Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26168 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26168 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato ad Acquaviva delle Fonti il 23/06/1972 avverso la sentenza della Corte di appello Bari in data 30/05/2024 udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME il quale ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni scritte depositate dall’avv. NOME COGNOME difensore di
COGNOME NOME il quale ha insistito nell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bari ha confermato quella del Tribunale di Bari in data 06/06/2023 con la quale COGNOME NOME era stato condannato per due episodi di tentata estorsione aggravata posti in essere, in concorso con altri imputati non ricorrenti, nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME
2.Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, affidandolo ai seguenti motivi :
2.1.nullità della sentenza ex art. 178,co.1, lett. c) , 179 e 185 c.p.p., per l’omessa notifica, all’imputato, dell’ordinanza dibattimentale con la quale era stato disposto il trasferimento della sede del processo (da Bari al Tribunale di Modugno).
La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che la notifica all’imputato non fosse dovuta e comunque che l’eccezione difensiva fosse tardiva perché non sollevata nell’udienza successiva a quella nella quale si era verificata la nullità in quanto, a parere della difesa, la natura del vizio dovuto all’omessa notifica del provvedimento che disponeva il trasferimento della sede del processo, all’imputato personalmente, integrava una nullità assoluta, non suscettibile di sanatoria.
2.2.Con il secondo motivo il difensore deduce violazione di legge in relazione all’art. 500, co. 4, c.p.p. e 191 c.p.p., per avere la Corte di appello confermato la decisione di primo grado in merito alla acquisizione delle dichiarazioni precedentemente rese dal teste Guerra nonostante non vi fossero elementi concreti che inducessero a ritenere che egli si fosse sottratto all’esame, in dibattimento, perché intimorito.
Ad avviso della difesa la sentenza di appello non avrebbe considerato che il teste COGNOME aveva deciso liberamente di non deporre in dibattimento nei confronti di COGNOME in quanto motivato dall’interesse ad ottenere l’ assoluzione in sede di giudizio abbreviato e che le dichiarazioni del teste COGNOME valorizzate in sentenza come riscontro individualizzante dell’intimidazione subita dal COGNOME, erano state smentite dal teste COGNOME In sostanza la difesa rinnarca l’insussistenza di elementi concreti, sintomatici dell’intimidazione subita dal dichiarante ai fini dell’acquisizione delle dichiarazioni rese in fase di indagini.
2.3.Con il terzo motivo deduce violazione di legge ed illogicità della motivazione per avere la Corte di appello fondato la propria decisione sulle dichiarazioni rese dal teste COGNOME il quale, secondo la prospettazione difensiva, sarebbe inattendibile perché rmosso dall’interesse ad ottenere l’assoluzione, avrebbe negato una circostanza decisiva :la propria amicizia con COGNOME invero confermata dai testi COGNOME,COGNOME e COGNOME.
2.4.Con il quarto motivo la difesa contesta la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 629 c.p., anziché ai sensi dell’art. 393 c.p., avendo il COGNOME agito per l’ottenimento del credito legittimo che Guerra vantava nei confronti della società di Buono RAGIONE_SOCIALE e non per un interesse personale come
ritenuto in sentenza.
2.5.Con il quinto motivo deduce violazione di legge per mancanza di motivazione in relazione alla dosimetria della pena ed al diniego delle attenuanti generiche lamentando che la sentenza non avrebbe dato rilievo alla differente posizione del COGNOME, intervenuto nella vicenda a titolo di amicizia, rispetto a quella dei correi (COGNOME).
CONSIDERATO IN DIRITTO
LI1 ricorso è inammissibile perché proposto per motivi in parte manifestamente infondati, in parte aspecifici in quanto reiterativi di doglianze prospettate in appello ed ivi superate con argomentazioni logico – giuridiche ineccepibili.
2.11 primo motivo con il quale si solleva una questione di natura processuale è manifestamente infondato.
La Corte di appello in merito all’eccezione difensiva riguardante l’omessa notifica, all’imputato personalmente, del provvedimento dibattinnentale con il quale si disponeva il trasferimento della sede processuale (da Baria a Modugno)ha rigettato l’eccezione rimarcando, da un canto, che l’ordinanza era stata notificata, per l’imputato, al difensore fiduciario tramite PEC sicchè essa non poteva essere equiparata alla notifica del tutto omessa ed integrare un vizio di nullità assoluta,ma doveva ritenersi un vizio integrante una nullità a regime intermedio che in quanto non tempestivamente dedotta, doveva intendersi sanata. Ha rilevato altresì la Corte di merito che, in concreto, il ricorrente non aveva lamentato alcuna lesione delle prerogative difensive.
La Corte di appello con tale decisione si è uniformata al principio più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. U., n. 119 del 27/10/2004, Rv. 229541; Sez. 5, n. 48916 del 1/10/2018, Rv. 274183;Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, Rv. 284810; Sez. 6, n. 1742 del 22/10/2013, Rv. 258131; Sez. 6, n. 42755 del 24/09/2014,Rv. 260434) secondo cui la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art.179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato.
Qualora, dunque, il ricorso non indichi specificamente le ragioni di tale inidoneità assoluta in concreto della notifica irrituale a determinare la conoscenza effettiva del giudizio, ed in mancanza di elementi dai quali il Collegio possa giungere autonomamente a tale conclusione, deve ritenersi la genericità della deduzione del vizio relativo alla sussistenza di un’ipotesi di nullità assoluta.
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La decisione della Corte di appello è quindi corretta non avendo il ricorrente, nemmeno in questa sede, nulla argomentato sul perché la notifica sia stata in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte sua, pur essendo stata diretta al difensore di fiducia il quale ha presenziato all’udienza a Modugno – come risulta dagliatti processuali, ai quali il Collegio ha avuto accesso in ragione della natura del vizio dedotto – e, al darsi atto dell’assenza dell’imputato, nulla ha eccepito al riguardo.
Tali conclusioni convergono anche nella logica di fondo che permea la decisione delle Sezioni Unite COGNOME e la giurisprudenza di legittimità successiva dei massimo collegio nomofilattico.
Invero, declinando un orientamento che si muove sotto l’egida di un canone generale di”pregiudizio effettivo”, individuato come ragione ultima della disciplina delle nullità e, al tempo stesso, limite capace di perimetrarne i confini applicativi, la giurisprudenza di legittimità ricorre, ai fini di verificare l’esistenza effettiva un error in procedendo, all’applicazione del principio di offensività processuale, secondo cui, perché sussista la nullità, non è sufficiente che sia stato posto in essere un atto non conforme al tipo, ma è necessario valutare se la violazione abbia effettivamente compromesso le garanzie che l’ipotesi di invalidità era destinata a presidiare( cfr. Sezioni Unite, n. 7697 del 24/11/2016, Rv. 269027), oltre allacitata sentenza Sez. U, n. 119 del 2005, COGNOME (che, a sua volta, si ispira a Sez. U, n.17179 del 27/2/2002, Rv. 221403 ed a Sez. U, n. 35358 del 9/7/2003,Rv. 225361), e tra queste anche le sentenze Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006,Rv. 235697; Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, Rv. 239396,Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, Rv. 251497).
Tali pronunce pongono una linea interpretativa valida anche al confronto con la la scelta del massimo collegio nomofilattico di perseguire l’obiettivodi assicurare la conoscenza effettiva degli atti e della stessa esistenza del processo da parte dell’imputato, effettuata con le sentenze Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, Rv. 279420 e Sez. U, n. 28912 del 28/2/2019, Rv. 275716; sentenze che leggono in un’ottica sostanzialistica la disciplina formale della regolare vocatio in iudicium.
Conclusivamente quindi la giurisprudenza di legittimità consente di ritenere che notifiche simili a quella effettuata nei confronti dell’odierno ricorrente, !ungi dal poter essere ritenute inesistenti o assolutamente inidonee tout court e quindi equiparabili ad una notificazione “omessa” – devono, piuttosto, reputarsi idonee a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, a meno che non vengano specificamente dedotte ragioni di inidoneità concrete.
3.Manifestamente infondato oltre che aspecifico è il secondo motivo di ricorso.
Il ricorrente non si confronta con l’ampia motivazione della sentenza impugnata in cui la Corte di appello ha dato conto della correttezza dell’operato del Tribunale che aveva disposto l’acquisizione delle dichiarazioni precedente rese dal teste COGNOME individuando puntualmente gli indici sintomatici del condizionamento subito dal teste affinchè non deponesse in dibattimento ed ha congruamente affrontato tutte le deduzioni difensive con le quali si contestava la sussistenza di detti indici sintomatici rispondendo puntualmente su ogni circostanza (pag. 5 e segg. della sentenza impugnata).
La Corte di appello ha in tal modo applicato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “ai fini dell’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni in precedenza rese dal teste, ai sensi dell’art. 500, comma 4, c.p.p., gli “elementi concreti”, sulla base dei quali può ritenersi che egli sia stato sottoposto ad intimidazione affinché non deponga ovvero deponga il falso, non devono necessariamente consistere in fatti che positivamente dimostrino – con un livello di certezza necessario per una pronuncia di condanna – l’esistenza di specifici atti di violenza o minaccia indirizzati verso il medesimo, potendo, invece, essere desunti da circostanze sintomatiche dell’intimidazione, emerse anche nello stesso dibattimento, secondo parametri correnti di ragionevolezza e persuasività, alla luce di una valutazione complessiva delle emergenze processuali” (Sez. 2, n. 29393 del 22/04/2021, Rv. 281808; Sez. 5, n. 13176 del 11/12/2018, Rv. 275622).
4.11 terzo motivo che denuncia l’inattendibilità del teste COGNOME sul rilievo che lo stesso non avrebbe riferito della sua amicizia con COGNOME motivo per il quale, secondo la difesa, COGNOME sarebbe intervenuto nella vicenda,è generico e manifestamente infondato.
La circostanza, diversamente da quanto opinato nel ricorso, non riveste carattere di decisività essendo oggettivamente dimostrato che l’imputato intervenne, unitamente agli COGNOME, soggetti di una elevata caratura criminale, ad esercitare la pretesa estorsiva nei confronti di COGNOME per ottenere un proprio profitto ( cfr. pagg. 7, 8 e 9 della sentenza impugnata).
La censura è inammissibile anche riguardata sotto il diverso profilo dell’illogicità della motivazione poiché,a fronte della mancanza di un reale travisamento delle dichiarazioni dei testi (NOME e altri), essa si traduce nella diversa eid non consentita rilettura del materiale probatorio cui il ricorrente tenta di dare un significato dimostrativo diverso da quello concordemente ritenuto da entrambi i giudici di merito
5.11 quarto motivo con il quale di contesta la qualificazione giuridica del fatto in
termini di estorsione, è aspecifico e manifestamente infondato.
Osserva infatti il collegio che la Corte di appello, pur riconoscendo che COGNOME intervenne nella fase iniziale della vicenda estorsiva per supportare la pretesa creditoria che COGNOME vantava nei confronti di COGNOME affinchè quest’ultimo onorasse il suo debito, nel prosieguo manifestò un interesse personale nella vicenda tanto che pretese, insieme agli COGNOME, il 50% del recupero di quanto già fatturato dal COGNOME e, diversamente da COGNOME / contestò il piano di rientro concordato da COGNOME con la p.o.(il pagamento di euro 5.000,00 mensili fino alla completa estinzione del debito), pretendendo perentoriamente da Buono, entro la fine di novembre, 30.000,00 euro.
La decisone della Corte di appello è dunque corretta e conforme all’indirizzo espresso dalle Sez. U. “Filardo” che, a proposito dell’intervento di terzi a tutela di un diritto altrui, hanno affermato il principio secondo cui per la configurabilità de delitto di ragion fattasi “occorre che il terzo abbia commesso il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo effettivo titolare, dal quale abb ricevuto incarico di attivarsi, e non perché spinto anche da un fine di profitto proprio, ravvisabile ad esempio nella promessa o nel conseguimento di un compenso per sé, anche se di natura non patrimoniale (Sez. 2, n. 11282 del 2/10/1985, Rv. 171209); qualora il terzo agente – seppure inizialmente inserito in un rapporto inquadrabile ex art. 110 cod. pen. nella previsione dell’art. 393 stesso codice – inizi ad agire in piena autonomia per il perse guimento dei propri interessi, deve ritenersi che tale condotta integri gli estremi del concorso nel reato di estorsione ex artt. 110 e 629 cod. pen. (Sez. 2, n. 8836 del 05/02/1991, COGNOME, Rv. 188123; Sez. 2, n. 4681 del 21/03/1997, Russo, Rv. 207595; Sez. 5, n. 29015 del 12/07/2002, COGNOME, Rv. 222292; Sez. 5, n. 22003 del 07/03/2013, COGNOME, Rv. 255651)”. In conclusione il Supremo consesso ha statuito che “il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senz perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A tal riguardo occorre rammentare che ai fini dell’integrazione del delitto di esercizio delle propri ragioni, la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve corrispondere all’oggetto della tutela apprestata dall’ordinamento giuridico e non risultare in qualche modo più ampia atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione operata dall’agente dello strumento di tutela pubblico con il privato e l’agente quindi deve essere animato dal fine di
esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente ( Sez. 2, n. 46288 del 28/06/20216, Rv. 268362; Sez.
6 , n. 47672 del 04/10/2023, Rv. 28588359).
In altre parole perché sussista il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e non quello di estorsione, nell’azione posta in essere da un terzo a tutela di un
diritto altrui, da un terzo a tutela di un diritto altrui, occorre che l’agen commetta il fatto al solo fine di esercitare il preteso diritto per conto del suo
effettivo titolare, dal quale abbia ricevuto incarico, e non perché spinto anche da un fine di profitto proprio, ravvisabile nella promessa o nel conseguimento di un
compenso per sè.
Tanto premesso, nel caso esaminato, dalle convergenti dichiarazioni della persona offesa COGNOME e COGNOME COGNOME è risultato che egli agì in concorso con gli
COGNOME condannati in via definitiva per gli stessi fatti, al fine di ottenere un profitto proprio sicchè,correttamente i giudici di merito hanno escluso di poter
riqualificare il fatto ai sensi dell’art. 393 c.p.
6.L’ultimo motivo con il quale il ricorrente contesta la dosimetria della pena è generico in quanto non tiene conto di quanto ampiamente argomentato dalla Corte di appello in merito alla entità della pena, determinata avuto riguardo alle modalità de fatto ed alla personalità dell’imputato già condannato per gravi reati: associazione per delinquere e riciclaggio e sottoposto, all’epoca dei fatti, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale senza avvedersi che gli sono state benevolente concesse le attenuanti generiche in regime di equivalenza con le aggravanti.
Alla luce di quanto complessivamente esposto il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/06/2025