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Esecuzione pena: limiti del giudice sulla data del reato

Un condannato ha richiesto il ricalcolo della sua pena totale, sostenendo che un reato associativo fosse stato commesso prima dell’inizio della sua carcerazione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che il giudice in fase di esecuzione pena non può modificare la data di commissione del reato (tempus commissi delicti) quando questa è stata stabilita con precisione in una sentenza divenuta definitiva. Il caso ribadisce i rigidi limiti del giudice dell’esecuzione rispetto ai fatti accertati in fase di cognizione.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esecuzione Pena: la data del reato nel giudicato è intoccabile

La fase di esecuzione pena rappresenta il momento conclusivo del processo penale, in cui la sentenza di condanna viene concretamente attuata. Sebbene possa sembrare una fase meramente amministrativa, essa è governata da principi giuridici rigorosi, volti a garantire la certezza del diritto e la corretta applicazione della sanzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 8326/2025, ribadisce un caposaldo fondamentale: il Giudice dell’esecuzione non ha il potere di modificare i fatti accertati in una sentenza definitiva, inclusa la data di commissione del reato.

I fatti del caso

Il caso trae origine dall’istanza di un condannato che chiedeva al Giudice dell’esecuzione di emettere un nuovo provvedimento di cumulo delle pene. L’obiettivo era unificare tutte le sue condanne in un unico calcolo, applicando i limiti massimi di pena previsti dall’articolo 78 del codice penale. Il punto cruciale della sua argomentazione riguardava un reato associativo, per il quale era stato condannato con una sentenza che indicava come periodo di commissione l’intervallo ‘da ottobre 2005 a luglio 2009’.

Il ricorrente sosteneva che l’intera condotta criminosa si fosse esaurita prima dell’inizio della sua carcerazione, avvenuta il 24 febbraio 2009. Se così fosse stato, anche la pena per tale reato sarebbe rientrata nel cumulo giuridico generale, con notevoli benefici. La Corte d’appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva però rigettato la richiesta, sottolineando come la data di cessazione del reato (luglio 2009) fosse successiva all’inizio della detenzione, rendendo impossibile unificare le pene in un unico calcolo.

I limiti del Giudice nella fase di esecuzione pena

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso, lo ha dichiarato infondato, cogliendo l’occasione per riaffermare un principio consolidato nella giurisprudenza. Il potere del Giudice dell’esecuzione è circoscritto e non può estendersi a una rivalutazione del merito della vicenda processuale, ormai coperta dal ‘giudicato’.

Il tempus commissi delicti, ovvero il momento in cui il reato è stato commesso, se accertato in modo preciso e puntuale nella sentenza di cognizione, diventa un dato di fatto irrevocabile. Il Giudice dell’esecuzione non può ‘riaprire’ il fascicolo per condurre nuove analisi o interpretare diversamente gli elementi probatori. Un’eccezione a questa regola si verifica solo quando il capo di imputazione e la sentenza sono generici o imprecisi sulla data del reato. In tale ipotesi, il giudice può e deve indagare per determinare l’effettiva data, qualora sia rilevante per la sua decisione.

L’importanza della contestazione ‘chiusa’ e la gestione dell’esecuzione pena

Nel caso specifico, la contestazione era ‘chiusa’, cioè indicava un preciso arco temporale con una data di inizio e una di fine (ottobre 2005 – luglio 2009). Questa indicazione, mai impugnata durante il processo, è diventata definitiva e vincolante.

Di conseguenza, poiché la carcerazione del soggetto è iniziata nel febbraio 2009, una parte del reato associativo è stata commessa durante l’espiazione della pena. La legge, in questi casi, prevede la formazione di ‘cumuli parziali’. In pratica, la pena residua del cumulo precedente viene sommata alla nuova pena per il reato commesso durante la detenzione, senza però applicare i limiti massimi previsti dall’art. 78 c.p., che valgono solo per reati commessi prima dell’inizio dell’esecuzione.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione sulla base del principio dell’intangibilità del giudicato. Modificare la data di commissione del reato in sede esecutiva equivarrebbe a modificare un elemento fattuale già accertato con sentenza irrevocabile, un compito che non spetta al Giudice dell’esecuzione. La sentenza impugnata aveva correttamente applicato questo principio, rilevando che la contestazione del reato associativo, con l’indicazione di un termine finale a luglio 2009, era chiara e non contestata. Tale data, essendo successiva all’inizio della carcerazione, giustificava il rigetto dell’istanza di unificazione delle pene in un unico cumulo. La Corte ha inoltre giudicato generiche e assertive le doglianze relative agli altri reati, poiché non supportate da elementi specifici.

Le conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per la certezza del diritto nella fase di esecuzione pena. Essa stabilisce una netta linea di demarcazione tra la fase di cognizione, dove i fatti vengono accertati, e la fase esecutiva, dove le decisioni vengono attuate. Per i condannati e i loro difensori, ciò significa che ogni questione relativa ai fatti, inclusa la datazione precisa dei reati, deve essere sollevata e risolta durante il processo di merito. Una volta che la sentenza passa in giudicato, tali accertamenti diventano ‘pietra’, e il Giudice dell’esecuzione è tenuto a rispettarli scrupolosamente, limitando il suo intervento alle questioni che la legge gli demanda espressamente.

Può il Giudice dell’esecuzione modificare la data di commissione di un reato stabilita in una sentenza definitiva?
No, in sede esecutiva non è consentito modificare la data del commesso reato se questa è stata accertata nel giudizio di cognizione con sentenza passata in giudicato, specialmente quando il momento di consumazione è stato individuato in termini precisi e delimitati. Una rivalutazione è possibile solo se il capo di imputazione e la sentenza sono imprecisi riguardo al ‘tempus commissi delicti’.

Cosa accade se un reato viene commesso durante l’espiazione di una pena già in corso?
Si deve procedere a ‘cumuli parziali’. La pena per il nuovo reato viene cumulata con la parte di pena non ancora espiata del cumulo precedente. A questo nuovo cumulo non si applicano le limitazioni massime previste dall’art. 78 del codice penale, che operano solo per i reati commessi prima dell’inizio della detenzione.

Perché nel caso di specie il reato associativo è stato considerato commesso anche dopo l’inizio della carcerazione?
Perché la sentenza di condanna, divenuta irrevocabile, indicava con assoluta precisione che la condotta illecita si era protratta fino a luglio 2009. Poiché la carcerazione del condannato era iniziata il 24 febbraio 2009, una parte del reato è stata necessariamente commessa dopo l’inizio dell’espiazione della pena, rendendo corretta la decisione del Giudice dell’esecuzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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