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Esercizio arbitrario delle ragioni: il caso del lock-out

Un amministratore di un complesso turistico cambiava le serrature di un’unità abitativa a un socio moroso, impedendogli l’accesso. Il Tribunale lo condannava per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La Corte di Cassazione, investita del caso con un ricorso diretto, non ha deciso nel merito ma ha convertito l’atto in un appello, ritenendo improcedibile il ricorso diretto a causa della natura della pena inflitta in primo grado.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio arbitrario delle ragioni: cambiare le serrature al socio moroso è reato?

Il principio secondo cui nessuno può farsi giustizia da sé è un cardine del nostro ordinamento. Anche quando si ritiene di avere un diritto palese, la via maestra per farlo valere è quella giudiziaria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre lo spunto per analizzare il reato di esercizio arbitrario delle ragioni, chiarendo importanti aspetti procedurali sull’impugnazione delle sentenze. Il caso riguarda un amministratore che, di fronte alla morosità di un socio, ha deciso di sostituire le serrature dell’appartamento, impedendogliene l’uso.

I Fatti del Caso

L’amministratore unico di una società che gestiva un complesso turistico-alberghiero aveva intimato a un socio il pagamento delle quote di manutenzione e gestione relative al periodo 2011-2017. Di fronte alla persistente morosità, l’amministratore procedeva alla sostituzione delle chiavi della porta d’ingresso dell’appartamento, di cui il socio aveva diritto di godimento in un determinato periodo dell’anno.

Il Tribunale di primo grado ha ritenuto che tale condotta integrasse il reato di esercizio arbitrario delle ragioni con violenza sulle cose (art. 392 c.p.). Secondo il giudice, l’amministratore, pur potendo agire in sede civile per il recupero del credito, si era fatto “ragione da sé” spogliando il socio del suo diritto di godimento sull’immobile. La difesa dell’imputato sosteneva invece la legittimità dell’azione, invocando una clausola del regolamento societario che, in base al principio “inadimplenti non est adimplendum” (art. 1460 c.c.), consentiva di inibire l’uso dell’unità abitativa ai soci non in regola con i pagamenti.

Il Tribunale ha condannato l’amministratore a una pena pecuniaria, commettendo però un’imprecisione: in motivazione parlava di “multa”, mentre nel dispositivo indicava una “ammenda”, per un importo peraltro superiore al massimo edittale previsto dalla norma.

La Decisione della Corte: una Questione Procedurale

L’imputato ha presentato ricorso immediato per Cassazione (c.d. ricorso per saltum), lamentando la violazione di legge e il vizio di motivazione. La Corte di Cassazione, tuttavia, non è entrata nel merito della colpevolezza. La sua analisi si è concentrata su un aspetto preliminare e dirimente: la corretta via di impugnazione.

I Giudici Supremi hanno stabilito che il ricorso era inammissibile come ricorso per saltum e doveva essere convertito in un appello da trasmettere alla Corte d’Appello competente. Questa decisione si fonda su una precisa regola processuale.

Le Motivazioni della Cassazione sull’Impugnazione

La Corte ha spiegato che il reato di esercizio arbitrario delle ragioni è punito con la multa fino a 516 euro. Le sentenze che applicano la sola pena della multa (o dell’ammenda, a determinate condizioni) sono, di regola, appellabili.

L’errore del giudice di primo grado nell’indicare “ammenda” nel dispositivo anziché “multa” non cambia la natura appellabile della sentenza. Anzi, proprio perché la pena era stata irrogata “illegalmente” (sia nel nome che nell’importo), non si poteva negare all’imputato il diritto a un secondo grado di giudizio nel merito.

Il ricorso diretto in Cassazione (per saltum) è consentito solo per specifici motivi di pura legittimità (violazione di legge). Nel caso di specie, però, la difesa aveva sollevato anche censure di merito, come la valutazione delle prove e la sussistenza del dolo, che sono tipiche del giudizio d’appello. Pertanto, la strada corretta era l’appello e non il ricorso diretto. La Corte ha quindi disposto la conversione del ricorso in appello e la trasmissione degli atti alla Corte d’Appello di Lecce, che dovrà ora riesaminare l’intera vicenda.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è un’importante lezione sia sul piano sostanziale che processuale. Sul piano sostanziale, ribadisce implicitamente la pericolosità delle azioni di autotutela privata: anche in presenza di un diritto di credito e di clausole contrattuali apparentemente favorevoli, sostituire le serrature per escludere il debitore può integrare un reato. La via corretta è sempre quella di rivolgersi all’autorità giudiziaria.

Sul piano processuale, la decisione chiarisce che la scelta del mezzo di impugnazione è cruciale. Un errore può portare all’inammissibilità, ma in casi come questo, il sistema prevede un meccanismo di “salvataggio” come la conversione dell’atto, garantendo così il diritto di difesa dell’imputato a ottenere un riesame completo della decisione.

Cambiare le serrature a un inquilino o socio moroso costituisce reato?
Sì, secondo il Tribunale di primo grado questa condotta integra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.), perché ci si fa giustizia da sé usando violenza sulle cose invece di rivolgersi a un giudice.

Una clausola contrattuale che permette di sospendere un servizio al socio moroso giustifica il cambio delle serrature?
Il Tribunale di primo grado ha ritenuto di no, sostenendo che l’azione civile sia l’unica via percorribile per far valere il proprio diritto. La Corte di Cassazione non si è pronunciata sul punto, poiché ha affrontato solo la questione procedurale dell’appello.

Cosa succede se si presenta un ricorso diretto in Cassazione quando si sarebbe dovuto fare appello?
Se il ricorso contiene motivi che non sono solo di pura legittimità ma anche di merito, la Corte di Cassazione, come in questo caso, converte il ricorso in appello e trasmette gli atti alla Corte d’Appello competente, garantendo così il diritto a un secondo grado di giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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