Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26360 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26360 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Sant’Angelo in Lizzola il 17/03/1954
avverso la sentenza del 17/10/2024 della Corte di appello di Ancona
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; lette le conclusioni del difensore della parte civile, NOME COGNOME, avv. NOME COGNOME per la declaratoria di inammissibilità o comunque di rigetto del ricorso, con condanna alla rifusione delle spese; lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che h chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del 27 febbraio 2023 del Tribunale di Pesaro che aveva condannato NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’ar –, 392 cod. pen. commesso nel giugno 2018.
c
Il Tribunale aveva così riqualificato i fatti originariamente contestati ai sensi dell’art. 635 cod. pen. e consistenti nell’aver il COGNOME scardinato la ret metallica di recinzione del terreno di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME
Secondo i Giudici di merito, l’imputato aveva agito nell’erroneo presupposto di esercitare sul terreno, confinante con la sua proprietà e delimitato dalla rete un suo diritto (in realtà insussistente), non rivolgendosi all’autorità giudiziaria p l’accertamento del suo diritto.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 392 cod. pen. e all’elemento soggettivo.
Nella fattispecie in esame difetta il dolo in capo all’imputato ovvero la coscienza e volontà di agire, pur in presenza di contestazione e pretese altrui, in quanto non era a conoscenza di pretese sul terreno.
Nell’atto di acquisto della sua proprietà nel 2012 vi era la dichiarazione dei danti causa circa l’uso da vent’anni di tutto il terreno della particella 23 mappale 117 e quindi anche di quello oggetto del procedimento e fino al 2018 aveva pertanto pulito indisturbato anche questa parte (senza che fosse di ostacolo la rete malconcia e arrugginita posta all’interno del terreno). Solo nel 2018 vi era stata la necessità di accedere al campo con un mezzo più grande e rimuovere pertanto la rete, ricevendo a seguito di ciò la prima contestazione sul suo operato.
Quindi l’imputato non ha agito in modo arbitrario, in quanto non vi era alcun sospetto di pretese altrui e anzi aveva avuto l’assicurazione dai vecchi proprietari sulla spettanza del terreno.
2.2. Vizio di motivazione.
La Corte di appello ha motivato in modo carente sul punto della preesistenza del diritto contestato, facendo leva erroneamente su talune circostanze, quali: il mancato possesso da parte dell’imputato delle chiavi di un cancello posto sul terreno di cui si discute (peraltro tale cancello è posto sulla recinzione esterna al terreno e nulla a che a vedere con la rete, né lo stesso si affaccia sulla proprietà dei Casula); la domanda rivolta dall’imputato alla COGNOME su chi fosse il proprietario del terreno (la domanda, a fronte delle postume contestazioni mossegli, dimostrava che lui non era a conoscenza fino a quel momento di altrui diritti sul terreno); il mancato accesso al terreno nel passato (è mera supposizione che il ricorrente non sia potuto entrare nel terreno, stante lo stato della rete).
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e le parti private hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate; la difesa del ricorrente anche depositando una memoria di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in ogni sua articolazione.
Come ha correttamente affermato la Corte di appello, ai fini della configurabilità dell’elemento psicologico del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 cod. pen.) – che richiede, oltre il dolo generico, quello specifico, rappresentato dall’intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità – la buona fede del soggetto attivo, lungi dall’essere inconciliabile con il dolo, costituisce un presupposto necessario del reato (Sez. 6, n. 41368 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 248715 – 01).
Pertanto, non è applicabile, né comunque potrebbe escludere il dolo specifico del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la scriminante dell’esercizio di un diritto, essendo la pretesa di quest’ultimo insita nella fattispecie incriminatrice, con l’effetto che la convinzione, fondata o putativa, della sua titolarità costituisce elemento essenziale del reato (Sez. 6, n. 6226 del 15/01/2020, COGNOME, Rv. 278614 – 02).
I presupposti del reato in esame sono: l’esistenza di un preteso diritto da far valere, che può essere anche semplicemente supposto, nel senso che non è necessario che il diritto arbitrariamente esercitato sia obiettivamente esistente in capo al soggetto attivo; la possibilità di ricorrere al giudice, da intendersi come possibilità meramente fattuale di azionabilità della pretesa, che prescinde cioè dalla fondatezza del diritto.
Il preteso diritto deve essere oggetto di contrasto fra le parti, essendo anche sufficiente l’esistenza di una “contesa di fatto” o, quanto meno, “potenziale” da parte del soggetto passivo che la norma incriminatrice vuole che sia risolto attraverso il ricorso al Giudice (Sez. 6, n. 41586 del 19/06/2013, COGNOME, Rv. 257801 – 01).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha accertato che la pretesa del COGNOME di utilizzare il terreno attiguo alla sua proprietà e di rimuovere quindi gli ostacoli all’ingresso – giustificata da una dichiarazione di coloro che nel 2012 gli avevano venduto la proprietà (costoro aveva dichiarato nell’atto di vendita dell’immobile e del terreno, foglio 23, mappali 124-125-126-118, che esercitavano in modo indisturbato e continuativo il loro diritto su un terreno attiguo, foglio
mappale 117, alla loro proprietà da oltre vent’anni) era oggetto di un diritto potenzialmente controverso, come emergeva da una serie di elementi di fatto che,
in modo convergente, dimostravano il non pacifico possesso del terreno da parte del COGNOME: il terreno aveva un cancello di cui egli non aveva le chiavi; la
richiesta fatta dal COGNOME al COGNOME su chi fosse il proprietario del terreno;
mancato uso del terreno per sei anni, stante la presenza del recinto.
A fronte di questo ragionamento giustificativo, il ricorso, nelle varie declinazioni dei motivi proposti, mira in definitiva ad opporsi, con argomenti di
fatto e in diretto confronto con gli atti probatori, all’accertamento condotto dai giudici di merito.
Quel che è rilevante è che la risposta della Corte di appello sia conforme ai principi di diritto in tema di dolo e sia sostenuta da argomentazioni non
manifestamente illogiche, risultando preclusa al giudice di legittimità l’incursione nelle valutazioni di merito.
3. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
Segue anche la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado a favore della parte civile costituita, liquidate come indicato nel dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME che liquida in complessivi euro 3686, oltre accessori di legge.
Così deciso il 10/06/