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Esecuzione pena estero: la cooperazione UE prevale

Un cittadino italiano, condannato per bancarotta fraudolenta e residente in Spagna, ha richiesto di scontare la pena tramite l’affidamento in prova. Le autorità spagnole hanno sollevato dubbi sulla compatibilità di alcune prescrizioni italiane con il loro ordinamento. Il Tribunale di Sorveglianza italiano ha quindi dichiarato inefficace la misura. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, stabilendo che il giudice italiano avrebbe dovuto cooperare e dialogare con l’autorità spagnola per adattare le prescrizioni, anziché dichiarare l’ineseguibilità. Il caso evidenzia l’importanza del principio di collaborazione per l’esecuzione pena estero nell’UE.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esecuzione Pena all’Estero: Cooperazione Giudiziaria Europea

L’Unione Europea si fonda su principi di collaborazione e reciproca fiducia tra gli Stati membri, anche in ambito giudiziario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato questi principi, chiarendo come i giudici nazionali debbano agire quando sorgono difficoltà nell’esecuzione pena estero. Il caso riguarda un cittadino italiano residente in Spagna e l’applicazione di una misura alternativa alla detenzione, l’affidamento in prova, che ha richiesto un dialogo costruttivo tra le autorità dei due Paesi.

I Fatti del Caso: Un Percorso a Ostacoli tra Italia e Spagna

Un individuo, condannato in via definitiva in Italia per bancarotta fraudolenta a due anni e due mesi di reclusione, chiedeva di poter scontare la pena in Spagna, dove aveva stabilito la propria residenza. Il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, dopo un lungo iter processuale che aveva già visto due annullamenti con rinvio da parte della Cassazione, ammetteva il condannato all’affidamento in prova, stabilendo una serie di prescrizioni.

Tuttavia, l’autorità giudiziaria spagnola, il Tribunale Centrale di Madrid, sollevava alcune perplessità sulla compatibilità di tali prescrizioni con l’ordinamento spagnolo. In particolare, le critiche riguardavano:

1. Il divieto di uscita notturna, assimilato agli arresti domiciliari, non previsto dal codice spagnolo in quel contesto.
2. Il divieto generico di frequentare persone pregiudicate o tossicodipendenti, ritenuto non sufficientemente specifico.
3. L’obbligo di risarcire le vittime o svolgere attività gratuita, considerato vago per la mancata identificazione dei beneficiari e della durata.

Di fronte a questi rilievi, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze, anziché cercare una soluzione, dichiarava semplicemente l’inefficacia della misura alternativa, di fatto bloccando il percorso di reinserimento del condannato.

La Decisione della Cassazione sull’Esecuzione Pena Estero

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha annullato la decisione del Tribunale di Sorveglianza. I giudici supremi hanno chiarito che i rilievi dell’autorità spagnola non rappresentavano un rifiuto categorico, ma una richiesta di ‘adeguamento’ e ‘chiarimento’. Si trattava, in sostanza, di un invito al dialogo per superare le divergenze normative e rendere la misura applicabile in Spagna.

Il Tribunale italiano, secondo la Cassazione, ha commesso un errore nell’adottare una ‘formula decisoria non consentita’, come la dichiarazione di inefficacia, che non trova fondamento normativo in questo contesto. La legge (D.Lgs. n. 38 del 2016), che attua la Decisione Quadro europea, prevede proprio la possibilità di adeguare le prescrizioni per garantire l’effettività della cooperazione giudiziaria.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della sentenza si incentra sul dovere di collaborazione che incombe sulle autorità giudiziarie degli Stati membri. Il principio di reciproca fiducia impone di superare le difficoltà derivanti dalle differenze tra ordinamenti nazionali. La Corte ha sottolineato che il Tribunale di Sorveglianza avrebbe dovuto porre in essere un ‘dovuto tentativo’, anche d’ufficio, per rendere il contenuto delle prescrizioni ‘aderente’ alle riserve spagnole.

Questo significa che il giudice italiano avrebbe dovuto modificare o specificare meglio le prescrizioni contestate, nei limiti della compatibilità con l’ordinamento interno, ed emettere un nuovo ‘certificato’ da trasmettere alla Spagna. Ad esempio, avrebbe potuto personalizzare meglio le restrizioni alla libertà di movimento o specificare i beneficiari degli obblighi risarcitori, invece di arrendersi di fronte all’ostacolo.

Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio cardine dello spazio giuridico europeo: i giudici nazionali non devono agire come entità isolate, ma come parte di un sistema integrato. Di fronte a problemi di esecuzione pena estero, la soluzione non è la ritirata, ma l’interlocuzione e l’adattamento. La sentenza insegna che la cooperazione giudiziaria non è una mera formalità, ma un obbligo attivo che richiede flessibilità e un approccio costruttivo per garantire sia la certezza della pena sia il percorso di reinserimento sociale del condannato, anche oltre i confini nazionali.

È possibile scontare una misura alternativa alla detenzione, come l’affidamento in prova, in un altro Stato dell’Unione Europea?
Sì, in forza del D.Lgs. n. 38 del 2016, che attua la Decisione Quadro 2008/947/GAI, è consentita l’ammissione a misure alternative la cui esecuzione debba svolgersi in un altro Stato membro dell’UE dove il condannato ha la propria residenza, basandosi sul principio di collaborazione e reciproca fiducia.

Cosa deve fare un giudice italiano se l’autorità di un altro Stato UE solleva dubbi sulla compatibilità delle prescrizioni imposte?
Il giudice italiano non deve dichiarare l’inefficacia della misura, ma deve attivare un’interlocuzione dialettica. Deve porre in essere un tentativo, anche d’ufficio, di adeguare e chiarire il contenuto delle prescrizioni per renderle il più possibile aderenti alle richieste dello Stato di esecuzione, nei limiti della compatibilità con l’ordinamento italiano, ed emettere un nuovo ‘certificato’.

La dichiarazione di ‘inefficacia’ di una misura alternativa è la soluzione corretta di fronte a problemi di esecuzione all’estero?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la dichiarazione di ‘inefficacia’ della misura, correlata a una pretesa ineseguibilità derivante dai rilievi di un altro Stato UE, è una ‘formula decisoria non consentita’. La procedura corretta è quella dell’adeguamento e del dialogo cooperativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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