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Esercizio arbitrario: quando l’azione diventa estorsione

Un padre e un figlio sono stati condannati per tentata estorsione per aver minacciato e aggredito diverse persone al fine di costringere due fratelli a cedere un terreno. Gli imputati sostenevano si trattasse di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, agendo a tutela del diritto di prelazione della suocera di uno di loro. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando che si configura estorsione e non esercizio arbitrario quando gli aggressori perseguono un interesse personale distinto (annettere il terreno per la propria attività) e la violenza è diretta verso terzi estranei al rapporto giuridico. La Corte ha inoltre confermato la sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio Arbitrario o Estorsione? La Cassazione Traccia il Confine

La linea di demarcazione tra farsi giustizia da sé e commettere un grave reato come l’estorsione può essere sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 3472 del 2024, offre chiarimenti cruciali su quando l’azione violenta per far valere un presunto diritto cessa di essere un esercizio arbitrario e si trasforma in estorsione. Il caso analizza la condotta di un padre e un figlio che, per assicurarsi un terreno, hanno fatto ricorso a minacce e violenza, sostenendo di agire nell’interesse di un familiare titolare di un diritto di prelazione.

I Fatti del Caso

I due imputati, un padre e un figlio, sono stati condannati in primo e secondo grado per tentata estorsione. L’accusa era di aver posto in essere una serie di azioni violente e intimidatorie per costringere due fratelli a cedere loro un appezzamento di terreno. Questo terreno era confinante con una proprietà della suocera di uno degli imputati, la quale vantava un diritto di prelazione sull’acquisto.
Le condotte contestate erano specifiche e gravi:
* Il padre, in concorso con un’altra persona, aveva minacciato di morte uno dei fratelli proprietari del terreno.
* Il figlio, insieme a un complice non identificato, aveva fatto irruzione nel piazzale dell’azienda dei fratelli, terrorizzando i presenti, e aveva minacciato di morte un loro cugino e dipendente.
* Il padre aveva inoltre schiaffeggiato un mediatore immobiliare e minacciato la madre dei due fratelli, affermando che avrebbe ucciso i suoi figli.

La Difesa degli Imputati e il Ricorso in Cassazione

La difesa ha incentrato il ricorso sulla riqualificazione del reato da tentata estorsione a esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.), un delitto punito in modo meno severo. La tesi difensiva si basava sul presupposto che gli imputati non avessero agito per un profitto personale, ma per tutelare un “interesse familiare diffuso”, ovvero il diritto di prelazione della suocera/nonna. Secondo questa linea, la loro condotta, seppur illecita, era finalizzata a soddisfare una pretesa giuridicamente tutelabile.
Inoltre, per uno degli imputati veniva contestata l’attribuzione di responsabilità per l’azione violenta del padre sulla base del “dolo eventuale”, ritenuto incompatibile con il delitto tentato, e l’applicazione dell’aggravante delle “più persone riunite”.

Il Confine tra Esercizio Arbitrario e Reato di Estorsione

La Corte di Cassazione, nel rigettare i ricorsi, ha ribadito principi fondamentali per distinguere le due fattispecie di reato. Il reato di esercizio arbitrario presuppone che l’agente agisca per far valere un diritto che potrebbe essere tutelato in sede giudiziaria. Un terzo, come un familiare, può concorrere nel reato, ma solo se si limita a supportare la pretesa del titolare del diritto, senza perseguire un fine proprio, diverso e ulteriore.
Il punto di svolta verso l’estorsione si verifica quando l’azione aggressiva non è più solo un modo per “farsi giustizia da sé”, ma diventa uno strumento per ottenere un profitto ingiusto. Questo avviene in due circostanze principali, entrambe presenti nel caso di specie:
1. L’esistenza di un interesse proprio e ulteriore: L’agente non agisce solo per il familiare, ma per un vantaggio personale.
2. La violenza rivolta a terzi estranei: L’aggressione non è diretta alla controparte del rapporto giuridico, ma a soggetti che non hanno alcun potere di soddisfare la pretesa.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le argomentazioni della difesa, confermando la qualificazione del fatto come tentata estorsione. I giudici hanno evidenziato due elementi decisivi.
In primo luogo, è emerso che gli imputati non agivano per soddisfare l’interesse della loro parente, ma per un interesse squisitamente personale: intendevano ottenere il terreno per annetterlo alla loro attività di deposito auto. L’aggressione, quindi, non era funzionale a tutelare il diritto di prelazione, ma a ottenere un profitto ingiusto, ovvero la cessione forzata del terreno.
In secondo luogo, la violenza e le minacce erano state rivolte non solo contro i titolari del terreno, ma anche contro soggetti terzi completamente estranei al rapporto giuridico (un mediatore, un dipendente, la madre dei proprietari). Queste persone non avrebbero potuto essere citate in un eventuale giudizio civile per far valere la prelazione. Quando la violenza si estende a terzi inermi per esercitare pressione sulla vittima designata, l’azione non può che essere qualificata come estorsione, in quanto non mira a far valere una ragione tutelabile, ma a procurarsi un ingiusto profitto attraverso la coartazione.
Infine, la Corte ha confermato l’aggravante delle più persone riunite, specificando che essa richiede la semplice presenza simultanea di almeno due persone sul luogo e al momento della violenza, come avvenuto nell’aggressione perpetrata dal figlio in concorso con un’altra persona.

Conclusioni

La sentenza ribadisce con forza un principio cardine del nostro ordinamento: non è consentito farsi giustizia da soli. Anche quando si ritiene di avere un diritto, l’unica via è quella legale. L’intervento di un familiare a sostegno di una pretesa può rientrare nel meno grave reato di esercizio arbitrario solo se l’azione è strettamente limitata a supportare il titolare del diritto e diretta verso la controparte. Qualora emerga un interesse personale dell’aggressore o la violenza venga estesa a soggetti terzi per aumentare la pressione intimidatoria, il fatto si trasforma inequivocabilmente nel più grave delitto di estorsione. Questa decisione serve da monito: l’autotutela violenta, specialmente quando maschera interessi personali, non trova alcuna tolleranza nel sistema penale.

Quando l’intervento di un familiare per far valere un diritto si trasforma in estorsione?
Secondo la Corte, si configura estorsione e non esercizio arbitrario quando il familiare non agisce solo per supportare la pretesa del parente, ma persegue un interesse proprio e ulteriore, come ottenere un profitto personale dall’azione violenta.

La violenza contro persone non direttamente coinvolte nella disputa può essere considerata esercizio arbitrario?
No. La Corte ha stabilito che quando la violenza o la minaccia sono rivolte a terzi estranei al rapporto giuridico controverso (come dipendenti o altri parenti della vittima), l’azione non può essere considerata esercizio arbitrario, ma deve essere qualificata come estorsione, poiché tali soggetti non potrebbero essere coinvolti in un eventuale giudizio.

Cosa serve per configurare l’aggravante delle più persone riunite?
Per l’applicazione di questa aggravante è sufficiente la presenza simultanea di almeno due persone nel luogo e al momento della realizzazione della violenza o della minaccia. Non è necessario che la vittima percepisca la presenza di tutti i concorrenti, poiché la maggiore pericolosità deriva dalla compresenza oggettiva degli aggressori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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