Esercizio Arbitrario o Estorsione? La Cassazione Chiarisce i Confini
Quando il recupero di un credito si trasforma in un reato? La linea di demarcazione tra l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni e la ben più grave estorsione è un tema centrale nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: il ruolo del soggetto che agisce. Se chi interviene è un terzo, estraneo al rapporto debito-credito originario, la qualificazione giuridica del fatto cambia radicalmente, portando a conseguenze penali molto più severe.
I Fatti del Caso: L’Intervento del Terzo
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un uomo condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello per il reato di estorsione. Secondo la difesa, la condotta non avrebbe dovuto essere qualificata come estorsione, bensì come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, un reato punito in modo meno severo. La tesi difensiva si basava sull’idea che l’imputato stesse agendo per far valere una pretesa economica esistente tra un suo coimputato e la persona offesa.
Tuttavia, sia i giudici di merito che la Cassazione hanno respinto questa ricostruzione, evidenziando un dettaglio fondamentale: l’imputato era una figura completamente esterna al rapporto obbligatorio. Non agiva per recuperare un proprio credito, ma per un interesse personale, distinto e autonomo da quello del presunto creditore.
La Differenza tra Esercizio Arbitrario ed Estorsione secondo la Cassazione
La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità. Il reato di esercizio arbitrario, previsto dall’articolo 393 del codice penale, presuppone che il soggetto agisca per esercitare un diritto che ritiene, a torto o a ragione, di possedere. L’elemento soggettivo del reato è quindi la convinzione di agire per tutelare una propria pretesa giuridicamente fondata, sostituendosi agli organi dello Stato.
Il Ruolo Decisivo del Terzo Estraneo
Quando, invece, ad agire con violenza o minaccia è un soggetto terzo, che non ha alcun titolo per avanzare quella specifica pretesa economica, la situazione muta. In questo scenario, l’azione non è più finalizzata a ‘farsi giustizia da sé’, ma a ottenere un profitto che è ingiusto per chi agisce, poiché non fondato su alcun diritto personale. La condotta, pertanto, integra pienamente gli estremi del più grave reato di estorsione.
La Genericità dei Motivi e l’Inammissibilità del Ricorso
Oltre alla questione di diritto sulla qualificazione del reato, la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile anche per un vizio procedurale. I motivi di appello sono stati giudicati manifestamente infondati e generici.
L’Impossibilità di una ‘Rilettura’ dei Fatti in Cassazione
La difesa si era limitata a riproporre le stesse censure già respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi specificamente con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata. In particolare, non aveva contestato in modo puntuale le motivazioni con cui i giudici di secondo grado avevano valutato l’attendibilità della persona offesa. La Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o di offrire una ricostruzione alternativa, poteri che spettano esclusivamente ai giudici di merito.
Le motivazioni
La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su due pilastri. In primo luogo, ha evidenziato la genericità del primo motivo di ricorso, che non si confrontava con la dettagliata motivazione della Corte d’Appello (pagine da 5 a 7 della sentenza) sull’attendibilità della vittima, limitandosi a una sterile reiterazione di critiche. In secondo luogo, riguardo alla qualificazione giuridica del fatto, la Corte ha sottolineato come la sentenza impugnata avesse correttamente applicato la giurisprudenza consolidata. I giudici d’appello avevano chiarito (pagine 8 e 9) che l’imputato era un soggetto terzo ed estraneo alla pretesa economica avanzata dal coimputato. Egli aveva agito per un proprio interesse, autonomo e non collegato al rapporto obbligatorio tra il presunto creditore e il debitore. Questa circostanza esclude in radice la possibilità di qualificare il fatto come esercizio arbitrario, rendendo corretta la contestazione di estorsione.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni pratiche. La prima è di natura processuale: un ricorso in Cassazione, per avere speranza di essere accolto, deve contenere censure specifiche e puntuali contro la motivazione della sentenza impugnata, non potendo limitarsi a riproporre vecchie argomentazioni. La seconda è di natura sostanziale e traccia una linea netta: chi interviene con la forza per riscuotere un credito altrui, agendo per un interesse proprio, non commette il reato di esercizio arbitrario, ma quello ben più grave di estorsione. Questa distinzione è fondamentale per comprendere i limiti dell’autotutela e le gravi conseguenze penali che derivano dal superarli.
Quando una pretesa economica si qualifica come estorsione e non come esercizio arbitrario di un diritto?
Si qualifica come estorsione quando chi agisce con violenza o minaccia è un soggetto terzo, estraneo al rapporto obbligatorio originario, e agisce per un proprio interesse, procurandosi così un profitto ingiusto. L’esercizio arbitrario presuppone invece che l’agente creda di esercitare un proprio diritto.
Perché il ricorso alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano generici. In particolare, il ricorrente non si è confrontato specificamente con le motivazioni della sentenza d’appello, ma si è limitato a riproporre le stesse censure in modo vago, senza criticare puntualmente il ragionamento dei giudici.
La Corte di Cassazione può riesaminare l’attendibilità di un testimone?
No, la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare nel merito gli elementi di fatto, come l’attendibilità di un testimone o delle dichiarazioni della persona offesa. Questa valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere oggetto di una ‘rilettura’ in sede di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30906 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30906 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/09/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME e la memoria depositata nel suo interesse;
ritenuto che il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione di legge in ordine alla valutazione di attendibilità delle accuse della persona offesa è manifestamente infondato e generico poiché non si confronta con la motivazione resa dalla Corte da pag. 5 a pag. 7 che ha respinto i motivi di appello con argomentazioni corrette e congrue, e si limita a reiterare censure generiche;
che il ricorso tende altresì ad ottenere un’alternativa ricostruzione del fatto mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito e, in ogni caso, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944);
che il secondo motivo di ricorso con cui si deduce vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica della condotta ascritta al capo A come estorsione anziché come esercizio arbitrario ex art. 393 cod.pen. è generico poiché alle pag. 8 e 9 della sentenza impugnata la Corte ha reso motivazione conforme alla giurisprudenza di legittimità, rilevando che COGNOME era del tutto terzo ed estraneo alla pretesa economica avanzata dal correo COGNOME e ha agito per un proprio interesse estraneo ai rapporti obbligatori tra il correo e la persona offesa, il che esclude la qualificazione giuridica della condotta come esercizio arbitrario; il ricorrente non si confronta con detta motivazione e non la censura in modo specifico, limitandosi a prospettare la censura in modo generico;
Ritenuto che con la memoria depositata la difesa ha ribadito le censure in ordine al giudizio di attendibilità della persona offesa ma nulla ha aggiunto in ordine al secondo motivo di ricorso;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, in data 21 giugno 2024
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