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Esercizio abusivo professione: singolo atto basta?

Un ex praticante avvocato, cancellato dall’albo, era stato condannato per esercizio abusivo della professione per aver autenticato la firma su una querela. La Corte di Cassazione ha annullato la condanna perché il fatto non sussiste. La Suprema Corte ha chiarito che un singolo atto, per di più non esclusivo della professione forense, se compiuto in modo isolato e senza creare l’apparenza di un’attività professionale continuativa, non è sufficiente a configurare il reato di esercizio abusivo professione.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio Abusivo della Professione: Quando un Solo Atto Non è Reato

Il tema dell’esercizio abusivo professione è spesso al centro di dibattiti giuridici, specialmente quando si tratta di definire i confini tra un atto isolato e un’attività penalmente rilevante. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 33855/2024) offre chiarimenti fondamentali, stabilendo che un singolo atto non esclusivo non basta a integrare il reato previsto dall’art. 348 del codice penale. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso: L’Autentica di una Firma

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna di un soggetto per il reato di esercizio abusivo della professione di avvocato. L’imputato, precedentemente iscritto all’albo dei praticanti avvocati ma poi cancellato, era stato accusato di aver autenticato la firma apposta da un cittadino in calce a una querela. I giudici di primo e secondo grado avevano ritenuto che tale condotta integrasse il reato contestato.

Contro la decisione della Corte di Appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando sia un errore sulla competenza territoriale del tribunale, sia la mancata ammissione di una perizia calligrafica. Tuttavia, la Suprema Corte ha incentrato la propria attenzione sulla sussistenza stessa del reato.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’Esercizio Abusivo Professione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna senza rinvio “perché il fatto non sussiste”. La decisione si basa su due pilastri argomentativi che definiscono in modo netto i presupposti del reato di esercizio abusivo professione.

Il Cuore della Decisione: Atto Singolo e Non Esclusivo

Il punto centrale della sentenza è la natura dell’atto compiuto dall’imputato. La Corte sottolinea che l’accusa si fondava esclusivamente su un singolo episodio: l’autenticazione di una firma su una querela. Questo atto, tuttavia, presenta due caratteristiche decisive:

1. Non è un atto esclusivo della professione forense: L’art. 39 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale elenca una serie di figure che possono legalmente autenticare la sottoscrizione di una querela. Tra questi vi sono, oltre al difensore, anche funzionari di cancelleria, notai, sindaci, giudici di pace e altri. Di conseguenza, l’autenticazione non è un’attività riservata in via esclusiva agli avvocati.

2. È stato un atto isolato: L’accusa non ha contestato una serie di atti o un’attività continuativa, ma un unico e solo episodio. Secondo la Corte, un’azione singola, per di più non esclusiva, non può dimostrare l’esistenza di quella minima organizzazione o apparenza di professionalità richiesta per configurare il reato.

Le Motivazioni della Sentenza

Per motivare la sua decisione, la Suprema Corte ha richiamato i principi stabiliti dalle Sezioni Unite (sentenza n. 11545 del 2012). Secondo questo orientamento consolidato, il reato di esercizio abusivo di una professione si configura non solo quando si compiono atti tipici e riservati a una professione senza averne titolo, ma anche quando si compiono atti che, sebbene non esclusivi, sono presentati in un contesto che crea l’oggettiva apparenza di un’attività professionale organizzata e continuativa. Elementi come la sistematicità, l’onerosità e una minima organizzazione sono indici che possono portare a configurare il reato.

Nel caso di specie, mancavano tutti questi elementi. Si trattava di un atto unico, non riservato in via esclusiva alla professione di avvocato e compiuto con modalità che non rivelavano né continuità né l’apparenza di un’attività professionale strutturata. La condotta, pertanto, non era riconducibile alla fattispecie criminosa contestata.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio di diritto cruciale: per aversi il reato di esercizio abusivo professione, non è sufficiente il compimento di un singolo atto, specialmente se tale atto non rientra tra quelli attribuiti in via esclusiva a una determinata categoria professionale. È necessario che la condotta, nel suo complesso, sia tale da generare l’apparenza di un’attività professionale svolta da un soggetto regolarmente abilitato, attraverso indici di continuità, organizzazione o sistematicità. La decisione rappresenta quindi un importante baluardo contro un’interpretazione eccessivamente estensiva dell’art. 348 c.p., garantendo che la sanzione penale colpisca solo le condotte che ledono effettivamente l’interesse pubblico alla corretta individuazione dei professionisti abilitati.

Quando si configura il reato di esercizio abusivo di una professione?
Secondo la sentenza, il reato si configura non solo compiendo atti riservati a una professione senza titolo, ma anche quando si compiono atti non esclusivi con modalità tali (continuità, organizzazione, onerosità) da creare l’apparenza di un’attività professionale svolta da un soggetto abilitato.

L’autenticazione della firma su una querela è un atto esclusivo dell’avvocato?
No. La sentenza chiarisce, richiamando l’art. 39 disp. att. c.p.p., che tale autenticazione può essere effettuata da diverse figure, tra cui funzionari di cancelleria, notai, sindaci e giudici di pace, e quindi non è un atto riservato in via esclusiva agli avvocati.

Un singolo atto è sufficiente per essere condannati per esercizio abusivo della professione?
No, un singolo atto, soprattutto se non esclusivo della professione, posto in essere con modalità che non rivelano continuità o l’apparenza di un’attività professionale organizzata, non è sufficiente a integrare il reato, come stabilito in questo caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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