Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25356 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25356 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MACCHIA COGNOME il 07/12/1957
avverso la sentenza del 11/02/2025 della CORTE APPELLO di SALERNO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento limitatamente alla quantificazione della pena. La declaratoria di inammissibilità per il resto.
udito il difensore:
L’avvocato NOME in difesa di NOME COGNOME insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME NOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno che, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di cassazione (sentenza n. 30021/2024 della Sesta sezione resa all’udienza del 12/06/2024), ha dichiarato l’imputata colpevole del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 348 cod. pen., in relazione all’art. 2, comma 3, I. n. 43/2006 e artt. 1 e 2 D.M. n. 739/1994 del Ministero Salute (esercizio abusivo della professione di infermiera), condannandola alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa e con la pena accessoria della pubblicazione della sentenza di condanna.
La difesa deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale.
Il motivo investe due profili: il primo attiene alla stessa configurabilità del reato, richiamandosi sul punto gli esiti assolutori a cui era pervenuto il giudice di primo grado (che aveva assolto l’imputata per insussistenza del fatto); il secondo al trattamento sanzionatorio.
2.1. La Corte di merito aveva errato nel ritenere equiparabile all’ipotesi questa sì penalmente sanzionata e rientrante nella fattispecie in esame rappresentata da chi eserciti la professione di infermiere senza il titolo abilitante a colui che, invece, quel titolo possiede e sia stato cancellato dall’albo per morosità del versamento della retta annuale. Peraltro, se si considera che a volte è lo stesso datore di lavoro che corrisponde direttamente all’ordine la tassa annuale con decurtazione dallo stipendio e che il datore di lavoro aveva contezza dell’inadempimento e che ciò non ha costituito alcun ostacolo alla continuazione del rapporto di lavoro, difettava anche l’elemento soggettivo. In sostanza si era al cospetto di una mera irregolarità contributiva della dipendente nei confronti dell’Ordine di appartenenza e non di un elemento qualificante sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo del reato in esame. Lo stesso giudice di primo grado che aveva assolto l’imputata – aveva evidenziato che la mancata iscrizione era dipesa dal mancato pagamento delle quote di iscrizione di competenza del datore di lavoro, secondo gli accordi interni intercorsi tra le parti.
Peraltro, si aggiunge, richiamando sul punto il dato normativo, che l’obbligo di iscrizione è previsto soltanto per coloro che esercitano liberamente l’attività professionale di infermiere mediante contratti d’opera in forma privatistica e non per coloro che esercitano la professione di infermiere in una struttura pubblica o convenzionata.
Si adduce, infine, che dall’istruttoria era emerso che lo stesso datore di lavoro
dell’imputata (l’Asrem) in alcune occasioni aveva provveduto a versare direttamente la quota di iscrizione annuale in favore degli esercenti la professione infermieristica che prestavano la propria opera presso detta struttura pubblica.
2.2. Si lamenta, poi, che la Corte di appello aveva erroneamente inflitto la pena prevista dall’art. 348 cod. pen. nella sua evoluzione normativa (nella specie mesi quattro di reclusione ed euro 6.670,00 di multa), senza considerare che andava applicata la disposizione – che prevedeva la pena della reclusione alternativa a quella della multa – prima della sua sostituzione avvenuta con legge 11 gennaio 2018, n. 3, entrata in vigore il 15 febbraio 2018, tenuto conto che il reato contestato è compreso nel periodo “2017 fino al gennaio 2018”, per come accertato dallo stesso giudice del merito (v. pag. 4 della sentenza impugnata).
Con requisitoria del 10 maggio 2025, il P.G. presso questa Corte ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato limitatamente alla quantificazione della pena, dichiarandosi inammissibile nel resto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo. È, invece, inammissibile con riguardo al primo.
Ai fini della declaratoria di inammissibilità del primo motivo dedotto in punto di responsabilità, va anzitutto ricostruito l’iter processuale.
Il Tribunale di Larino, con sentenza emessa il 23 marzo 2022, assolveva, su conforme richiesta anche del pubblico ministero, l’imputata dal reato ascritto (da ritenersi commesso dal 6 marzo 2017 sino al gennaio 2018, così essendo stato corretto il refuso riportato nell’imputazione quanto all’indicazione del tempus commissi delicti, correttamente indicato, invece, nell’enunciazione del fatto) per insussistenza del fatto.
La sentenza veniva impugnata dal Procuratore generale presso la Corte di appello.
A seguito dell’impugnazione, la Corte d’appello di Campobasso, con sentenza del 15 giugno 2023, in accoglimento dell’appello della parte pubblica e in riforma di quella del Tribunale, ha ritenuto che il fatto integrasse il reato contestato ma che, per le ragioni e la durata complessiva delle violazioni (dieci mesi), l’imputata andasse comunque assolta, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., per la particolare tenuità del fatto.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il solo Procuratore generale presso la Corte di appello di Campobasso denunciando violazione di legge in ordine all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.
pen., sul rilievo che si fosse al cospetto di una condotta abituale e di un’offesa non tenue in rapporto alla sua durata, essendosi protratta per circa dieci mesi.
In accoglimento del ricorso, la sentenza veniva annullata con rinvio dalla Sesta sezione della Corte di cassazione, sul rilievo dell’esistenza di una preclusione di sistema – tratta dal dato normativo dell’art. 131-bis cod. pen. – relativa alla possibilità di applicare la speciale causa di non punibilità a comportamenti ricondotti nell’alveo dell’abitualità.
Se questa è, pertanto, la sequenza processuale, ne deriva che il capo della decisione inerente all’affermazione della penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato ascrittole è divenuto già irrevocabile a seguito della prima sentenza della Corte di appello, non avendo la difesa interposto all’epoca ricorso per cassazione e essendo l’impugnazione della parte pubblica – come il rinvio operato dalla sentenza rescindente – relativa all’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. che, come noto, non essendo né una scriminante, né una esimente, presuppone l’affermazione di responsabilità, attenendo esclusivamente al profilo sanzionatorio. Da qui ne consegue che sussistendo un concreto interesse dell’imputata a dolersi del capo della decisione con cui la Corte di appello aveva affermato la responsabilità, doveva interporre all’epoca ricorso per cassazione. Ma ciò, come evidenziato, non è avvenuto.
3. Conferma di questa ricostruzione si rinviene nella giurisprudenza consolidata di questa Corte (Sez. 3, n. 24326 del 27/02/2024, Fonti, Rv. 286558 – 01; Sez. 2, n. 20884 del 09/02/2023, COGNOME, Rv. 284703 – 01; Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, COGNOME, Rv. 267590 – 01; Sez. 3, n. 50215 del 08/10/2015, COGNOME, Rv. 265434 – 01) che ha più volte affermato che in caso di annullamento con rinvio limitato alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il giudice del rinvio non può dichiarare l’estinzione per sopravvenuta prescrizione.
Ciò in quanto il giudizio sulla sussistenza di una causa di non punibilità, per sua natura, presuppone quello, già raffrontato e risolto, della sussistenza dell’elemento materiale e dell’elemento soggettivo del reato. Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di rilevare, infatti, che la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto «presuppone l’integrazione del reato al completo di tutti i suoi elementi e, per l’effetto, l’accertamento della responsabilità e l’attribuibilità del fatto – reato all’autore, il quale rimane esentato, se la causa applicata, solo dall’assoggettamento alla sanzione penale. L’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto non esige, allora, un fatto conforme al tipo ma inoffensivo, anzi richiede la presenza di un fatto conforme al tipo ed offensivo, seppure in maniera esigua e tenue secondo i due “indici-criteri” della tenuità del fatto (la «tenuità dell’offesa» e la «non abitualità del
comportamento») in coincidenza necessaria con due ulteriori sotto-indici (o
“indici-requisiti”) della tenuità dell’offesa, rappresentati dalle «modalità della condotta» e dalla «esiguità del danno o del pericolo» (Sez. 3, n. 50215 del
08/10/2015, COGNOME Rv. 265434 – 01).
Dalle considerazioni svolte, deriva l’inammissibilità delle doglianze svolte in questa sede dalla difesa in quanto dirette a censurare – e riaprire –
un tema ormai coperto da giudicato, a nulla valendo che la Corte di appello di
Salerno, quale giudice di rinvio, abbia richiamato nella sentenza oggi ricorsa gli argomenti in forza dei quali la precedente Corte di appello ne aveva sancito la
responsabilità penale, assumendo tali riferimenti mero valore ricognitivo.
4. Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso.
Per come dedotto dalla difesa andava applicata, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen. e in quanto norma più favorevole, la precedente formulazione dell’art.
348 cod. pen. che stabiliva la pena «della reclusione fino a sei mesi o della multa da 103 a 516 euro», a fronte, invece, di quella attuale che prevede «la reclusione
da sei mesi a tre anni e la muta da euro 10.00 a 50.000». Che la Corte di merito abbia erroneamente applicato la disposizione meno favorevole attualmente vigente nel testo conseguente alla legge 11 gennaio 2018, n. 3 (entrata in vigore il 15 febbraio 2018 e, dunque, dopo il fatto commesso) si ricava dal fatto che la pena base di mesi sei di reclusione è stata stimata quale minimo edittale (a fronte di un massimo di anni tre), essendosi all’uopo richiamati plurimi indici favorevoli all’imputata ivi declinati in punto di minor gravità del reato e, soprattutto, dall’applicazione congiunta della multa.
In conclusione, va annullata la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio sul punto.
Va, invece, dichiarato inammissibile nel resto il ricorso, dichiarandosi irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio sul punto avanti alla Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto e irrevocabile il giudizio di responsabilità. Così deciso, il 27 maggio 2025.