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Esercizio abusivo professione: la Cassazione conferma

La Cassazione conferma la condanna per esercizio abusivo della professione a un ex avvocato radiato dall’albo. La Corte ha stabilito che anche la sola consulenza legale, se svolta in modo continuativo, organizzato e oneroso, integra il reato, a prescindere dalla firma di atti formali. Il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile perché mirava a un riesame dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esercizio Abusivo della Professione: la Consulenza Continuativa è Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1646 del 2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di esercizio abusivo della professione legale. Anche una continua attività di consulenza, svolta in modo organizzato e a pagamento, integra il reato previsto dall’art. 348 del codice penale, anche se chi la compie non firma personalmente alcun atto giudiziario. Questa pronuncia chiarisce i confini di una condotta illecita che mina la fiducia dei cittadini nella giustizia e la tutela degli interessi pubblici.

Il Caso: Consulenza Fiscale da un Falso Avvocato

La vicenda riguarda un individuo, precedentemente radiato dall’albo degli avvocati, che ha continuato a esercitare la professione legale. In particolare, ha assistito una cliente per una questione tributaria, incontrandola circa venti volte, predisponendo ricorsi e accompagnandola persino da un altro avvocato per un eventuale ricorso in Cassazione. La persona offesa era convinta di essere assistita da un legale abilitato, pagando per le prestazioni ricevute.

Dopo la condanna in primo grado e in appello, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando tre principali obiezioni: l’insussistenza delle prove, la prescrizione del reato e l’errata applicazione della recidiva.

L’Esercizio Abusivo della Professione secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno sottolineato che, per configurare il reato, non è necessario compiere atti che sono esclusivamente riservati a una professione, ma è sufficiente porre in essere atti che sono tipici di essa.

Nel caso specifico, l’attività di consulenza legale, protratta nel tempo, organizzata e onerosa, ha creato le “oggettive apparenze di un’attività professionale” svolta da un soggetto regolarmente abilitato. La Corte ha distinto questa situazione dal compimento di un’attività stragiudiziale occasionale e isolata, che non costituirebbe reato. La continuità e la sistematicità della condotta sono state, quindi, elementi decisivi per affermare la responsabilità penale.

La questione della prescrizione del reato

Un altro punto cruciale affrontato dalla sentenza riguarda il momento in cui il reato si considera consumato. L’imputato sosteneva che il reato si fosse prescritto, poiché l’ultimo atto rilevante risaliva a diversi anni prima. La Cassazione ha respinto questa tesi, affermando che l’esercizio abusivo della professione, quando si manifesta attraverso una pluralità di atti, è un reato unitario la cui consumazione coincide con il compimento dell’ultimo atto della condotta illecita. Nel caso di specie, l’ultimo incontro con la cliente, avvenuto nel 2017, ha spostato in avanti il termine di prescrizione, rendendo la condanna legittima.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati. Innanzitutto, il giudizio di legittimità della Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di merito. Il ricorrente non può chiedere ai giudici di rivalutare le prove, come la credibilità delle testimonianze della persona offesa, già adeguatamente ponderate dai giudici di primo e secondo grado. La condanna si basava solidamente sulle dichiarazioni della vittima, corroborate da altri elementi.

Inoltre, la Corte ha specificato che il reato è integrato dal compimento di atti che, sebbene non riservati in via esclusiva, sono univocamente individuati come di competenza specifica della professione legale, specialmente se realizzati con modalità tali (continuità, onerosità, organizzazione) da ingannare il pubblico. In questo contesto, anche la predisposizione di ricorsi, pur non firmati, rientra pienamente nella condotta penalmente rilevante.

Infine, per quanto riguarda la recidiva, la Corte ha ritenuto corretta la sua applicazione, dato che l’imputato aveva precedenti specifici che dimostravano una spiccata tendenza a delinquere. Un’imprecisione nella sentenza d’appello (un riferimento errato a un’altra professione) è stata considerata un semplice lapsus, ininfluente sulla sostanza della decisione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rafforza la tutela dell’interesse pubblico a che determinate professioni siano esercitate solo da soggetti qualificati e abilitati. Stabilisce con chiarezza che l’esercizio abusivo della professione legale non si limita alla redazione e sottoscrizione di atti processuali, ma si estende a tutta quella attività di consulenza e assistenza che, per sistematicità e apparenza, è tipica dell’avvocato. Questa decisione serve da monito: la legge non tollera scorciatoie e punisce severamente chi, senza titolo, si spaccia per professionista, mettendo a rischio i diritti e gli interessi dei cittadini.

Svolgere solo attività di consulenza, senza firmare atti, costituisce esercizio abusivo della professione di avvocato?
Sì, secondo la sentenza, se l’attività di consulenza viene svolta con modalità quali continuatività, onerosità e organizzazione, tali da creare le oggettive apparenze di un’attività professionale legale, si integra il reato di esercizio abusivo della professione, anche senza la firma di atti formali.

Quando si considera consumato il reato di esercizio abusivo della professione se la condotta è ripetuta nel tempo?
Il reato si configura come un reato unico a condotta continuata. Il momento consumativo, da cui decorre il termine di prescrizione, coincide con la cessazione della condotta, ovvero con il compimento dell’ultimo atto tipico della professione esercitata abusivamente.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come la credibilità di un testimone?
No, la Corte di Cassazione ha il compito di giudicare sulla corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità) e non può procedere a una nuova valutazione delle prove o a una diversa ricostruzione dei fatti. Questo compito spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado (giudizio di merito).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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