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Esercizio abusivo professione: pena errata per legge nuova

Un’infermiera, condannata per esercizio abusivo professione dopo la cancellazione dall’albo per mancato pagamento delle quote, ha visto la sua pena annullata dalla Corte di Cassazione. La Corte ha stabilito che il giudice di merito ha erroneamente applicato una legge più severa, entrata in vigore dopo la commissione del reato. La condanna per il reato è stata confermata come irrevocabile, ma il caso è stato rinviato per una corretta quantificazione della sanzione.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio abusivo professione: la Cassazione annulla la pena, non la colpa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso di esercizio abusivo professione infermieristica, fornendo chiarimenti cruciali sulla successione delle leggi penali nel tempo e sui limiti dell’impugnazione. La vicenda riguarda un’operatrice sanitaria condannata per aver continuato a lavorare dopo la cancellazione dal proprio albo professionale per morosità. La Suprema Corte ha annullato la pena inflitta, ma ha dichiarato irrevocabile l’affermazione di responsabilità.

La vicenda processuale: un iter complesso

Il caso ha attraversato diversi gradi di giudizio. Inizialmente, l’imputata era stata assolta in primo grado. Successivamente, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, riconoscendo la sussistenza del reato ma assolvendo l’infermiera per la particolare tenuità del fatto. Questa seconda sentenza veniva impugnata solo dal Procuratore Generale, portando a un primo giudizio in Cassazione che annullava l’assoluzione per tenuità del fatto e rinviava il caso a una diversa sezione della Corte d’Appello per la determinazione della pena.

È in questa sede che l’imputata veniva condannata a quattro mesi di reclusione e a una multa. Contro questa condanna, la difesa ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione, basato su due motivi principali: l’insussistenza stessa del reato e l’errata quantificazione della pena.

L’esercizio abusivo professione e l’applicazione della legge nel tempo

Il ricorso dell’imputata si concentrava su due aspetti fondamentali. In primo luogo, si sosteneva che la semplice cancellazione dall’albo per non aver pagato le quote annuali non potesse integrare il reato di esercizio abusivo professione, trattandosi di una mera irregolarità contributiva e non della mancanza del titolo abilitativo. In secondo luogo, si contestava l’applicazione della sanzione, ritenuta troppo severa perché basata su una legge entrata in vigore dopo la commissione dei fatti.

Il reato contestato si era protratto dal marzo 2017 al gennaio 2018. La legge che ha inasprito le pene per questo tipo di reato (Legge n. 3/2018) è entrata in vigore solo il 15 febbraio 2018. Secondo il principio del favor rei, al reo deve essere applicata la legge più favorevole, ovvero quella vigente al momento del fatto (tempus commissi delicti).

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato separatamente i due motivi di ricorso, giungendo a conclusioni opposte.

1. L’affermazione di responsabilità è irrevocabile
Sul primo punto, relativo alla configurabilità del reato, la Cassazione ha dichiarato il motivo inammissibile. La Corte ha spiegato che la responsabilità penale dell’imputata era già diventata definitiva e irrevocabile a seguito della prima sentenza d’appello. Poiché la difesa non aveva impugnato quella sentenza (a differenza del Pubblico Ministero), il punto relativo alla colpevolezza non poteva più essere messo in discussione. I successivi giudizi, compreso quello attuale, potevano vertere unicamente sulla punibilità e sulla quantificazione della pena, ma non sulla sussistenza del fatto-reato. Si tratta di un’importante lezione processuale: un’occasione mancata di impugnazione può cristallizzare una situazione sfavorevole.

2. L’errore sul trattamento sanzionatorio
Sul secondo punto, la Corte ha dato pienamente ragione alla difesa. La sentenza impugnata aveva inflitto una pena congiunta di reclusione e multa, basandosi sul minimo edittale previsto dalla nuova e più severa Legge n. 3/2018. Poiché il reato si era concluso prima dell’entrata in vigore di tale legge, il giudice avrebbe dovuto applicare la normativa precedente, che prevedeva pene alternative (reclusione o multa) e complessivamente più miti. L’errore nell’individuare la legge applicabile ha quindi viziato la determinazione della pena, rendendo necessario l’annullamento della sentenza su questo specifico punto.

Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio, rinviando il caso a un’altra Corte d’Appello per rideterminare la pena in base alla legge più favorevole vigente all’epoca dei fatti. Ha però dichiarato inammissibile il ricorso sulla questione della responsabilità, confermando così in via definitiva la colpevolezza dell’imputata per il reato di esercizio abusivo professione. Questa decisione ribadisce due principi cardine del nostro ordinamento: l’importanza strategica delle impugnazioni nel processo penale e il divieto di applicare retroattivamente una legge penale più sfavorevole.

Perché il ricorso sulla colpevolezza è stato respinto?
La Corte lo ha dichiarato inammissibile perché la questione della responsabilità penale era già diventata definitiva (irrevocabile) in una fase precedente del processo, in quanto la difesa non aveva impugnato la sentenza d’appello che aveva affermato la colpevolezza.

Per quale motivo la pena è stata annullata?
La pena è stata annullata perché il giudice d’appello ha applicato erroneamente una legge più severa, entrata in vigore dopo che il reato era stato commesso. Il principio giuridico impone di applicare sempre la legge più favorevole all’imputato tra quelle succedutesi nel tempo.

Continuare a esercitare una professione dopo la cancellazione dall’albo per morosità è reato?
Sì, sulla base di questa vicenda processuale, la condotta di chi esercita una professione regolamentata dopo essere stato cancellato dall’albo, anche se per il solo mancato pagamento delle quote, integra il reato di esercizio abusivo della professione, come confermato dalla statuizione irrevocabile sulla colpevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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