nonostante le azioni imputate ai ricorrenti fossero specificamente distinte nel capo di accusa.
Tuttavia l’erronea attribuzione a NOME COGNOME del il tentativo di estorsione consumato dal padre, sulla base della ritenuta sussistenza “dolo eventuale”, non influisce sulla decisione, dato che non può essere causa di annullamento della sentenza, fondata sull’accertamento della responsabilità relativo alle condotte specific:amente contestate a ognuno dei ricorrenti ed accertate nel corso dei due gradi di merito (art. 619, comma 1, cod. proc. pen.).
Infine, è infondato anche il terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME nella parte in cui contesta il riconoscimento a carico del ricorrente dell’aggravante delle “più persone riunite”.
3.1. Il collegio intende dare continuità al prevalente orientamento secondo cui la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, non rilevando che la persona offesa abbia percepito o meno la presenza anche di un secondo soggetto poiché la ratio dell’aggravamento non deriva necessariamente dalla maggiore costrizione esercitata simultaneamente sulla vittima, ma piuttosto dalla maggiore potenzialità criminosa correlata all’oggettiva compresenza di più persone nel luogo del delitto (Sez. 2, n. 46148 del 10/10/2019, Cappello Rv. 277776; Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, COGNOME e altro, Rv. 273520; Sez. 2, n. 50696 del 19/11/2014 – dep. 03/12/2014, COGNOME, Rv. 261324).
Sul tema si registra l’autorevole intervento delle Sezioni Unite che, seppure riferito ad un caso di estorsione, ha chiarito che «la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia” L.] nulla rilevando, come detto, che la persona offesa dalla rapina non abbia percepito la presenza anche di un secondo soggetto. Se si esamina poi la struttura delle due norme in discussione -articoli 628 e 629. cod. pen.- si può notare come il legislatore abbia voluto precisare che ricorre l’aggravante «se la violenza o minaccia è commessa da più persone riunite»; sicché il termine “riunione” risulta direttamente collegato alla modalità commissiva della condotta violenta o minacciosa, che è connotata da una evidente maggiore gravità quando venga esercitata simultaneamente da più persone; si vuoi dire cioè che, come è stato osservato da una parte della dottrina, il legislatore ha conferito alla compresenza de concorrenti nel /ocus commissi delicti un maggior disvalore penale in virtù dell’apporto causale fornito nella esecuzione del reato e della rafforzata vis compulsiva esercitata sulla vittima. In tal modo
il legislatore ha delineato una fattispecie plurisoggettiva necessaria, che si distingue i modo netto dalla ipotesi del concorso di persone nel reato, perché la fattispecie circostanziale contiene l’elemento specializzante della riunione riferito alla sola fase della esecuzione del reato e, più precisamente, alle sole modalità commissive della violenza e della minaccia, potendosi, invece, il concorso di persone nel reato manifestarsi in varie forme in tutte le fasi della condotta criminosa, ovvero sia in quella ideativa che in quell più propriamente esecutiva» (Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Albert’ e altro, Rv. 252518, § 2.1.).
Le linee ermeneutiche tracciate dalle Sezioni unite indirizzano chiaramente verso la valorizzazione come elemento qualificante dell’aggravante in esame della “riunione” di più persone nel momento e nel luogo in cui si consuma il reato, dato che da tale assembramento discende una maggiore pericolosità della condotta ed un oggettivo aggravamento del potere coercitivo dei concorrenti “riuniti”.
3.2. Nel caso in esame, in aderenza a tale indicazioni ermeneutiche, e tenuto conto della specifica condotta contestata a NOME COGNOME (come rilevato in relazione al secondo motivo di ricorso: § 2), deve ritenersi che il riconoscimento dell’aggravante sia legittimo, dato che egli aveva consumato l’aggressione ai danni di NOME COGNOME, unitamente ad altra persona non identificata, presente, insieme a lui, sul luogo del delitto (pag. 12 della sentenza impugnata).
2.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso le parti private che lo hanno proposto devono essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M,
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali Così deciso in Roma, il giorno 5 dicembre 2023.