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Esercizio abusivo professione: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di esercizio abusivo della professione odontoiatrica da parte di un nucleo familiare. La sentenza conferma le condanne, chiarendo che la ripetizione di atti illeciti costituisce un unico reato abituale, il cui momento consumativo coincide con l’ultima condotta. La Corte, tuttavia, annulla parzialmente la sentenza d’appello per rideterminare la pena, applicando la riduzione di un terzo prevista per il rito abbreviato, omessa nel precedente grado di giudizio.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio abusivo della professione: un solo reato anche con più condotte

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9941 del 2025, ha offerto importanti chiarimenti in materia di esercizio abusivo della professione, in particolare nel settore odontoiatrico. La pronuncia analizza il caso di un centro dentistico gestito da un nucleo familiare, dove padre e figlio, privi dei titoli necessari, eseguivano prestazioni mediche con la presunta complicità della madre. La Corte ha stabilito che la reiterazione di atti tipici di una professione regolamentata configura un unico reato abituale, e non una pluralità di crimini distinti. La sentenza è rilevante anche per aver corretto d’ufficio la pena inflitta, applicando la riduzione prevista per il rito abbreviato che era stata omessa in appello.

I Fatti del Processo

La vicenda processuale ha visto tre membri di una famiglia imputati per associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo della professione di odontoiatra e per plurime condotte di abuso commesse tra il 2013 e il 2019. In primo grado, il Giudice per l’udienza preliminare li aveva assolti con formula piena. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione, condannando gli imputati per i singoli episodi di esercizio abusivo.

Questa prima sentenza d’appello è stata annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione, la quale aveva rilevato un vizio di motivazione: il giudice d’appello, nel riformare un’assoluzione, avrebbe dovuto fornire una ‘motivazione rafforzata’, confutando punto per punto le argomentazioni del primo giudice, cosa che non era avvenuta. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, ha quindi proceduto a una nuova e più approfondita analisi, confermando la condanna degli imputati. Avverso quest’ultima decisione, la difesa ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’esercizio abusivo della professione

La Suprema Corte ha rigettato la maggior parte dei motivi di ricorso, ritenendoli infondati. I giudici hanno confermato l’orientamento consolidato secondo cui l’esercizio abusivo della professione è un reato solo eventualmente abituale. Questo significa che, anche se vengono compiuti molteplici atti riservati a una professione abilitata, si risponde di un unico reato, il cui momento consumativo coincide con la cessazione della condotta illecita. Di conseguenza, non si applica l’aumento di pena per la continuazione tra i vari episodi, poiché questi confluiscono in un’unica fattispecie criminosa. Questo principio ha avuto un impatto diretto sul calcolo della prescrizione, che è stata ritenuta non maturata per nessuno degli imputati.

La valutazione delle prove e la motivazione del giudice

Un punto cruciale del ricorso riguardava la valutazione delle prove. La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente dato più peso alle testimonianze dei pazienti piuttosto che alla documentazione fiscale, la quale, a loro dire, avrebbe smentito le accuse. La Cassazione ha respinto questa doglianza, chiarendo che il giudice di merito ha il potere di valutare liberamente le prove e di scegliere, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, quali ritenere più attendibili. In questo caso, la Corte territoriale aveva adeguatamente spiegato perché le dichiarazioni dei pazienti fossero credibili e perché la documentazione fiscale non fosse idonea a smentirle, adempiendo così all’obbligo di ‘motivazione rafforzata’ richiesto dalla precedente sentenza di annullamento.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto manifestamente infondato il primo motivo di ricorso relativo alla prescrizione. Richiamando la giurisprudenza di legittimità, ha ribadito che la reiterazione degli atti tipici dell’esercizio abusivo della professione dà luogo a un unico reato. Poiché le condotte si erano protratte fino al 2019, il termine di prescrizione non era maturato al momento della pronuncia.

Anche i motivi relativi ai vizi di motivazione sulla valutazione delle prove (testimonianze e documenti fiscali) sono stati respinti. La Corte d’Appello, nel giudizio di rinvio, aveva seguito le indicazioni della Cassazione, fornendo una motivazione logica e completa, non sindacabile in sede di legittimità.

L’unico motivo accolto è stato quello relativo al trattamento sanzionatorio. La difesa aveva correttamente evidenziato che la Corte d’Appello, nel determinare la pena, aveva omesso di applicare la diminuzione di un terzo prevista dall’art. 442, comma 2, c.p.p. per chi sceglie il rito abbreviato. Trattandosi di un errore di calcolo che non richiede valutazioni discrezionali, la Cassazione ha potuto correggerlo direttamente, annullando senza rinvio la sentenza sul punto e rideterminando le pene in favore degli imputati.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza rafforza due principi fondamentali. Primo, la natura unitaria del reato di esercizio abusivo della professione, che assorbe in un’unica figura criminosa tutte le condotte illecite reiterate nel tempo. Secondo, l’intangibilità della valutazione delle prove operata dal giudice di merito, a condizione che sia supportata da una motivazione logica, coerente e, nei casi di riforma di un’assoluzione, ‘rafforzata’. Infine, la pronuncia sottolinea l’importanza del corretto computo della pena, censurando l’omessa applicazione di una riduzione obbligatoria come quella per il rito abbreviato, e procedendo essa stessa alla rettifica per garantire l’economia processuale.

Commettere più atti di esercizio abusivo della professione costituisce un unico reato o più reati distinti?
Secondo la Corte di Cassazione, la reiterazione di atti tipici di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione (come quella di odontoiatra) dà luogo a un unico reato, il cui momento consumativo coincide con l’ultima condotta. Non si tratta quindi di una pluralità di reati avvinti dal vincolo della continuazione.

Per quale motivo la Corte di Cassazione ha ridotto la pena agli imputati?
La Corte ha ridotto la pena perché il giudice d’appello aveva omesso di applicare la diminuzione obbligatoria di un terzo prevista dall’articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale per gli imputati che sono stati giudicati con il rito abbreviato. La Cassazione ha corretto direttamente questo errore di calcolo.

In un processo per esercizio abusivo della professione, le testimonianze dei pazienti possono prevalere sulla documentazione fiscale?
Sì. Il giudice di merito ha il compito di valutare l’attendibilità di tutte le prove. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse motivato in modo logico e congruo le ragioni per cui le dichiarazioni dei pazienti erano state considerate credibili e decisive, anche a fronte di una documentazione fiscale che, secondo la difesa, avrebbe dovuto scagionare gli imputati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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