Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44779 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44779 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 20/11/2024
R.G.N. 26703/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME COGNOME nata in Germania il 01/05/1977 COGNOME NOME nato a MANDURIA il 07/03/1988 COGNOME nato a MANDURIA il 02/02/1982
avverso la sentenza del 05/02/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME udito il difensore avv.to NOME COGNOME in sostituzione dell’avv.to NOME COGNOME che si riporta ai motivi e ne chiede l’accoglimento.
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibili i ricorsi
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Taranto, con sentenza in data 5 febbraio 2024, confermava la pronuncia del G.U.P. del Tribunale di Taranto del 22-9-2023 che aveva condannato NOME, NOME NOME e NOME NOME alle pene di legge in quanto ritenuti tutti colpevoli del delitto di concorso in estorsione aggravata ed il primo anche di furto. Gli imputati, dopo che NOME aveva sottratto delle casse acustiche dall’esercizio della persona offesa, Caserta, avevano chiesto ed ottenuto il versamento della somma di € 1400,00 per procedere alla restituzione delle stesse.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore degli imputati,
avv.to NOME COGNOME deducendo, con motivi comuni qui riassunti ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.:
– violazione dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, posto che i fatti andavano riqualificati nella fattispecie di cui all’art. 393 cod.pen.; si esponeva al proposito che, secondo la ricostruzione dei fatti, la sottrazione delle casse acustiche era dipesa dall’omesso pagamento delle spettanze lavorative vantate dai fratelli Portogallo nei confronti del Caserta e che il successivo versamento dell’importo di € 1400 preteso era avvenuto a titolo di remunerazione per il lavoro svolto in assenza di regolare contratto, circostanza quest’ultima confermata dal controllo effettuato dalla G.d.F. presso le attività del Caserta ed all’esito del quale era risultata la presenza di lavoratori ‘ in nero’; richiamati i principi giurisprudenziali in ordine alla differenziazione tra le fattispecie di cui agli artt. 393 e 629 cod.pen. si sottolineava come i ricorrenti avessero agito all’esclusivo fine di ottenere da Caserta il versamento della retribuzione loro dovuta;
violazione dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante delle persone riunite, posto che la richiesta di versamento del denaro era stata effettuata dal solo NOME NOME;
difetto di motivazione ex art. 606 lett. e) cod.proc.pen. con riguardo alla determinazione della pena, anche in riferimento all’aumento per continuazione;
violazione dell’art. 606 lett. e) cod.proc.pen. in riferimento all’omessa concessione delle pene sostitutive fondato su affermazioni assertive ed in forza dei soli precedenti penali.
2.1 Con un secondo motivo nell’interesse del solo Portogallo NOME si deduceva violazione dell’art. 606 lett. e) cod.proc.pen. per contraddittorietà, mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla commissione da parte dell’imputato del delitto di furto mancando il dolo tipico della fattispecie ed avendo anzi il ricorrente agito per ottenere il pagamento degli stipendi insoluti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sono infondati ed i ricorsi devono, pertanto, essere respinti.
In relazione al primo motivo di doglianza, va ricordato che, in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e rapporti con il delitto di estorsione, l’orientamento delle Sezioni Unite della corte di legittimità ha affermato che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027 – 02); la medesima pronuncia ha precisato in motivazione che: ‘le fattispecie si distinguono in base al solo finalismo della condotta, che in un caso Ł mirata al conseguimento di un profitto ingiusto, e nell’altro allo scopo, soggettivamente concepito in modo ragionevole, di realizzare, pur con modi arbitrari, una pretesa giuridicamente azionabile’; così che, prosegue tale pronuncia:’ la sussistenza del requisito della tutelabilità dinanzi all’autorità giudiziaria del preteso diritto cui l’azione del reo Ł diretta va verificata preliminarmente’ (Sez. Un. 29541/20 cit).
Orbene, proprio facendo applicazione del sopra esposto principio della necessaria individuabilità del preteso diritto che l’azione violenta o minacciosa Ł diretta a tutelare, la sentenza di appello ha escluso la configurabilità dell’invocata fattispecie, posto che il presunto credito da lavoro dei Portogallo, risultava sfornito di adeguati elementi di riscontro, affermato dagli imputati sulla base di dichiarazioni contraddittorie, ricostruito in termini non adeguatamente certi per farlo ritenere direttamente tutelabile; ed invero, le pronunce di primo e secondo grado, con valutazione sul punto conforme e priva di travisamenti, hanno sottolineato come la determinazione della presunta somma dovuta dal Caserta per le attività lavorative che i Portogallo avevano prestato alle sue dipendenze, appaia essere avvenuta con modalità arbitrarie, stante la mancata precisazione della natura del
rapporto intercorrente tra le parti (piccolo appaltatore di opere di ristrutturazione ovvero mero dipendente), delle date di inizio e fine lavori, e delle palesi contraddizioni sul punto ricavabili dalle dichiarazioni rese dai medesimi imputati, che hanno indicato differenti periodi di lavoro e causali del preteso credito. Così che, proprio per tale fondamentale imprecisione e genericità nella concreta individuazione del diritto alla retribuzione per la prestazione lavorativa, pur astrattamente tutelabile, tale pretesa non poteva in quella fase ritenersi direttamente esercitabile nei confronti della persona offesa.
1.1 In ogni caso deve osservarsi che a tutela di un diritto di credito avente ad oggetto somme di denaro, come quello che può vantare il lavoratore o piccolo appaltatore di opere nei confronti del datore di lavoro o committente delle opere, non può legittimarsi l’acquisizione con violenza o minaccia di altri e diversi beni nel possesso del presunto debitore. Al proposito la Corte di legittimità ha chiarito come in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo piø ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato Ł la sostituzione dello strumento di tutela pubblico con quello privato, operata dall’agente al fine di esercitare un diritto, con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente (Sez. 6, n. 47672 del 04/10/2023, Rv. 285883 – 03). Detto principio risulta già anticipato da altra pronuncia della Corte, secondo cui in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi “quid pluris”, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione Ł la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016 Rv. 268362 – 01). Tale sentenza in particolare evidenziava in motivazione che:’ Ł, peraltro, necessario precisare, onde evitare possibili (ed anzi, per la verità, molto frequenti nella pratica) interpretazioni strumentali, che, ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni:
la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo piø ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione Ł la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (Sez. V, n. 2819 del 24 novembre 2014, dep. 2015, rv. 263589);
l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente: pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria (Sez. V, n. 23923 del 16 maggio 2014, rv. 260584), ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale”. Per la sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non Ł, infatti, necessario che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata sia realmente esistente, ma occorre pur sempre che l’autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale.
Sul punto, pertanto, il ricorso erra nel prospettare la possibilità di un’azione diretta al recupero di un credito, mai accertato nel suo ammontare, anche mediante l’apprensione di beni diversi, poichØ il diritto tutelabile non aveva ad oggetto quelle casse acustiche che venivano sottratte dall’esercizio commerciale del Caserta e per la cui restituzione veniva poi chiesto il pagamento di un ‘riscatto’, bensì presunti crediti di lavoro.
1.2 L’ipotesi delineata dalla difesa nel primo motivo di doglianza, secondo cui il reato
di furto e la successiva richiesta di versamento di denaro ai fini di ottenere il pagamento delle presunte spettanze lavorative, sarebbe inquadrabile nella ipotesi di cui all’art. 393 cod.pen., trova, poi, ulteriore smentita nell’analisi della stessa struttura del reato di esercizio arbitrario; ed invero, con affermazioni risalenti, ma sempre valide, la Corte di cassazione ha affermato come nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni restano assorbiti solo quei fatti che, pur costituendo di per se stessi reato, rappresentano elementi costitutivi del primo: tali sono il danneggiamento, rispetto all’ipotesi di cui all’art. 392 cod. pen., e le minacce o le semplici percosse, rispetto all’ipotesi di cui all’art. 393 stesso codice. Se la violenza eccede tali limiti, i reati in tal modo commessi danno luogo ad autonome responsabilità penali, concorrenti eventualmente col reato di ragion fattasi, ove sussista il dolo specifico proprio di quest’ultimo (Sez. 5, n. 2425 del 07/12/1988 -dep. 1990- Rv. 183405 – 01). Tale essendo la struttura del reato di cui all’art. 393 cod.pen. deve essere escluso che lo stesso ricomprenda con funzione specializzante anche il furto dei beni del presunto obbligato e la successiva richiesta di versamento di somme, trattandosi di ipotesi estranea al dettato normativo contenuto nella descrizione delle condotte di esercizio arbitrario; al proposito dei rapporti tra norme e della natura speciale ed assorbente di una rispetto ad altra va ricordato come la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021 Rv. 281973 – 01, Pg.c.Magistri) ha da tempo chiarito che la sussistenza dell’identità della materia regolata da piø disposizioni della legge penale, che costituisce il presupposto normativo dell’operatività dell’istituto del concorso apparente, non può essere valutata alla luce di criteri diversi dal principio di astratta specialità fra le norme. L’ipotesi dell’esclusiva applicabilità di una sola delle norme incriminatrici ricorre, pertanto, unicamente ove, all’esito del confronto strutturale fra le fattispecie astratte configurate e della comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle, sia da escludere il presupposto della convergenza di norme.
Sul punto, si Ł precisato che deve definirsi norma speciale quella che contiene tutti gli elementi costitutivi della norma generale e che presenta uno o piø requisiti propri e caratteristici, in funzione specializzante, sicchØ l’ipotesi di cui alla norma speciale, qualora la stessa mancasse, ricadrebbe nell’ambito operativo della norma generale (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, cit.). In tale ambito ricostruttivo, si Ł chiarito che il criterio di specialità deve intendersi e applicarsi in senso logico-formale; il presupposto della convergenza di norme, necessario perchØ risulti applicabile la regola sulla individuazione della disposizione prevalente posta dall’art. 15 cod. pen, risulta integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra fattispecie, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le norme incriminatrici astrattamente configurate, mediante la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie di reato.
Orbene, deve osservarsi, che l’applicazione del principio di stretta specialità sancito dalle indicate pronunce delle Sezioni Unite porta ad escludere che tra esercizio arbitrario, furto di cose e successiva richiesta di pagamento di somme per effettuarne la restituzione, sussista un rapporto di specialità; invero dal confronto astratto tra le fattispecie risulta evidente che l’esercizio arbitrario, essendo costituito dalla condotta di abusivo esercizio di un diritto, non contiene tutti gli elementi costitutivi l’ipotesi del furto che attiene invece all’impossessamento del bene altrui. L’elemento della sottrazione della cosa con successiva richiesta di pagamento di somme per ottenerne la restituzione non Ł elemento costitutivo del reato di cui all’art. 393 cod.pen. così che tra 624 e 393 cod.pen. non sussiste rapporto di specialità tale da potere fare affermare che il primo rimanga assorbito nella seconda condotta e la richiesta di ‘riscatto’ ricada nell’ambito punitivo dell’esercizio arbitrario.
In conclusione, quindi, può affermarsi che nel caso in esame non appare prospettabile in ogni caso l’ipotesi di esercizio arbitrario poichØ le fattispecie assorbite nella condotta di cui all’art.
393 cod.pen. sono solo quelle di violenza o minaccia mentre, nella fattispecie, l’azione consistette nella sottrazione di beni altrui con la conseguenza che presupposto della estorsione punibile viene ad essere proprio il furto dei beni seguito dalla richiesta di consegna di una somma di denaro ed il profitto perseguito appare pertanto colorato dal denominatore dell’ingiustizia.
2. Anche il secondo motivo avanzato nell’interesse di NOME NOME Ł manifestamente infondato e reiterativo; invero, quanto al dolo di furto va ricordato come nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore (Sez. U, Sentenza n. 41570 del 25/05/2023 dep. 2023- Rv. 285145 – 01) sicchŁ irrilevante appare la circostanza che nella specie l’azione era motivata dalla volontà di perseguire il pagamento delle proprie spettanze.
Manifestamente infondati appaiono anche i restanti motivi posto che la sussistenza della aggravante delle persone riunite Ł adeguatamente motivata dalla corte di appello con riferimenti in fatto esposti a pagina 7 della motivazione e non censurabili nella presente sede; infine, sia la determinazione della pena che l’esclusione delle pene sostitutive vengono ampiamente motivate dal giudice di appello sulla base della negativa personalità degli imputati che ha portato al riconoscimento della recidiva reiterata nei confronti di ciascuno di essi e di un curriculum criminale tale da avere fondato la formulazione di una prognosi negativa di rispetto delle prescrizioni ad esse connesse.
Alla declaratoria di infondatezza consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 20/11/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME