Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34217 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 2   Num. 34217  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CASTROVILLARI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 17/12/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letti i motivi nuovi presentati dal difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e uditi gli AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, i quali hanno insistito per l’accoglimento del ricorso; Si Ł proceduto alla trattazione in pubblica udienza a seguito di richiesta di discussione
proposta dal difensore ex art. 611 comma 1bis cod. proc. pen
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 17 dicembre 2024, per quanto qui di interesse, confermava la sentenza di primo grado che aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 110, 644 I° e II° comma cod. pen. (capo a) e 629, 61 n.2 cod. pen. (capo b); avverso la sentenza ricorre il difensore di COGNOME, eccependo:
1.1. omessa motivazione e travisamento della prova: premesso che COGNOME era stato condannato per il reato di usura in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME (secondo il seguente paradigma: per il tramite di NOME COGNOME, a fronte di un prestito ai predetti COGNOME e COGNOME di € 3.000,00, gli stessi avrebbero dovuto restituire entro un mese la somma di € 4.600,00; a seguito della mancata restituzione delle somme, COGNOME si era fatto consegnare da COGNOME un assegno di € 2.700,00, uno da € 2.850,00 e preteso la somma di € 2.500,00), COGNOME non aveva mai convenuto alcun accordo con NOME e NOME ma, avendo effettuato lavori presso l’immobile di COGNOME, aveva ricevuto da questi per i lavori svolti un assegno di € 4.600,00 emesso da NOME COGNOME, assegno che NOME aveva ricevuto da NOME e NOME, proveniente dal fratello di NOME e, a seguito del protesto di questo, NOME gli aveva fatto pervenire da parte di NOME un assegno di € 2.700,00 e uno di € 2.850,00 in sostituzione dell’assegno protestato, importo comprensivo della penale del 10% previsto per l’emissione di assegni senza provvista; al riguardo, già con l’atto di appello
si era lamentata la mancata valutazione in ordine alla questione relativa all’assegno di € 4.600,00 emesso da NOME e consegnato a COGNOME e poi ricevuto da COGNOME; tale ricostruzione era confermata dalle intercettazioni e dal fatto che COGNOME aveva iniziato ad esercitare pressioni solo dopo il protesto dell’assegno; nell’atto di appello era stato inoltre evidenziato che, con riferimento alle somme consegnate da NOME a NOME, 500 euro servivano per procedere all’acquisto di materiali per lavori che COGNOME stava facendo da RAGIONE_SOCIALE e che NOME sosteneva parte dei lavori; su tutti tali punti la Corte di appello non aveva preso posizione e non aveva espresso alcuna motivazione;
1.2 illogicità della motivazione e travisamento della prova con riferimento agli elementi di valutazione introdotti dalla Corte di appello in sede di motivazione: la sostituzione dell’assegno emesso da NOME con due assegni di NOME costituiva una cessione del credito, per il quale Ł sufficiente il consenso, e non la forma scritta e, con tale chiave di lettura, la motivazione della Corte di appello appariva illogica e in contrasto con le vicende di tale titolo: COGNOME aveva l’evidente interesse ad intervenire in proprio perchØ creditore ceduto che voleva che il debito fosse onorato così da non dover rispondere di un credito ceduto non soddisfatto, enon quale mediatore di un rapporto usurario; la reazione di COGNOME era compatibile con quella di un creditore che cerca di recuperare soldi per lavori effettuati; con riferimento alla conversazione del 26.05.2016 richiamata dalla Corte di appello a pag.9 della sentenza impugnata, si interpretava la presenza di un terzo assegno di € 2.700,00 oggetto dell’accordo, di cui non vi era traccia nel capo di imputazione e nel narrato delle persone offese; errato era il ragionamento della Corte di appello anche per quanto riguardava il tasso di interesse, visto che le due persone offese facevano scaturire l’obbligo di pagamento dei due importi di 500 euro cadauno in due momenti completamente diversi ed inconciliabili tra loro;
1.3.  violazione  di  legge  con  riferimento  all’art.  629  cod.  pen.:  la  valutazione dell’esistenza di un lecito rapporto di credito di COGNOME con NOME e con le persone offese portava a ritenere sussistente il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all’art. 393 cod. pen.: ciò in quanto COGNOME perseguiva il legittimo interesse di recuperare le somme a lui dovute in ordine ai lavori svolti nell’interesse di NOME, nonchØ le spese di protesto per il primo assegno a lui consegnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Relativamente alle censure di cui ai primi due motivi di ricorso, se ne deve rilevare la natura meramente fattuale, in quanto con esse il ricorrente propone una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale Ł quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr . ex plurimis , Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289); in particolare, i motivi non si confrontano affatto con la motivazione della Corte di appello che, in maniera ampia ed esaustiva, ha ritenuto inattendibile la tesi dell’imputato relativa a lavori da lui svolti nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE, per i quali non risulta emessa alcuna fattura e di cui non si era fatto alcun cenno nell’interrogatorio di garanzia, non avendo inoltre mai spiegato l’imputato perchØ si fosse rivolto per il pagamento di quel lavori non a COGNOME, ma a due soggetti con cui non aveva alcun rapporto (pag.5); la Corte di appello ha anche spiegato le
ragioni per cui non Ł apparso credibile il teste COGNOME (pagg.5 e 6), così come il teste COGNOME (pagg. 6 e 7), ritenendo che le conversazioni intercettate riscontravano pienamente il narrato delle persone offese, secondo cui gli iniziali accordi per il prestito erano stati presi da NOME e NOME con NOME e che, una volta protestato il primo assegno dato in prestito, era intervenuto il reale erogatore del prestito, COGNOME, con cui era stata effettuata la rinegoziazione dello stesso, per cui NOME aveva svolto un ruolo di mediatore; in particolare, sono state valorizzate le dichiarazioni di COGNOME secondo cui l’assegno glielo aveva dato ‘quel bastardo di NOME‘ (così confermando che l’assegno protestato era stato dato direttamente da COGNOME a COGNOME) e quella di COGNOME che diceva a NOME ‘ma che vuoi da me, dipende dagli accordi che avete preso’ (così confermando il ruolo di COGNOME quale mediatore dell’accordo usurario e non di semplice cedente del debito che aveva nei confronti di COGNOME).
1.2 Quanto alla richiesta di riqualificazione del reato in quello previsto dall’art. 393 cod. pen., piø volte nella sentenza impugnata si sottolinea come apparirebbe incomprensibile come mai COGNOME si sia rivolto a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e non a RAGIONE_SOCIALE per ottenere la realizzazione di un suo credito, relativo peraltro a lavori semplicemente asseriti dall’imputato; la Corte di appello ha quindi correttamente rilevato l’inesistenza di un credito azionabile, posto che la possibilità di ricorso al giudice Ł uno dei presupposti del reato di cui all’art. 393 cod.pen. e deve sussistere sia in termini materiali che giuridici, ovvero il soggetto deve trovarsi nella possibilità di fare il ricorso all’autorità giudiziaria e il diritto preteso deve essere suscettibile di effettiva realizzazione giudiziale.
La nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 29541 del 16/07/2020 ha precisato che per aversi esercizio arbitrario Ł necessario che l’agente abbia posto in essere la condotta per la realizzazione di una pretesa giuridica esattamente tutelabile senza travalicarne il contenuto; le Sezioni Unite hanno quindi sottolineato come per aversi esercizio arbitrario Ł necessario che l’agente ponga in essere una condotta a tutela di un diritto azionabile in sede giudiziaria altrimenti vertendosi nella piø grave fattispecie di cui all’art. 629 cod.pen.. Principio questo affermato da quell’inciso secondo cui:” Pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale (Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014, DemattŁ, Rv. 260584; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362), poichØ il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017, Salute, Rv. 269967)”.
Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannate al pagamento delle spese del procedimento nonchØ – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Quanto alla memoria presentata contenente motivi nuovi, si deve ribadire che l’inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i  motivi originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di
impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così Ł deciso, 16/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME