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Esercizio arbitrario: quando farsi giustizia da sé è reato

Un uomo viene condannato per esercizio arbitrario delle proprie ragioni per aver rimosso una recinzione su un terreno che credeva di poter usare. La Cassazione conferma la condanna, chiarendo che anche un diritto solo supposto, se potenzialmente contestato (come dalla presenza di una recinzione), non autorizza ad agire autonomamente ma impone il ricorso al giudice. La buona fede non esclude il reato, ma ne è un presupposto.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio Arbitrario: la Cassazione Spiega Perché non Puoi Farti Giustizia da Solo

Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall’art. 392 del Codice Penale, rappresenta un principio fondamentale del nostro ordinamento: nessuno può sostituirsi allo Stato per far valere un proprio diritto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 26360/2025) offre un’analisi chiara dei confini di questo reato, sottolineando come anche la convinzione di essere nel giusto non autorizzi ad agire autonomamente in presenza di una contesa, anche solo potenziale.

I Fatti del Caso: La Recinzione Contesa

La vicenda ha origine dall’acquisto di una proprietà immobiliare nel 2012. L’acquirente, condannato nei primi due gradi di giudizio, aveva rimosso una rete metallica su un terreno confinante, convinto di avere il diritto di accedervi e utilizzarlo. Questa convinzione si basava su una dichiarazione dei venditori, contenuta nell’atto di acquisto, secondo cui essi avevano sempre utilizzato indisturbatamente anche quella porzione di terreno.

Per anni, l’uomo aveva pulito e curato l’area senza problemi, nonostante la presenza di una rete “malconcia e arrugginita”. Nel 2018, avendo la necessità di accedere al terreno con un mezzo più grande, decide di rimuovere la recinzione. Solo in seguito a questa azione riceve la prima contestazione da parte dei legittimi proprietari, che lo denunciano.

Il Percorso Giudiziario e il Reato di Esercizio Arbitrario

Inizialmente accusato di danneggiamento (art. 635 c.p.), il fatto viene riqualificato dal Tribunale come esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La condanna viene confermata in appello. La difesa dell’imputato ricorre in Cassazione, sostenendo principalmente due motivi:

1. Mancanza dell’elemento soggettivo (dolo): L’uomo non era a conoscenza di pretese altrui sul terreno e agiva nella ferma convinzione, supportata dall’atto di acquisto, di esercitare un proprio diritto.
2. Vizio di motivazione: La Corte d’Appello avrebbe erroneamente dedotto la preesistenza di una contesa da elementi irrilevanti, come il mancato possesso delle chiavi di un cancello esterno.

La difesa sosteneva che l’azione non fosse stata arbitraria, ma la conseguenza di una legittima convinzione basata su rassicurazioni formali.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. Le motivazioni della Suprema Corte sono cruciali per comprendere i presupposti del reato di esercizio arbitrario.

I giudici hanno chiarito che per configurare questo reato sono necessari tre elementi:

1. L’esistenza di un “preteso diritto”: Non è necessario che il diritto sia oggettivamente esistente e fondato. È sufficiente che l’agente sia convinto, anche erroneamente (diritto putativo), di esserne titolare. Nel caso di specie, la dichiarazione dei venditori aveva ingenerato nell’imputato proprio questa convinzione.
2. La possibilità di ricorrere al giudice: La legge punisce chi agisce autonomamente quando avrebbe potuto adire le vie legali per tutelare la propria pretesa.
3. L’esistenza di un contrasto (anche potenziale): Non serve una lite già in corso o una diffida formale. È sufficiente una “contesa di fatto” o “potenziale”. La Cassazione ha stabilito che la semplice presenza fisica di una recinzione, per quanto vecchia e in cattive condizioni, materializza l’esistenza di una pretesa altrui e, quindi, di una potenziale contesa. Quella rete rappresentava un ostacolo visibile, un segno tangibile del diritto di proprietà di altri, che avrebbe dovuto indurre l’imputato a rivolgersi a un giudice per l’accertamento del suo preteso diritto di passaggio o uso, invece di rimuoverla con la forza.

Inoltre, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: la buona fede del soggetto, intesa come convincimento della legittimità del proprio diritto, non esclude il reato. Anzi, ne è un presupposto essenziale. Se mancasse tale convincimento, si tratterebbe di altri reati, come il danneggiamento puro e semplice o il furto.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza il monopolio statale dell’amministrazione della giustizia. Anche quando si è fermamente convinti di essere dalla parte della ragione, non è lecito “farsi giustizia da sé”. La presenza di segnali che indicano una possibile pretesa altrui (come una recinzione, un cancello o qualsiasi altro tipo di delimitazione) impone la massima cautela e il ricorso alle vie legali. L’azione unilaterale, volta a rimuovere con la forza un ostacolo, integra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con tutte le conseguenze penali che ne derivano.

Per commettere il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è necessario che il diritto che si vuole far valere esista davvero?
No, la legge non richiede che il diritto sia oggettivamente esistente. È sufficiente che la persona agisca per far valere un “preteso diritto”, ovvero un diritto che crede, anche erroneamente, di possedere. La convinzione di essere nel giusto è un elemento costitutivo del reato, non una causa di giustificazione.

Cosa si intende per “contesa” ai fini del reato di esercizio arbitrario?
Non è necessaria una lite formale o una diffida. È sufficiente una “contesa di fatto” o anche solo “potenziale”. Secondo la sentenza, la semplice presenza di una recinzione che delimita una proprietà è un segno tangibile di una pretesa altrui e, quindi, di una potenziale contesa che obbliga a rivolgersi al giudice anziché agire autonomamente.

La buona fede di chi agisce può escludere il reato di esercizio arbitrario?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che la buona fede, intesa come il convincimento di agire legittimamente per esercitare un proprio diritto, è un presupposto necessario del reato. Se mancasse tale convincimento e si agisse sapendo di non avere alcun diritto, si potrebbero configurare reati diversi e più gravi, come il danneggiamento o il furto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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