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Esercizio arbitrario: chiudere un cancello è reato?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni a carico di tre comproprietari che avevano bloccato l’accesso a una strada apponendo un lucchetto e motorizzando un cancello, impedendo così il passaggio al vicino. La Corte ha ritenuto che tale condotta costituisca ‘violenza sulla cosa’, poiché ne muta la destinazione d’uso e ostacola l’esercizio di un diritto altrui. I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili, respingendo tutte le eccezioni procedurali e di merito sollevate dagli imputati.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio Arbitrario delle Proprie Ragioni: Chiudere un Cancello può Costituire Reato

Farsi giustizia da sé, anche quando si crede di essere nel giusto, può avere conseguenze penali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito questo principio, chiarendo che bloccare l’accesso a una proprietà tramite un cancello può integrare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i limiti dell’autotutela e il significato di ‘violenza sulla cosa’ nel diritto penale.

I fatti del caso: un lucchetto e un cancello motorizzato

La vicenda riguarda tre comproprietari di un terreno che, per impedire il passaggio al proprietario di un fondo confinante, avevano prima apposto un lucchetto a un cancello preesistente e, successivamente, installato un sistema di motorizzazione su un secondo cancello. Tali azioni impedivano di fatto al vicino di accedere alla propria abitazione e ai terreni di sua proprietà. La Corte d’Appello aveva condannato i tre imputati per il reato previsto dall’art. 392 del codice penale, rideterminando la pena in quattro mesi di reclusione ciascuno e confermando il diritto al risarcimento del danno per la parte civile.

I motivi del ricorso in Cassazione

Gli imputati hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su diverse argomentazioni, tra cui:
* Violazioni procedurali: presunte irregolarità nella notifica degli atti e violazione del diritto di difesa per l’assenza del legale di fiducia in un’udienza chiave.
* Insussistenza della violenza: secondo la difesa, la semplice apposizione di un lucchetto o la motorizzazione di un cancello non costituirebbero la ‘violenza sulla cosa’ richiesta dalla norma.
* Divieto di ‘bis in idem’: gli imputati sostenevano di essere già stati giudicati per fatti simili in un precedente procedimento, conclusosi con un’archiviazione.
* Tardività della querela: la denuncia della persona offesa sarebbe stata presentata oltre i termini di legge.

L’analisi della Corte sull’esercizio arbitrario delle proprie ragioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, rigettando tutte le doglianze. Il punto centrale della decisione riguarda la corretta interpretazione del concetto di ‘violenza sulla cosa’ nel contesto del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la violenza non si limita al danneggiamento materiale del bene, ma include qualsiasi condotta che ne modifichi la destinazione d’uso, ostacolando in misura apprezzabile l’esercizio di un diritto altrui.

Le motivazioni della decisione

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che chiudere i cancelli ha immutato la loro funzione, trasformandoli da strumenti di regolazione del passaggio a barriere invalicabili per chi non possedeva le chiavi o il telecomando. Questo ha impedito alla parte civile di esercitare il proprio diritto di passaggio, integrando così la violenza richiesta dall’art. 392 c.p. Gli imputati, pur potendo rivolgersi a un giudice civile per far valere il loro preteso diritto all’uso esclusivo della strada, hanno scelto la via dell’autotutela.
La Corte ha inoltre respinto gli altri motivi di ricorso:
* Le questioni procedurali sono state ritenute infondate, poiché il diritto di difesa era stato garantito dalla presenza di un avvocato d’ufficio.
* L’eccezione di ‘ne bis in idem’ è stata respinta perché il precedente giudizio riguardava una situazione fattuale diversa e un’altra persona offesa.
* La querela è stata considerata tempestiva, poiché il termine decorre dal momento in cui la vittima ha piena conoscenza del fatto e dei suoi autori, cosa che in questo caso ha richiesto accertamenti.
* Infine, è stato chiarito che il decesso della parte civile originaria non comporta la remissione tacita della querela, in quanto gli eredi si erano legittimamente costituiti nel processo, manifestando la volontà di proseguire l’azione.

Le conclusioni: implicazioni pratiche

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: nel nostro ordinamento è precluso al cittadino farsi giustizia da sé. Anche di fronte a quella che si ritiene una legittima pretesa, la via da percorrere è sempre quella giurisdizionale. Chiudere un accesso, cambiare una serratura o modificare unilateralmente lo stato dei luoghi per impedire a un altro soggetto di esercitare un suo diritto può comportare una condanna penale per esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La decisione sottolinea come la ‘violenza’ penalmente rilevante possa essere anche sottile, non distruttiva, ma comunque idonea a ledere il diritto altrui, modificando la funzione di un bene.

Chiudere un cancello per impedire il passaggio a un vicino costituisce reato?
Sì, può costituire il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392 c.p.) se la chiusura avviene per far valere un preteso diritto e impedisce concretamente a un’altra persona di esercitare il proprio diritto di passaggio. L’azione di chiudere con un lucchetto o motorizzare un cancello è considerata ‘violenza sulla cosa’ perché ne muta la destinazione d’uso.

Cosa si intende per ‘violenza sulla cosa’ in questo tipo di reato?
Secondo la Corte di Cassazione, la ‘violenza sulla cosa’ non richiede necessariamente un danneggiamento fisico del bene. È sufficiente un’azione che ne modifichi la destinazione o la funzione, in modo da ostacolare l’esercizio di un diritto da parte della persona offesa. L’installazione di un lucchetto o di un motore su un cancello rientra in questa definizione.

La morte della persona che ha sporto querela estingue il reato?
No. La sentenza chiarisce che il decesso della parte civile non comporta una remissione tacita della querela. Gli eredi possono subentrare nel processo e proseguire l’azione, sia ai fini penali che per la richiesta di risarcimento dei danni, dimostrando la loro qualità di eredi e manifestando la volontà di insistere nella costituzione di parte civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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