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Esercizio arbitrario: quando il danno non è giustificato

La Corte di Cassazione ha stabilito che, nel contesto di un’azione di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, il danneggiamento di beni eccedente e sproporzionato rispetto al diritto che si intende esercitare non viene assorbito dalla causa di giustificazione e costituisce un reato autonomo. Nel caso specifico, un uomo è stato condannato per danneggiamento aggravato per aver distrutto, oltre agli ostacoli che impedivano un passaggio, anche altri beni non pertinenti, rendendo la sua azione sproporzionata.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio arbitrario: quando farsi giustizia da sé supera il limite

Il confine tra far valere un proprio diritto e commettere un reato è spesso sottile. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 26507/2024, offre un’importante lezione sul tema dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, chiarendo quando l’azione di chi si fa ‘giustizia da sé’ cessa di essere giustificata e si trasforma in un autonomo reato di danneggiamento. Questo caso analizza la cruciale differenza tra un’azione strumentale e una sproporzionata.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un imprenditore condannato per danneggiamento aggravato ai danni di suo zio. L’imputato, per esercitare un presunto diritto di transito su una proprietà, aveva utilizzato il proprio autocarro per abbattere un muro di tegole eretto dallo zio per impedirgli il passaggio. Tuttavia, la sua azione non si era fermata qui. Nel compiere la manovra, aveva anche deteriorato un macchinario ‘transpallet’ e distrutto diversi tavoli e banchi da lavoro in acciaio che si trovavano nell’area. Inoltre, aveva guidato il veicolo in direzione dello zio, costringendolo a scansarsi per non essere investito.

L’Iter Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Nei primi due gradi di giudizio, l’imprenditore era stato assolto dall’accusa di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, poiché i giudici avevano ritenuto sussistente una causa di giustificazione speciale, quella dell’autoreintegrazione nel possesso. Tuttavia, era stato condannato per il reato di danneggiamento aggravato.
L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo principalmente che:
1. Se l’azione principale (l’esercizio del diritto) era stata ritenuta giustificata, anche il danno conseguente avrebbe dovuto esserlo, in quanto ‘diretta conseguenza’ della reazione.
2. La condanna per danneggiamento aggravato da minaccia non era valida, in quanto gli elementi della minaccia non erano stati correttamente contestati.
3. I beni danneggiati (le tegole) non erano ‘altrui’, in quanto sarebbero diventate di sua proprietà per accessione una volta posate sul suo terreno.
4. Il fatto avrebbe dovuto essere considerato di ‘particolare tenuità’ e quindi non punibile.

L’Esercizio Arbitrario e il Danneggiamento: l’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali sul rapporto tra esercizio arbitrario e danneggiamento. I giudici hanno spiegato che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 393 c.p.) può configurarsi come un ‘reato complesso’ che assorbe il danneggiamento. Questo, però, accade solo a una condizione precisa: la violenza sulle cose (e quindi il danno) deve essere strettamente strumentale e proporzionata al fine di esercitare il preteso diritto.
Nel caso in esame, l’azione dell’imputato è andata ben oltre questo limite.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso. In primo luogo, ha stabilito che i danneggiamenti erano palesemente sproporzionati. Se la distruzione delle tegole poteva essere considerata strumentale a ripristinare il passaggio, il deterioramento del ‘transpallet’ e la distruzione dei banchi da lavoro erano del tutto eccedenti rispetto a tale scopo. Questi atti non erano necessari per farsi ragione e quindi costituiscono un reato di danneggiamento autonomo e non giustificabile.

In secondo luogo, la Corte ha confermato che la condotta di guidare un autocarro verso una persona, costringendola a scansarsi per evitare l’impatto, integra pienamente la ‘violenza alla persona’ che aggrava il reato di danneggiamento, come correttamente contestato fin dall’inizio.

Per quanto riguarda la proprietà delle tegole, la doglianza è stata giudicata generica e infondata, in quanto l’imputato non ha provato la proprietà del suolo né le condizioni legali per l’accessione.

Infine, è stata esclusa la ‘particolare tenuità del fatto’ (art. 131-bis c.p.). Le modalità aggressive della condotta, che avevano richiesto l’intervento dei Carabinieri, e l’entità considerevole dei danni (distruzione di 1.200 tegole, tavoli e un macchinario) sono state considerate elementi ostativi all’applicazione di tale causa di non punibilità.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: ‘farsi giustizia da sé’ ha dei limiti invalicabili. La legge può tollerare un’azione di forza per ripristinare un proprio diritto, ma solo se contenuta entro i confini della stretta necessità e proporzionalità. Qualsiasi violenza o danneggiamento che ecceda tale scopo non sarà coperto da alcuna giustificazione e verrà punito come un reato autonomo. Questa decisione serve da monito: la tutela dei propri diritti deve sempre avvenire attraverso le vie legali, per evitare di passare dalla parte della ragione a quella del torto.

Quando il danneggiamento commesso durante un’azione di ‘autotutela’ diventa un reato separato?
Secondo la sentenza, il danneggiamento diventa un reato autonomo quando i danni causati sono sproporzionati ed eccedono ciò che è strettamente necessario per esercitare il proprio preteso diritto. Se l’azione va oltre la rimozione dell’ostacolo e distrugge altri beni non pertinenti, non è più giustificata.

Guidare un veicolo verso una persona può essere considerato ‘violenza’ ai fini del danneggiamento aggravato?
Sì. La Corte ha confermato che la condotta di dirigere deliberatamente un autoveicolo verso una persona, costringendola a spostarsi per non essere investita, integra il requisito della ‘violenza alla persona’ o della minaccia, che costituisce un’aggravante del reato di danneggiamento.

Perché in questo caso non è stata applicata la non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’?
La Corte ha escluso la particolare tenuità del fatto a causa delle modalità particolarmente aggressive della condotta, che hanno reso necessario l’intervento delle forze dell’ordine, e dell’entità significativa del danno, che includeva la distruzione di 1.200 tegole, diversi tavoli da lavoro e un macchinario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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