Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45014 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45014 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
R.G.N. 35400/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME NOME nato a Grottaglie il 01/03/1962 COGNOME NOME nato a Torricella il 25/10/1968 COGNOME NOME nato a Taranto il 28/09/1962 COGNOME NOME nato a Taranto il 11/10/1966 COGNOME NOME nato a Taranto il 04/04/1960 COGNOME NOME nato a Taranto 31/07/1986
avverso la sentenza del 02/07/2024 della Corte di appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi; ricorsi trattati in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1bis , cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 02/07/2024, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Siracusa in data 09/06/2020 – che aveva condannato tra gli altri NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i reati loro rispettivamente ascritti – accoglieva il concordato ex art. 599bis cod. proc. pen. raggiunto dal COGNOME, dal COGNOME, da NOME COGNOME ed NOME COGNOME, riducendo conseguentemente le pene, mentre confermava la sentenza nei confronti del COGNOME e del COGNOME.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento al trattamento sanzionatorio e, piø specificamente, alla mancata esclusione della recidiva ed all’aumento per la continuazione. Rileva che il riconoscimento della recidiva
presuppone la verifica in punto di maggiore riprovevolezza e di pericolosità del reo in relazione all’illecito commesso, non essendo sufficiente la presenza di precedenti penali; che, dunque, occorre tenere in considerazione la natura dei reati, la qualità ed il grado di offensività delle condotte, la distanza temporale tra i fatti ed il livello di omogeneità esistente tra loro, oltre ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza; che, nel caso di specie, tutti i parametri predetti deponevano per la disapplicazione della recidiva. Osserva, inoltre, che gli aumenti di pena per la continuazione devono essere motivati; che l’obbligo di motivazione deve riguardare l’aumento per ogni singolo reato satellite; che sul punto la motivazione del provvedimento impugnato Ł del tutto carente.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
3.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento alla mancata esclusione della recidiva ed alla mancata declaratoria di prescrizione dei reati. Rileva che la censura relativa alla ritenuta recidiva non era stata oggetto di rinuncia, unitamente a quelle inerenti alle circostanze attenuanti generiche ed al contenimento della pena entro i minimi edittali; che, disapplicando la recidiva, la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare prescritti i reati ascritti al Gualano, in particolare quello associativo di cui al capo a).
3.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 599bis cod. proc. pen. Osserva che la motivazione del provvedimento impugnato, particolarmente sintetica, difetta di adeguata motivazione in ordine alle ragioni che hanno portato il giudice a determinare il contenuto della pena.
NOME COGNOME a mezzo dei difensori, ha interposto due distinti ma sovrapponibili ricorsi per cassazione, entrambi affidati ad un unico motivo con cui deducono la carenza di motivazione in relazione alla prova della responsabilità ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione.
NOME COGNOME a mezzo dei difensori, ha interposto due distinti ma sovrapponibili ricorsi per cassazione, entrambi affidati ad un unico motivo con cui deducono la carenza di motivazione in relazione alla prova della responsabilità ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico articolato motivo, con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 132 d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385 e 1813 e segg. cod. civ., nonchØ manifesta illogicità della motivazione. Evidenzia che l’art. 132 d. lgs. n. 385/1993 punisce chiunque svolga nei confronti del pubblico le attività finanziarie previste dall’art. 106 del medesimo decreto legislativo; che l’attività di concessione di finanziamenti si considera esercitata nei confronti del pubblico quando sia svolta nei confronti dei terzi con carattere di professionalità, cioŁ rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di fruitori in maniera abituale; che, invece, nel caso di specie, l’operazione finanziaria conclusa dall’odierno ricorrente nei confronti di NOME COGNOME Ł stata unica ed individuale, oltre che posta in essere in assenza di una organizzazione, neppure rudimentale; che, in definitiva, l’odierno ricorrente ha aiutato un conoscente in difficoltà e ciò ha fatto senza alcun fine di lucro, come dimostra l’assoluzione dal reato di usura; che, dunque, l’imputato senza alcuna professionalità e senza esercitare abitualmente l’attività di intermediazione finanziaria – ha stipulato un mutuo, regolato dall’art. 1813 e segg. del codice civile, di talchŁ non potrà essere ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 132 cit. Rileva, poi, che, se anche si volesse ritenere
corretta la deduzione della Corte territoriale – secondo la quale la circostanza per cui il COGNOME, dopo aver effettuato il prestito, non disponeva nemmeno di quanto necessario per la sussistenza quotidiana, era sintomatica della corresponsione in piø riprese della somma finanziata -, comunque non sarebbe configurabile il reato di abusiva attività finanziaria, necessitando all’uopo un’attività nei confronti del pubblico, che l’imputato non ha mai esercitato e che nemmeno la Corte di appello gli attribuisce; che, dunque, la conclusione di un unico, individuale ed isolato contratto di mutuo chirografario, avvenuta senza alcuna formulazione di un’offerta pubblica che potesse raggiungere altri potenziali beneficiari dell’operazione finanziaria, Ł attività lecita, sottratta al campo applicativo dell’art. 132 cit., anche se l’erogazione dell’importo mutuato fosse avvenuto in maniera frazionata piuttosto che in un’unica soluzione; che, in ogni caso, la deduzione dei giudici di appello Ł connotata da un salto logico, atteso che, se il ricorrente avesse corrisposto il prestito in maniera frazionata, avrebbe certamente valutato gli indici rivelatori della insolvenza del mutuatario e si sarebbe di conseguenza astenuto dal corrispondere le ulteriori somme di cui disponeva.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico articolato motivo con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. Osserva che la Corte territoriale, nel confermare la responsabilità del ricorrente per il riciclaggio ascrittogli, ha offerto una lettura del tutto congetturale degli elementi probatori; che l’intercettazione telefonica da cui ha desunto la conoscenza del COGNOME con gli altri imputati Ł intercorsa tra altri soggetti; che il nome dell’odierno ricorrente non ricorre in alcuna circostanza, essendo stato inopinatamente desunto da un importo, riferito a tale ‘NOME‘, cui gli interlocutori fanno riferimento in una conversazione intercettata (‘trentasei a NOME‘); che la cifra di 36.234.000 Ł relativa al pagamento di una regolare fattura avente ad oggetto l’acquisto di materiale elettronico, puntualmente descritto nei documenti fiscali; che, peraltro, i bonifici, supportati dalla fatturazione, hanno un inquadramento cronologico anche precedente rispetto a quelli oggetto di interesse processuale, di talchŁ deve ritenersi che dette modalità di trasmissione pecuniaria non siano in linea con le ordinarie tecniche di ‘lavaggio’ dei proventi illeciti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME – che, proponendo tutti nella sostanza doglianze analoghe, possono essere trattati congiuntamente – devono essere dichiarati inammissibili.
Ed invero, l’applicazione della recidiva ed il relativo aumento di pena sono stati concordati con il Procuratore generale sia dal COGNOME che dal COGNOME, di talchŁ non possono esser messi ora in discussione, rientrando nell’accordo tra le parti e ricorrendone i presupposti; altrettanto deve osservarsi con riferimento agli aumenti di pena per la continuazione applicati al COGNOME ed al giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti generiche e circostanze aggravanti contestate in relazione alla posizione di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
In buona sostanza, in tutti i casi che si stanno esaminando, la pena, correttamente determinata, anche nei singoli passaggi intermedi, Ł stata concordata con il Procuratore generale, per cui gli imputati non possono ora dolersene. La giurisprudenza di legittimità, invero, Ł consolidata nel ritenere che il controllo che la Corte di appello deve effettuare in relazione alla pena concordata Ł solo quello relativo alla legalità della pena, atteso che il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti non può essere modificato dal giudice, che può solo accogliere o rigettare la richiesta e, ove l’accolga, verificare la legalità della pena (Sez. 3, n. 19983 del 09/06/2020, COGNOME, Rv. 279504 – 01). Dunque, il giudice di appello non deve neanche valutare la congruità della pena (Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226715 – 01), a differenza di quanto sostiene la difesa del COGNOME,
che si duole di una motivazione scarna in punto di determinazione della pena.
Nel caso di specie, non Ł ravvisabile l’illegalità di nessuna delle pene concordate, che rientrano tutte nella forbice edittale prevista per i reati rispettivamente ascritti ai ricorrenti di cui si discute.
Resta solo da evidenziare, con riferimento alla posizione del Gualano, che – stante il riconoscimento della recidiva, come concordato tra le parti – il reato associativo non risulta prescritto e, con riferimento alla doglianza relativa alla carenza di motivazione in punto responsabilità, avanzata dai due Urgesi, che il motivo Ł generico, non risultando esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici, rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, ma soprattutto che le doglianze in punto di responsabilità sono state oggetto di rinunzia, di talchŁ gli imputati ricorrenti non possono dolersi della carenza della motivazione in relazione ai motivi rinunciati.
2. Il ricorso di NOME COGNOME Ł fondato.
2.1. L’art. 132 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) punisce «chiunque svolge, nei confronti del pubblico una o piø attività finanziarie previste dall’articolo 106, comma 1, in assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 107 o dell’iscrizione di cui all’articolo 111 ovvero dell’articolo 112». Due, pertanto, sono i requisiti richiesti dalla fattispecie incriminatrice: i ) lo svolgimento dell’attività nei confronti del pubblico e ii ) l’esercizio delle attività finanziarie previste dall’art. 106, vale a dire, concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, assunzione di partecipazioni, prestazione di servizi a pagamento, intermediazione in cambi.
Lo svolgimento di una siffatta attività, nei termini sopra descritti, comporta che l’agente si inserisca abusivamente nel libero mercato, in tal modo sottraendosi ai controlli di affidabilità e stabilità ed operando indiscriminatamente fra il pubblico. In altri termini, per la configurabilità del reato Ł richiesto il requisito della ‘professionalità’, cioŁ l’esercizio abituale e non saltuario od occasionale dell’attività di finanziamento, oltre ad una seppur minima organizzazione strumentale per il suo svolgimento (Sez. 5, n. 46474 del 30/09/2022, NOME, Rv. 284228 – 01; Sez. 5, n. 25815 del 27/01/2020, COGNOME, Rv. 279464 – 01; Sez. 5, n. 21927 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273017 01; Sez. 5, n. 18317 del 16/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269616 – 01), sì da lasciar prevedere e consentire la concessione sistematica di un numero indeterminato di mutui e finanziamenti, rivolgendosi ad un numero di persone potenzialmente vasto e realizzandosi così quella latitudine di gestione tale da farla trasmigrare dal settore privato a quello pubblico, riconducendola nell’ambito di operatività della legge bancaria. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità Ł consolidata nel ritenere che la destinazione al pubblico dell’attività finanziaria ricorra anche se in concreto sia destinata ad una cerchia ristretta di persone, a patto che sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti (Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. Rv. 266164 – 01). Detto altrimenti, ai fini dell’integrazione del reato di esercizio abusivo di attività finanziaria «Ł necessario che l’attività di erogazione di prestiti e finanziamenti sia svolta nei confronti del pubblico, da intendersi, in senso non quantitativo, ma qualitativo come rivolta ad un numero non determinato di soggetti» (Sez. 5, n. 25815/2020, cit.).
¨ stato, in proposito, affermato che il reato di abusivismo finanziario Ł un reato di pericolo presunto a tutela del corretto funzionamento del mercato, avente ad oggetto lo svolgimento di servizi o attività di investimento o di gestione di risparmi altrui, che esclude dall’area penalmente sanzionata il compimento di singoli atti occasionali, richiedendo, invece, una serie coordinata di atti rientranti nelle tipologie previste, secondo un concetto di professionalità in senso ampio ed indirizzati al pubblico, nel limitato senso di soggetti quantitativamente non predeterminati; tuttavia, tali condotte possono essere poste in essere dal soggetto attivo nei confronti di un unico cliente, in quanto ciò
non esclude che l’attività di prestazione di servizi finanziari abbia carattere di pubblicità e professionalità (Sez. 5, n. 37528 del 22/10/2020, COGNOME, Rv. 280109 – 01; Sez. 5, n. 25160 del 16/01/2015, COGNOME, Rv. 265299 – 01).
Invero, la norma incriminatrice di cui all’art. 132 d.lgs. n. 385 del 1993 non ascrive alla sfera del penalmente rilevante ogni singola condotta irregolare – vale a dire quelle condotte che, singolarmente considerate, potrebbero costituire illecito civile ovvero violazione delle regole della concorrenza – ma richiede una serie di attività che consenta di integrare il requisito della ‘professionalità’, cioŁ l’esercizio abituale e non saltuario o occasionale, dell’attività di finanziamento. Ciò significa che, al di fuori di tale specifico requisito qualificante, che va sempre provato in maniera puntuale, esistono solo condotte lecite o che al piø possono integrare illeciti civili o amministrativi, in ossequio alla libertà di iniziativa economica, che Ł tutelata dalla Costituzione. Dunque «il dato estrinseco della pluralità di atti tipici non basta là dove la successione dei finanziamenti sia del tutto occasionale e scollegata da una struttura – pur non estesa sotto il profilo del bacino di utenza – che la supporti e che ne garantisca l’ulteriore prosecuzione. Le norme del TUB, quindi, non prevedono un controllo sul singolo atto o contratto, ma riguardano l’esercizio dell’impresa bancaria e di intermediazione finanziaria, nei temini di presenza stabile ed organizzata sul mercato» (Sez. 5, n. 46474/2022, cit.).
2.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale, pur avendo correttamente richiamato i principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di esercizio abusivo di attività finanziaria, ne ha poi fatto malgoverno in concreto.
In particolare, ha desunto la non occasionalità del finanziamento dalla corresponsione in forma rateale della somma di trentatremila euro a NOME COGNOME che sarebbe avvenuta «in piø tornate», con ciò escludendo «che, pur a fronte dell’unicità del beneficiario, il COGNOME avesse instaurato un unico e isolato prestito» (pag. 28 della sentenza impugnata).
Ritiene, invece, il Collegio che i giudici di appello avrebbero dovuto accertare funditus se, anche a fronte di una pluralità di prestiti effettuati nei confronti dello stesso mutuatario, le caratteristiche della condotta risultassero idonee a lasciar prevedere ed a consentire la concessione sistematica di un numero indeterminato di finanziamenti – pur se in concreto rivolto ad una ristretta cerchia di persone – ad una potenziale pluralità di soggetti quantitativamente non predeterminati ovvero se si fosse trattato di prestiti del tutto occasionali. In altri termini, Ł mancata nel caso che si sta scrutinando un’approfondita indagine in ordine alla sussistenza del requisito della ‘professionalità’, quale esercizio abituale e non saltuario od occasionale dell’attività di finanziamento, che presuppone una seppur minima organizzazione strumentale per il suo svolgimento, elemento questo che consente di ritenere configurata la fattispecie criminosa di cui all’art. 132 d.lgs. n. 385 del 1993.
Tali considerazioni impongono l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla posizione del COGNOME, atteso che il fatto come contestato non sussiste.
Il ricorso di NOME COGNOME Ł inammissibile per non essere consentito dalla legge l’unico motivo cui Ł affidato, in quanto costituito da mere doglianze di fatto, tutte finalizzate a prefigurare una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità.
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, Ł precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto
generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale Ł quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione. In altri termini, il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità Ł circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, NOME COGNOME Rv. 284556 – 01; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01).
Pertanto, il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può, quindi, estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Dunque, il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito ed il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale, in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica.
Peraltro, la sentenza impugnata, in relazione alla ricostruzione dei fatti ascritti all’imputato ed al giudizio di responsabilità, costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice dell’udienza preliminare, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280654 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01).
Deve esser evidenziato, inoltre, che il motivo sia reiterativo di medesime doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e all’interpretazione del materiale probatorio già espresse in sede di appello ed affrontate in termini precisi e concludenti dalla Corte territoriale, che ha evidenziato come la RAGIONE_SOCIALE, formalmente intestata ad un terzo soggetto, ma facente capo nella realtà ad NOME COGNOME fosse una società inattiva e come sul conto corrente della predetta società fossero confluiti i proventi delle truffe accertate; come anche la RAGIONE_SOCIALE, fosse società riconducibile allo stesso COGNOME e da quest’ultimo utilizzata per commettere le truffe accertate, messe a segno proprio con la predisposizione di documentazione falsa; come dal complesso delle conversazioni intercettate emergessero gli stretti rapporti tra l’odierno ricorrente ed i coimputati, in particolare con il COGNOME, pacificamente coinvolto nelle truffe e nell’associazione per delinquere per cui si procede, elemento questo rilevante per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Ebbene, con tali significative circostanze di fatto il ricorso non si confronta, ignorandole del tutto, per cui sotto tale profilo il motivo Ł anche aspecifico.
All’inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna
dei predetti al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME perchØ il fatto non sussiste. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 28/11/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME