Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 12031 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 12031 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il 26/01/1951 a NOLA avverso l’ordinanza in data 03/10/2024 del TRIBUNALE DI POTENZA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Pro- curatore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME COGNOME per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna l’ordinanza in data 03/10/2024 del Tribunale di Potenza, che ha parzialmente riformato l’ordinanza in data 09/09/2024 del G.i.p. del Tribunale di Potenza, che aveva applicato la misura della custodia in carcere in relazione al reato di rapina aggravata. La riforma è consistita nella sostituzione della misura carceraria con quella degli arresti domiciliari.
Deduce:
1.1. Vizio di motivazione in punto di gravità indiziaria del delitto di rapina del portafoglio.
Secondo il ricorrente il fatto andrebbe più correttamente qualificato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni e non come rapina, atteso che la pretesa relativa alla restituzione di una somma di denaro era fornita di base legale e poteva essere fatta valere in giudizio.
A tale riguardo rimarca come fossero emersi indizi univoci che lo vedevano quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, accusato di essersi appropriato ingiustamente di una cospicua somma di denaro, per come risulta anche dal ritrovamento in sede di perquisizione personale di alcuni foglietti, cui erano state riportate le somme vantate dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, parte delle quali il RAGIONE_SOCIALE era accusato di essersi appropriato.
Aggiunge come la circostanza sia stata chiarita dallo stesso COGNOME nel corso del suo interrogatorio, dove aveva riferito del debito di circa 420.000/430.000 euro che la società RAGIONE_SOCIALE aveva nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e che circa 100.000 euro erano stati incassati da RAGIONE_SOCIALE, che non li aveva mai consegnati alla società
Precisa come sia lo stesso COGNOME a riferire del debito della società RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
1.2. Vizio di motivazione in punto di gravità indiziaria sulla rapina del cellulare.
A questo proposito si duole della mancata considerazione delle doglianze difensive esposte con particolare riguardo alla telefonata effettuata dalla vittima al padre con l’applicativo whatsapp web e al ritrovamento nella disponibilità degli indagati della sola cover del telefonino, ma non anche del telefonino stesso.
Osserva come -pur a voler riconoscere l’impossessamento del telefoninodovrebbe comunque ritenersi configurato il meno grave reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in quanto il valore dello smartphone era sicuramente contenuto nella maggior somma, pari ad almeno 100.000,00 euro, per cui poteva vantarsi una legittima pretesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. L’indagato è stato sottoposto a misura cautelare perché attinto da gravi indizi di colpevolezza per il delitto di rapina aggravata, perpetrata sottraendo a NOME NOME una somma pari a 1.500,00 euro, un’autovettura e uno smartphone e sottraendo uno smartphone a NOME COGNOME.
Il tribunale ha spiegato che dalle dichiarazioni delle persone offese (NOME COGNOME Rocco e NOME COGNOME) -così come confortate dal ritrovamento nella di-
sponibilità dell’odierno indagato e dei suoi correi della refurtiva e dell’autovettura sottratta oltre che dall’individuazione fotografica effettuata da NOME COGNOME COGNOME– emergeva la coralità delle condotte delittuose, perpetrate con la consapevole partecipazione di tutti i correi, che l’avevano preventivamente pianificata.
Ai fini della configurabilità della rapina, risulta significativa l’azione di impossessamento del portafogli e delle chiavi dell’autovettura, così come descritta da NOME COGNOME nelle dichiarazioni riportate alla pagina 7 dell’ordinanza, che fanno vedere NOME NOME Rocco spinto a terra dall’uomo con il berretto blu (COGNOME COGNOME) che pure lo immobilizzava nel mentre l’uomo con la maglietta gialla (COGNOME NOME) “con violenza, usando la forza”, sottraeva a NOME NOME portafogli contente 1.500,00 euro e le chiavi dell’autovettura, che poi veniva portata via.
La ragazza aggiungeva che l’uomo con il berretto blu, accortosi della sua presenza, le strappava di mano il cellulare e poi la spingeva per impedirle di riprenderselo.
Dalle dichiarazioni rese dalla ragazza emerge come COGNOME COGNOME fosse sostanzialmente l’artefice delle condotte e la figura centrale della vicenda delittuosa, che il tribunale ha ritenuto configurasse un’unica fattispecie di rapina, sul presupposto dell’unicità del contestato spazio temporale di svolgimento della vicenda, così unificando l’originaria contestazione di due rapine, l’una in danno di NOME e l’altra in danno di NOME COGNOME
Da ciò emerge la sostanziale ininfluenza -oltre che la manifesta infondatezza- di tutte le obiezioni difensive intese a sminuire il ruolo dell’indagato rispetto a una condotta che nel ricorso continua a essere frammentata e distinta, a fronte dell’unitarietà della vicenda, siccome ritenuta dal tribunale.
1.2. Il tribunale, inoltre, ha affrontato il tema della qualificazione giuridica del fatto e ha escluso che potesse ritenersi configurato il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
In tal senso ha osservato che l’azione predatoria non era caduta soltanto sull’autovettura -in relazione alla quale era astrattamente ventilabile una legittima pretesa restitutoria-, ma anche sui 1.500,00 euro e sul telefonino cellullare, ossia su beni esorbitanti rispetto alla restituzione dell’autovettura che si assume pretesa da COGNOME NOME, in quanto di proprietà dalla società da lui amministrata e -asseritamente- concessa in uso a Salvia.
A tale riguardo va rimarcato che lo stesso COGNOME ha dichiarato di avere incaricato COGNOME COGNOME del solo recupero dell’autovettura, ma non anche dell’esazione di somme di denaro eventualmente dovute alla società da lui amministrata, così risultando destituito di fondamento l’assunto difensivo secondo cui COGNOME sarebbe stato debitore di 100.000 euro nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE. Circostanza, peraltro, smentita dallo stesso COGNOME.
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Sulla base di tali dati fattuali, il tribunale ha osservato che la condotta predatoria realizzata dal ricorrente e dai suoi co-indagati esorbitava -comunquedal mandato recuperatorio conferito da NOME NOME, così che doveva ritenersi configurata una rapina e non il reato di ragion fattasi, in ciò rendendo una motivazione conforme all’insegnamento di questa Corte, che ha chiarito che «il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità» (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 03).
A fronte di una lineare e adeguata motivazione, resa sulla base di una completa e approfondita disamina delle risultanze investigative, oltre che nel rispetto dei principi di diritto vigenti in materia, le doglianze articolate nel ricorso non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative del tribunale.
Da ciò discende l’inammissibilità dell’impugnazione, che pone questioni non scrutinabili in sede di legittimità, atteso che, in tema di misure cautelari personali «il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito» (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, COGNOME, Rv. 269884 – 01; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME Rv. 252178).
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 04/02/2025