Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10964 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10964 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il 02/09/1984
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE di APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 4 giugno 2024 la Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza emessa il 20 aprile 2022 dal Tribunale di Palermo, con la quale l’imputato NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole dei reati di esercizio abusivo di una professione e truffa aggravata e condannato alle pene di legge.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando due motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva contraddittorietà della motivazione e inosservanza o erronea applicazione della legge penale, assumendo che la Corte
territoriale avrebbe dovuto ritenere il reato di esercizio abusivo di una professione, di cui al capo a) dell’imputazione, assorbito, ai sensi dell’art. 84 cod. pen., nel reato di truffa aggravata, di cui al successivo capo b), e osservando al riguardo che l’artifizio, quale elemento costitutivo del reato di truffa, nella specie era costituito proprio dall’avere, l’imputato, fatto credere alla parte offesa di essere abilitato a svolgere la professione di geometra, sicché nella specie si vedeva in ipotesi di reato complesso, caratterizzata dal fatto che la legge considerava come elemento costitutivo di un reato un fatto che costituirebbe, di per sé, reato.
Con il secondo motivo deduceva contraddittorietà e mancanza della motivazione in relazione alle doglienze formulate con l’atto di appello, con particolare riguardo alla dedotta insussistenza dell’elemento psicologico del reato di truffa, assumendo che non era stata fornita in giudizio la prova della responsabilità del ricorrente in relazione al reato di truffa, risultando insufficienti le dichiarazioni accusatorie della parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ed invero, secondo il consolidato, seppur risalente, orientamento del Giudice d legittimità, condiviso da questo Collegio, i reati di sostituzione di persona e di abusivo esercizio della professione sanitaria possono concorrere materialmente con il reato di truffa e non possono ritenersi assorbiti in quest’ultimo delitto non costituendone elementi necessari (cfr., fra le altre, Sez. 6, n. 3707 del 13/01/1981, De Leva, Rv. 148501 – 01).
Peraltro deve osservarsi che i due reati sono posti a presidio di interessi del tutto diversi fra loro: la truffa tutela il patrimonio, mentre l’esercizio abusivo di una professione tutela l’interesse della pubblica amministrazione a che determinate professioni siano svolte unicamente da chi è in possesso della relativa abilitazione.
La Corte d’Appello ha, del resto, motivato in maniera adeguata sul punto, osservando congruamente che nella specie non si era di fronte a una condotta omogenea, bensì a azioni tipiche distinte e differenti sotto il profilo funzionale e psicologico.
Parimenti infondato è il secondo motivo, dovendosi ritenere ancora una volta adeguata la motivazione resa dalla Corte d’Appello in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di truffa.
Invero, il provvedimento impugnato ha offerto adeguata risposta alla specifica doglianza contenuta nell’atto di appello, richiamando congruamente gli elementi ritenuti dimostrativi dell’elemento psicologico del delitto di truffa, ossia dell’intenzione dell’imputato di indurre in errore la vittima mediante artifici o raggiri e al fine di procurarsi un ingiusto profitto, elementi rinvenuti dalla Corte territoriale nelle svariate conversazioni telefoniche intercorse tra la vittima e l’imputato, senza che la prima avesse mai ricevuto da parte del secondo un positivo riscontro, nonostante il Delia avesse affermato che si sarebbe occupato personalmente dell’incarico professionale, (nella specie la presentazione di una dichiarazione di successione, l’accatastamento di un immobile, la progettazione di lavori di restauro e la presentazione di una richiesta di concessione edilizia in sanatoria), e pur avendo la vittima versato direttamente al Delia la somma di euro 4.700,00 quale corrispettivo per l’esecuzione dell’incarico conferito.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 11/12/2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente