Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11733 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11733 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
COGNOME IMPERIALI NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 05/11/2003 avverso la sentenza del 17/09/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Lecce- Sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 17 settembre 2024, confermava la pronuncia di primo grado nella parte in cui aveva condannato NOME COGNOME e NOME per il reato di tentata estorsione aggravata.
1.1 Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME eccependo l’erronea qualificazione giuridica della condotta, visto che non era stata considerata l’ipotesi alternativa di esercizio arbitrario delle proprie ragioni: dalle risultanze dibattimentali emergeva infatti che le condotte contestate erano state poste in essere dall’imputato al fine di ottenere un credito salariale ritenuto legittimo.
1.2 Il difensore rileva che erroneamente era stata ritenuta sussistente l’aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, cod. pen.:la Corte di appello aveva confermato l’aggravante dell’uso delle armi senza adeguatamente valutare le contraddizioni presenti nelle dichiarazioni delle persone offese; invero, dai verbali stenotipici del processo emergeva infatti che il teste NOME COGNOME aveva fornito versioni divergenti circa il presunto utilizzo di un coltello da parte dell’imputato.
1.3 Il difensore eccepisce il vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione delle circostanze aggravanti ed al diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo stato considerato che il ricorrente era un giovane incensurato, che aveva tenuto un comportamento collaborativo durante tutto il processo, nØ si era tenuto conto del carattere episodico delle condotte contestate.
1.4 Il difensore osserva che la Corte di appello aveva omesso di analizzare le incongruenze
presenti nelle dichiarazioni delle persone offese, decisive per l’accertamento della responsabilità penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Quanto al primo motivo di ricorso, secondo cui il reato contestato avrebbe dovuto essere derubricato in quello previsto dall’art. 393 cod. pen., osserva il Collegio che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta nei medesimi termini – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità ” ex officio ” in ogni stato e grado del procedimento – una questione che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si Ł già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici, come Ł avvenuto nel caso di specie. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 22123 del 08/02/2013, Rv. 255361).
Nel caso in esame, il ricorrente non si confronta con una delle argomentazioni decisive contenute nella sentenza di appello, e cioŁ che il credito lavorativo rivendicato dal ricorrente era inesistente, posto che la persona offesa aveva dichiarato che COGNOME aveva svolto un periodo di formazione ed era stato poi assunto ‘a chiamata’, ricevendo un corrispettivo di 800 euro, e che la tesi del ricorrente secondo la quale avrebbe lavorato anche presso altro ristorante della persona offesa COGNOME non solo non era stata dimostrata, ma era in contraddizione con il contenuto dei messaggi inviati alle persone offese, nei quali non vi Ł alcun accenno a tale circostanza, ma si chiedevano somme sempre maggiori sul pretesto di pregressi rapporti con la persona offesa.
La Corte di appello ha quindi correttamente rilevato l’inesistenza di un credito azionabile, posto che la possibilità di ricorso al giudice Ł uno dei presupposti del reato di cui all’art. 393 cod. pen. e deve sussistere sia in termini materiali che giuridici, ovvero il soggetto deve trovarsi nella possibilità di fare il ricorso all’autorità giudiziaria e il diritto preteso deve essere suscettibile di effettiva realizzazione giudiziale.
La nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 29541 del 16/07/2020 (ric. COGNOME) ha precisato che per aversi esercizio arbitrario Ł necessario che l’agente abbia posto in essere la condotta per la realizzazione di una pretesa giuridica esattamente tutelabile senza travalicarne il contenuto; le Sezioni Unite hanno quindi sottolineato come per aversi esercizio arbitrario Ł necessario che l’agente ponga in essere una condotta a tutela di un diritto azionabile in sede giudiziaria altrimenti vertendosi nella piø grave fattispecie di cui all’art. 629 cod. pen. Principio questo affermato da quell’inciso secondo cui:” Pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale (Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014, DemattŁ, Rv. 260584; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362), poichØ il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017, Salute, Rv. 269967)”.
1.2 Con riferimento al secondo ed al quarto motivo di ricorso, si deve rilevare che, riguardo alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, il Collegio condivide la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere piø penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le
dichiarazioni di qualsiasi testimone.
Peraltro questa Corte, anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l’attendibilità estrinseca della testimonianza dell’offeso attraverso la individuazione di precisi riscontri, si esprime in termini di “opportunità” e non di “necessità”, lasciando al giudice dì merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto; inoltre, costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni ( ex plurimis , Sez. 6, n. 27322 del 14/04/2008, De Ritis, Rv. 240524; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, COGNOME, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Pacca, Rv.227493).
Contraddizioni che non si rinvengono nel caso in esame, nel quale la Corte di appello ha fornito congrua motivazione della attendibilità del racconto delle persone offese, evidenziando il riscontro costituito dai messaggi e video formati dal ricorrente, dai quali emerge il contenuto minatorio delle frasi rivolte al COGNOME e al cognato COGNOME
1.3 Il secondo ed il terzo motivo di ricorso relativo al riconoscimento dell’aggravante Ł inammissibile per non essere stata sollevata alcuna censura in appello: Ł infatti principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perchŁ non devolute alla sua cognizione (Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, COGNOME, Rv. 255577; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316).
Relativamente alla mancata concessione delle attenuanti generiche, la sussistenza di dette attenuanti Ł oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchØ la stessa motivazione, purchØ congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato.
Deve infatti ricordarsi che in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa Ł quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso piø favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si Ł reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, Ł proprio la suindicata meritevolezza che necessita, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (così, ex plurimis , Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986).
Nel caso in esame, il ricorrente non ha indicato alcun motivo per il quale sarebbe meritevole del beneficio, limitandosi ad evidenziare l’incensuratezza dell’imputato ed il corretto comportamento processuale, con conseguente manifesta infondatezza del motivo.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchØ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 11/03/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME