Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 35552 Anno 2019
Penale Sent. Sez. F Num. 35552 Anno 2019
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 01/08/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il 10/07/1982 a Darmstadt (Germania) avverso la ordinanza del 14 maggio 2019 della Corte di appello di Salerno visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Salerno dichiarava inammissibile l’incidente di esecuzione proposto da COGNOME NOME in relazione alla sentenza del 29/04/2016 con la quale era stata disposta, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. r) L. n. 69 del 2005, l’esecuzione nello Stato della condanna alla pena di anni due di reclusione, pronunciata nei suoi confronti dall’autorità giudiziaria di Darmstadt per il reato di esercizio arbitrario del proprie ragioni mediante violenza.
1.1. La Corte di appello riteneva che la questione sollevata dal condannato ovvero la necessità di ricondurre la pena comminata nell’alveo della legalità, essendo prevista per il reato de quo dal codice penale italiano una pena non superiore nel massimo ad anni uno di reclusione – fosse inammissibile poiché sul punto si era già pronunciata la Corte di appello di Salerno in data 5/07/2017 che aveva a sua volta dichiarato inammissibile identica istanza in ragione del fatto che la decisione non era stata oggetto di ricorso per cassazione (la sentenza del 29/04/2016 non era stata impugnata dall’interessato) e che, pertanto, la condanna non poteva più essere in alcun modo rivisitata.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, deducendo, a mezzo del proprio difensore, come unico motivo di ricorso, la violazione di legge in relazione agli artt. 666, comma 2 e 735, comma 2, cod. proc. pen.
Poiché ai sensi dell’art. 735, comma 2, cod. proc. pen. la quantità della pena non può eccedere il limite massimo previsto per lo stesso fatto dalla legge italiana, l’entità della pena dichiarata esecutiva dalla Corte territoriale dev ritenersi illegale per la parte ulteriore rispetto al limite di un anno di reclusio (che costituisce la pena massima per il reato di cui all’art. 393 cod. pen.)
La richiesta dichiarata inammissibile con l’ordinanza impugnata non costituisce una mera riproposizione di una precedente rigettata, ma è finalizzata ad invocare un intervento giurisdizionale – quello teso a garantire la legalità della pena in executivis -che per consolidato orientamento giurisprudenziale, rientra tra le competenze funzionali del giudice dell’esecuzione, proprio quando siano decorsi i termini per esperire gli ordinari mezzi di impugnazione.
La Corte di legittimità ha più volte ribadito che la illegalità della pena derivante da palese errore giuridico materiale da parte del giudice della cognizione, privo di argomentata valutazione, ove non sia rilevabile d’ufficio in sede di legittimità per tardività del ricorso, è deducibile davanti al giudic dell’esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
Deve premettersi che è principio di diritto già affermato da questa Corte e dal quale non vi è motivo per discostarsi – che non possono essere dedotte con l’incidente di esecuzione le questioni relative al merito del giudizio di riconoscimento delle sentenze penali estere (Sez. 6, n. 44601 del 15/09/2015, S, Rv. 265882). La sentenza di riconoscimento delle sentenze di condanna è pur sempre una pronuncia del giudice della cognizione che, quando è divenuta irrevocabile, non può essere modificata da quello dell’esecuzione.
Secondo un principio generale, invero, l’incidente di esecuzione non può essere utilizzato per far valere vizi afferenti il procedimento di cognizione e la sentenza che lo ha concluso, ostandovi le regole che disciplinano la cosa giudicata, la quale si forma anche nei confronti di provvedimenti affetti da nullità assoluta (Sez. 1, n. 3370 del 13/12/2011, dep. 2012, Comisso Fiore, Rv. 251682).
Il procedimento incidentale di esecuzione è infatti un rimedio generale apprestato per la risoluzione di tutti quei problemi che possono insorgere per la esecuzione di un provvedimento giurisdizionale e che quindi, come tale, ha per oggetto le questioni attinenti alla esistenza del titolo esecutivo, ovvero l condizioni costitutive, modificative o estintive della validità del titolo stes sicché esso non può mai avere per oggetto questioni già risolte nel processo di formazione del titolo esecutivo (Sez. 3, n. 1365 del 14/04/1999, COGNOME, Rv. 214502).
E’ appena il caso di osservare che il ricorrente ha richiesto all’udienza fissata per dare esecuzione al mandato di arresto europeo in relazione al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, unicamente di far eseguire la pena nello Stato e comunque non ha manifestato alcun interesse ad impugnare la sentenza di condanna (né risulta, neppure dal presente ricorso, che una siffatta possibilità sia stata esercitata).
Deve evidenziarsi che se COGNOME avesse impugnato per cassazione la sentenza della Corte di appello di Salerno avrebbe potuto in quella Sede dolersi del mancato adattamento della pena da parte di tale autorità giudiziaria, doglianza oramai preclusa come sopra precisato.
3.1. Nel caso in cui il giudice italiano rifiuti la consegna in relazione ad un mandato di arresto europeo c.d. esecutivo, disponendo – ai sensi dell’art. 18,
comma 1, lett. r), L. 22 giugno 2005, n. 69 – l’esecuzione nello Stato della pena inflitta al cittadino italiano (o al cittadino di altro Paese dell’Uni legittimamente residente o dimorante in Italia), qualora il Paese richiedente sia uno Stato membro (come la Germania) che abbia dato attuazione alla decisione quadro 2008/909/GAI del 27 aprile 2008 (sul principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive, ai fini della loro esecuzione nell’Unione Europea), la Corte d’appello è, infatti, tenuta al formale riconoscimento della sentenza su cui si fonda il mandato di arresto europeo, in ossequio alle norme del d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161 (contenente disposizioni tese appunto a conformare il diritto interno alla predetta decisione quadro), e, quindi, a verificare la compatibilità della pena irrogata con la legislazione italiana (da ultimo, Sez. 6, n. 38557 del 17/09/2014, COGNOME, Rv. 261908).
Ai fini del riconoscimento, la Corte territoriale deve in particolare verificare a norma dell’art. 10, commi 1, lett. f), e 5), d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, che la durata e la natura della pena o della misura di sicurezza applicate nello Stato di emissione siano compatibili con quelle previste in Italia per reati simili e, ne caso in cui rilevi l’incompatibilità della natura e della durata delle pene previst nei due ordinamenti, deve procedere agli adattamenti necessari (ex plurimis, Sez. 6, n. 4413 del 29/01/2014, COGNOME, Rv. 258259).
Chiarite le ragioni che precludono al giudice dell’esecuzione di valutare la compatibilità della pena inflitta con quella in espiazione in Italia, occorr chiedersi se la pena di anni due di reclusione comminata in Germania e che è in espiazione in Italia su espressa richiesta di COGNOME possa ritenersi illegale.
Posto che è illegale la pena non prevista dall’ordinamento o completamente esorbitante dai limiti edittali, ritiene il Collegio che nel caso in questione non versi in un caso di pena illegale, posto che si è di fronte ad una condanna legittima pronunciata da uno Stato estero – nel rispetto dei limiti edittali esecuzione in Italia su espressa richiesta del Vuocolo per favorire la sua rieducazione. La pena di due anni di reclusione, inoltre, non appare a tal punto difforme da quella di anni uno (massimo edittale previsto dal codice penale italiano per il reato di cui all’art. 393 cod. pen.) da rendere manifesta una evidente sproporzione nel trattamento punitivo previsto dai due Stati.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di duemila euro, in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il ad/02/2019.