Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12755 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 12755  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa in data 23/05/2024 dalla Corte di appello di Reggio Calabria lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; generale NOME COGNOME, che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri ha citato a giudizio NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 660 cod. pen., commesso in Casignana sino al 5 aprile 2017, e per il delitto di cui all’art. 393 cod.
pen., commesso in Casignana dal 30 gennaio 2017 sino all’aprile 2017.
Secondo l’ipotesi di accusa, l’imputato, potendo ricorrere al giudice, per ottenere la restituzione da NOME COGNOME delle somme in precedenza mutuate, l’avrebbe minacciata con messaggi telefonici.
Il Tribunale di Locri, con sentenza emessa in data 11 aprile 2023, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato in relazione al reato contestato al capo A), in quanto estinto per prescrizione, e ha condannato l’imputato per il delitto di cui al capo B) alla pena di due mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
La Corte di appello di Reggio Calabria, con la pronuncia impugnata, ha confermato la sentenza di primo grado e ha condannato l’imputato appellante al pagamento delle spese processuali.
AVV_NOTAIO, difensore dell’imputato, ha presentato ricorso avverso questa sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo due motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo il difensore ha censurato la violazione della legge processuale, in quanto il Procuratore generale avrebbe depositato tardivamente le proprie conclusioni nel giudizio di appello celebrato nelle forme cartolari.
Il difensore precisa di aver eccepito, con memoria depositata in data 22 maggio 2024, la tardività del deposito delle conclusioni scritte da parte del Procuratore generale, ma rileva che la Corte di appello ha ignorato questa eccezione e, dunque, ha omesso di motivare sul punto.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, il difensore ha dedotto l’inosservanza dell’art. 393 cod. pen., in quanto il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni contestato al ricorrente sarebbe configurabile solo nella forma tentata.
Il ricorrente, infatti, non avrebbe conseguito il risultato costituito dalla restituzione della somma.
Essendo il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona un reato di evento e non già di mera condotta, come statuito da Sez. 6, n. 29260 del 17/05/2018, Tino, Rv. 273444 – 01, in assenza della realizzazione dell’evento di danno (e, dunque, della percezione della somma), il reato commesso sarebbe meramente tentato.
Il difensore, in subordine, ha chiesto la rimessione di questa questione di diritto alle Sezioni unite, stante il contrasto ravvisabile nella giurisprudenza di legittimità sul punto.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 18 febbraio
2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
Con il secondo motivo, ma primo in ordine logico, il difensore ha dedotto l’inosservanza dell’art. 393 cod. pen., in quanto la condotta accertata dovrebbe essere più propriamente qualificata quale un tentativo di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
La questione di diritto dedotta dal ricorrente è incentrata sulla natura, di mera condotta o di evento, del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona ed è oggetto di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
La Corte di appello di Reggio Calabria ha qualificato la condotta minacciosa posta in essere dall’imputato come delitto consumato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e ha citato Sez. 2, n. 25999 del 5 luglio 2007, NOME, Rv. 237146 – 01.
Secondo questa pronuncia, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sia con violenza sulle cose che con violenza alle persone, si consuma nel momento in cui la violenza o la minaccia sono esplicate, senza che rilevi il conseguimento in concreto del fine perseguito; la Corte ha, infatti, precisato che il disvalore della condotta è espresso dal modo antigiuridico con il quale il preteso diritto è fatto valere, e prescinde dall’esistenza del diritto stesso e dal suo effettivo soddisfacimento (in senso analogo si esprimono: Sez. 2, n. 25999 del 02/04/2007, NOME, Rv. 237146, poi richiamata da Sez. 6, n. 6062 del 15/01/2008, COGNOME, non mass.).
Secondo questa pronunce, la consumazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non richiede la soddisfazione del preteso diritto che si è inteso tutelare, posto che la legge punisce il modo antigiuridico con il quale tale diritto è fatto valere, astraendo dalla sua esistenza e dall’effettivo soddisfacimento del diritto stesso.
Secondo un diverso e più recente orientamento, è, invece, configurabile il reato di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni allorché la violenza o la minaccia non sia seguita dalla realizzazione del risultato, trattandosi di un reato di evento la cui consumazione avviene solo con il raggiungimento dello scopo perseguito dall’agente (Sez. 6, n. 29260 del 17/05/2018, Tino, Rv. 273444 – 01).
Il contrasto di giurisprudenza obiettivamente esistente sul punto induce a ritenere il motivo di ricorso non manifestamente infondato e questo rilievo
determina la prescrizione del reato per cui si procede.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, solo l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01, nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
La prescrizione del delitto di cui all’art. 393 cod. pen. è, infatti, intervenuta in data 1 ottobre 2024, in quanto in tale data, in assenza di cause di sospensione, è integralmente decorso il termine massimo di sette anni e sei mesi dalla commissione del fatto (30 aprile 2017).
Dalle sentenze di merito, peraltro, non risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
La prescrizione del reato accertato dalle sentenza di merito determina l’assorbimento del primo motivo di ricorso.
In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata e nullità di ordine generale, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244275 – 01).
Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.