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Esercizio arbitrario: la Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per estorsione, riqualificando il fatto come possibile esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La sentenza chiarisce che il criterio distintivo tra i due reati non è l’intensità della violenza, ma l’elemento psicologico dell’agente. Anche un terzo, che agisce per conto del creditore senza perseguire un profitto ingiusto o ulteriore, può rispondere del reato meno grave. La Corte ha rinviato il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione basata su questi principi.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio Arbitrario o Estorsione? La Cassazione Fissa i Paletti

La distinzione tra il reato di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è uno dei temi più dibattuti nel diritto penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 23146/2025) è tornata sull’argomento, fornendo chiarimenti fondamentali, specialmente quando ad agire non è il creditore in persona, ma un terzo da lui incaricato. La decisione annulla una condanna per estorsione, sottolineando che l’elemento chiave per distinguere le due fattispecie non è la forza usata, ma l’intenzione di chi agisce.

I Fatti del Caso

Il caso nasce dalla condanna di un uomo per i reati di estorsione e lesioni personali, confermata in secondo grado dalla Corte di Appello. L’imputato, secondo l’accusa, aveva agito per recuperare un credito vantato da un’altra persona. La sua difesa ha però presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero commesso un errore di diritto. L’argomentazione difensiva si basava su un punto cruciale: l’imputato aveva agito nell’esclusivo interesse del creditore, senza mirare a un profitto ulteriore o ingiusto rispetto al debito esistente. Di conseguenza, il fatto doveva essere qualificato come il reato meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall’art. 393 del codice penale, e non come estorsione (art. 629 c.p.).

A complicare il quadro, durante il procedimento in Cassazione, è emersa una sentenza irrevocabile riguardante un coimputato per la stessa vicenda, nella quale i giudici avevano effettivamente riqualificato il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

La Questione dell’Esercizio Arbitrario delle Proprie Ragioni

Il ricorso si è concentrato sulla corretta interpretazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite della Cassazione nella nota sentenza “Filardo” del 2020. Secondo questo orientamento, per distinguere i due reati non si deve guardare al grado di violenza o minaccia utilizzata, che può essere identica in entrambi i casi. Il vero discrimine è l’elemento psicologico dell’agente:

1. Nell’esercizio arbitrario, chi agisce è convinto, in modo ragionevole (anche se magari infondato), di esercitare un proprio diritto e di sostituirsi alla giustizia statale.
2. Nell’estorsione, chi agisce è pienamente consapevole dell’ingiustizia della propria pretesa, mirando a un profitto che sa non essergli dovuto.

La difesa ha inoltre sostenuto che il reato di cui all’art. 393 c.p. è un “reato proprio non esclusivo”. Ciò significa che non solo il titolare del diritto (il creditore), ma anche un terzo può commetterlo, a condizione che agisca nell’esclusivo interesse del creditore e senza perseguire vantaggi personali.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato, accogliendo in pieno le argomentazioni difensive. I giudici hanno ribadito che la Corte d’Appello aveva fatto “malgoverno” dei principi di diritto consolidati.

L’Elemento Psicologico come Unico Criterio

La Cassazione ha riaffermato con forza che l’unico criterio distintivo tra le due figure di reato è l’elemento psicologico. È irrilevante che la condotta sia caratterizzata da una forza intimidatoria sproporzionata. Se l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione, anche errata ma ragionevole, di esercitare un proprio diritto, si configura l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Se, invece, agisce con la consapevolezza dell’ingiustizia della pretesa, si tratta di estorsione.

Il Ruolo del Terzo Incaricato della Riscossione

Di particolare importanza è il chiarimento sul ruolo del terzo. La Corte ha specificato che anche un soggetto estraneo al rapporto creditorio può rispondere del reato di cui all’art. 393 c.p. se si “immedesima” nella posizione del creditore. Questo avviene quando il suo unico scopo è ottenere la soddisfazione del credito, senza ricavare alcuna utilità diversa o ulteriore per sé. In questi casi, il terzo beneficia dello stesso trattamento più favorevole previsto per il creditore, poiché l’essenza del reato non cambia: si tratta sempre di una sostituzione illecita dell’azione privata a quella pubblica del giudice.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata e ha rinviato il caso alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio. Il giudice del rinvio dovrà attenersi ai principi enunciati: non potrà più considerare l’intervento di un terzo o l’intensità della violenza come elementi automaticamente indicativi di un’estorsione. Dovrà invece condurre un’analisi approfondita sull’elemento psicologico dell’imputato, per verificare se egli abbia agito con l’esclusivo intento di recuperare un credito ritenuto legittimo o se, al contrario, abbia perseguito un profitto ingiusto. Questa sentenza rafforza un principio di garanzia, imponendo ai giudici di merito una valutazione più rigorosa e attenta dell’intenzione criminale.

Qual è la differenza principale tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
La differenza fondamentale risiede nell’elemento psicologico dell’agente. Nell’esercizio arbitrario, la persona agisce nella convinzione, anche se errata, di far valere un proprio diritto. Nell’estorsione, invece, l’agente è consapevole di perseguire un profitto ingiusto.

Se una persona usa molta violenza per recuperare un credito, commette automaticamente il reato di estorsione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il grado di intensità della violenza o della minaccia non è il criterio decisivo per distinguere i due reati. Anche una condotta molto aggressiva può rientrare nell’esercizio arbitrario se l’intenzione è solo quella di soddisfare una pretesa creditoria ritenuta legittima.

Un terzo incaricato di recuperare un debito può essere accusato del reato meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni?
Sì. Se il terzo agisce per conto del creditore e il suo unico scopo è ottenere il pagamento del debito, senza pretendere nulla di più per sé o per altri, può essere ritenuto responsabile del reato di esercizio arbitrario in concorso con il creditore, e non necessariamente di estorsione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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