Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30715 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30715 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza emessa dalla Corte di appello di Caltanissetta il 08/01/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ge
NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con l’ordinanza in premessa indicata la Corte di appello d Caltanissetta ha respinto la richiesta di declaratoria di estinzione per presc della pena irrogata a NOME COGNOME dal Tribunale di Gela, con sentenza 653 del 2002, confermata con sentenza della Corte di appello di Caltanissetta 219 del 2005.
L’istanza avanzata dal condannato era formulata in relazione alla senten del Tribunale albanese di Vlore, n. 130 del 2016, con cui è stata negat consegna di COGNOME all’Autorità Giudiziaria italiana – in relazione al r pena da espiare di 8 anni, 11 mesi e 4 giorni di reclusione – ed è stata dich la non eseguibilità di detta pena per intervenuta prescrizione, in applica dell’art. 68 del codice penale albanese, in forza del quale la condanna non essere eseguita quando sia decorso il termine di dieci anni dalla definitività pronuncia e la pena detentiva irrogata sia compresa tra cinque e quindici anni
Il Governo italiano aveva in precedenza chiesto l’estradizione del ricorr in Italia, alla quale aveva in seguito di fatto rinunciato, promuovendo pre Stato albanese l’attivazione della procedura per l’esecuzione del residuo pen espiare.
Ha proposto ricorso il condannato, con atto del difensore di fiducia a NOME COGNOME, nel quale sono articolati i motivi di seguito sintetizzati nei l cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge con riguardo al mancato riconoscimento dell sentenza d4Tribunale di Vlore, in relazione all’art. 3, comma 2, della le luglio 1989, n. 257, in tema di esecuzione delle sentenze penali, il quale ric l’art. 10 della Convenzione europea sul trasferimento delle persone condanna siglata il 21 marzo 1983, ratificata con legge 25 luglio 1988, n. 334, e l’a aggiuntivo intervenuto tra Italia e Albania il 23 aprile 2002, ratificato co 11 luglio 2003, n. 204.
La Corte di appello avrebbe dovuto prendere atto della sentenza n. 130 de 2016 resa dalla Autorità Giudiziaria albanese, che non è sindacabile in qu ambito, ostandovi il disposto dell’art. 10 della citata Convenzione europe quale riconosce allo Stato di esecuzione un potere di adattamento della pe quando la natura e la durata della sanzione stabilita dallo Stato di con siano incompatibili con la sua legislazione.
Di contro, non può essere considerato, al riguardo, il disposto dell’art cod. proc. pen., sulla determinazione della pena ai fini della esecuzione
sentenza straniera, in quanto tale norma presuppone l’assenza di una disciplina convenzionale che, nella specie, risulta invece esistente.
2.2. Vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della sentenza emessa dal Tribunale di Vlore e degli effetti che ne sono derivati.
La Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere la sentenza emessa dall’Autorità giudiziaria albanese senza contestare la violazione delle norme interne a quel sistema giurisdizionale, in quanto fondata, tale contestazione, su assunti generici, non essendo stati indicati i relativi riferimenti normativi.
Al contrario, i Giudici stranieri hanno fatta puntuale applicazione della legislazione albanese e, specificamente, dell’art. 514 del codice di rito, dell’art 68/b cod. pen., dell’art. 54 legge n. 10193 del 3 dicembre 2009.
2.3. Violazione dell’art. 8, comma 2, e dell’art. 9, comma 3, della citata Convenzione europea del 1983 e della legge n. 204 del 2003.
Stante l’intervenuta rinuncia del Governo italiano alla procedura di estradizione nei confronti di COGNOME, deve farsi riferimento all’art. 2 della legg n. 204 del 2003, di ratifica dell’accordo aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento, intercorso tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, in data 24 aprile 2002, accordo in forza del quale, quando è stata pronunciata sentenza di condanna nei confronti di un cittadino di altro Stato, quest’ultimo, su richiesta dello Stato di condanna, può procedere alla relativa esecuzione nel caso in cui la persona condannata si trovi sul suo territorio, nel rispetto dell normativa interna relativa al riconoscimento del giudicato.
In particolare, l’art. 8, comma 2, cit. afferma che lo Stato della condanna non può più dare esecuzione alla sentenza se lo Stato di esecuzione consideri tale esecuzione terminata, mentre l’art. 9, comma 3, stabilisce che lo Stato di esecuzione è l’unico competente ad assumere tutte le decisioni al riguardo.
2.4. Violazione dell’art. 10 della Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957, ratificata dall’Italia con legge 30 gennaio 1963, n. 300.
La norma sancisce il principio del migliore trattamento per l’estradando emergente dal raffronto comparato tra le legislazioni degli Stati interessati, sicché, in applicazione di essa, le Autorità nazionali avrebbero dovuto tenere in considerazione la prescrizione dichiarata dalla parte richiesta.
2.5. Carenza di motivazione della ordinanza impugnata sulle questioni sollevate dalla difesa.
L’ordinanza è silente sulla dedotta violazione dell’art. 172 cod. pen. Avuto riguardo alla pena residua da scontare, inferiore a dieci anni, e alla data di irrevocabilità della pronuncia (31 dicembre 2005), è decorso un lasso di tempo
superiore al doppio della pena da eseguire, né vi sono stati fatti interr stante l’irrilevanza, a tali fini, della procedura estradizionale
2.6. Carenza di motivazione della ordinanza impugnata in ordine all dedotta acquiescenza, da parte dello Stato italiano, agli effetti derivant sentenza del Tribunale di Vlore.
Con l’acquiescenza alla pronuncia e la rinuncia alla estradizione, lo S italiano ha di fatto abdicato alla pretesa punitiva ed anche su tale quest Corte di appello è rimasta silente.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso nei termini riportati in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
I primi due motivi, con cui si censura il mancato riconoscimento dell pronuncia adottata dalla Autorità Giudiziaria albanese, possono essere trat congiuntamente per la loro stretta connessione.
.Premesso che i diversi e più favorevoli parametri per la determinazio del tempo necessario alla prescrizione della pena previsti dalla legisla albanese, posti a base della pronuncia di non eseguibilità della condanna resa Tribunale di Vlore, perché estinta tale pena per decorso del tempo, non hann all’evidenza, automatica operatività nell’ordinamento nazionale, risulta pri fondamento normativo la pretesa di riconoscimento di una pronuncia straniera che, come nel caso che occupa, si è limitata a negare il riconoscimento, ai della esecuzione, della sentenza di condanna resa in Italia, per la ri estinzione della pena irrogata.
In disparte la procedura del riconoscimento prevista dall’art. 731 c proc. pen., che presuppone sia l’iniziativa del Ministro della giustiz l’esistenza di un accordo internazionale ed è finalizzata al riconoscimento di sentenza pronunciata da uno Stato estero ai fini della esecuzione della condan il riconoscimento di specifici effetti come, nel caso che occupa, l’estinzion prescrizione della pena, non può essere fondato neppure sul combinato dispost degli artt. 12 cod. pen. e 730 cod. proc. pen.
Tali disposizioni si riferiscono, invero, a sentenze di merito responsabilità, e ne regolano l’incidenza a diversi fini, tassativamente in diversi dalla esecuzione della pena principale, specificamente inerenti:
al fine di stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l’abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere;
ai fini della applicazione di una pena accessoria o della sottoposizione a misure di sicurezza personali;
ai fini della esecuzione della condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno o comunque, quando la pronuncia del Giudice straniero debba esser fatta valere in giudizio nel territorio dello Stato agli effetti civili. Il riconoscimento è, dunque, strumento che non può essere utilizzato in relazione a una pronuncia – peraltro a contenuto reiettivo – di una richiesta di cooperazione giudiziaria, di natura essenzialmente processuale, quale è quella resa dalla Autorità Giudiziaria albanese sulla richiesta di dare ivi esecuzione alla sentenza di condanna pronunciata dal
Giudice italiano.
Alla luce di tale premessa, la questione della non sindacabilità dei parametri sulla durata della pena posti a base della decisione dell’Autorità giudiziaria straniera, senza una impugnativa di quella decisione, pur apparendo astrattamente fondata – anche perché le norme asseritamente corrette, evocate dalla pronuncia impugnata, di cui al Titolo X del codice albanese in tema di estradizione, sono solo genericamente richiamate – resta inconferente ai fini del decidere.
Il terzo motivo, afferente alla violazione degli artt. 8 e 9 del Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983, ratificata con legge 25 luglio 1988, n. 334, è infondato, trattandosi di disposizioni entrambe eccentriche rispetto alla fattispecie che occupa.
3.1. La Convenzione richiamata promuove e regola una forma di cooperazione finalizzata al trasferimento, da uno Stato ad altro tra quelli firmatari, del soggetto condannato ai fini della esecuzione della pena, sul presupposto che l’esecuzione che avvenga nel faese di origine, ove egli è radicato, abbia migliori esiti rieducativi e, in prospettiva, anche risocializzanti.
Giova premettere che l’art. 3 della Convenzione prevede espressamente, tra le condizioni per il trasferimento, al comma 1, lett. f), che lo Stato condanna e lo Stato di esecuzione siano “d’accordo sul trasferimento”.
L’art. 8 si riferisce testualmente alle conseguenze che – sempre ai fini del trasferimento – si producono per lo Stato di condanna, stabilendo che questo non può più eseguire la condanna quando lo Stato d’esecuzione ne considera terminata l’esecuzione.
L’art. 9, specularmente, definisce le conseguenze del trasferimento per lo Stato di esecuzione, disponendo che l’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato d’esecuzione e quest’ultimo è il solo competente ad adottare le decisioni appropriate.
Entrambe le norme che si assumono violate attengono, dunque, alla ipotesi, che nella specie non è ravvisabile, di una esecuzione da attuare, per accordo tra gli Stati interessati, nello Stato di condanna e del trasferimento del soggetto che vi è sottoposto.
Al contrario, l’esecuzione in Albania della sentenza di condanna pronunciata dallo Stato italiano nei confronti del ricorrente è stata denegata.
3.2. L’art. 10 della medesima Convenzione sul trasferimento è espressamente intitolato al “proseguimento dell’esecuzione” e dunque postula che l’esecuzione abbia avuto inizio nello tato di condanna e che, in costanza di essa, si debba procedere al trasferimento del condannato nello Stato di esecuzione; ed è con riguardo a tale ipotesi che lo Stato di esecuzione, benché di norma vincolato dalla natura giuridica e dalla durata della sanzione quali risultano dalla condanna, può procedere ad un adattamento, ove natura e durata della pena residua risultino incompatibili con la sua legislazione.
A tale fattispecie si riferisce la sentenza della Corte costituzionale n. 73 del 2001, richiamata dal ricorrente a supporto delle sue deduzioni. Nel ribadire che il trasferimento postula l’accordo degli Stati interessati, la Consulta ha affermato che la Convenzione vincola lo Stato di esecuzione / nel caso di continuazione della esecuzione, alla natura e alla durata della sanzione come stabilite dallo Stato di condanna, ma – in caso di disomogeneità tra gli ordinamenti – promuove la corrispondenza, per quanto possibile, tra le sanzioni «quali pronunciate e quali da eseguire, dando la preminenza a quanto è richiesto dall’ordinamento dello Stato di esecuzione»; e, sempre con riferimento all’istituto della continuazione della esecuzione, il Giudice delle leggi ha affermato che, nello spirito della Convenzione, lo Stato di condanna può potestativamente prestare o negare il suo consenso al trasferimento del condannato, quando ritenga che il regime legale dell’esecuzione penale nel potenziale Paese di esecuzione, rispettivamente, sia o non sia sostanzialmente equivalente a quello previsto dal proprio ordinamento.
3.3. Egualmente irrilevante è l’art. 2 dell’Accordo aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, concluso tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Albania. Tale disposizione, infatti, stabilisce che “quando in uno degli Stati è stata pronunciata una sentenza definitiva di condanna nei confronti di un cittadino dell’altro Stato, quest’ultimo, su richiesta dello Stato di condanna, può procedere alla relativa esecuzione nel
caso in cui la persona condannata si trovi sul suo territorio, nel rispett normativa interna relativa al riconoscimento del giudicato”.
Priva di ogni incidenza ai fini del decidere è pure la disposizi contenuta nell’art. 10 della Convenzione europea di estradizione del 13 dicemb 1957, secondo cui «l’estradizione non sarà consentita se la prescriz dell’azione o della pena è acquisita secondo la legislazione della Parte richie o della Parte richiesta», atteso che non è controverso che vi sia stata rinun parte del Governo italiano alla pregressa richiesta di estradizione nei conf del ricorrente.
Alla luce di quanto precede, non hanno conseguenza invalidante le carenze della motivazione censurate con l’ultimo motivo di ricorso. Costituisce, invero, principio consolidato che il giudice dell’impugnazione n obbligato a motivare in ordine al mancato accoglimento di istanze, nel caso in esse appaiano caratterizzate da assoluta genericità o da manifesta infondate (Sez. 6, n. 20522 del 08/03/2022, Palumbo, Rv. 283268; Sez. 3, n. 53710 de
23/02/2016, C., Rv. 268705 – 01).
Le questioni qui prospettate sono manifestamente infondate.
5.1 L’ordinanza impugnata si è difatti pronunciata .sulla richiesta di estinzione della pena per decorso del tempo ed è stata fatta corr applicazione della disciplina dettata dall’art. 172 cod. pen.
In particolare, la tesi difensiva per cui f ai fini della determinazione del termine di estinzione del reato, dovrebbe considerarsi la pena residua da scontare – e invece la pena inflitta – collide con la lettera della norma, che pri quest’ultima.
In tal senso si è già espressa questa Corte, con la sentenza Sez. 1, n. 4974 26/06/2018, Dinellari, Rv. 274486, la quale ha affermato che, ai fini del comp del tempo necessario al verificarsi dell’estinzione della pena per prescrizio ‘art. 172 cod. pen., per “pena inflitta” deve intendersi quella irrogata in s e non quella concretamente da scontare all’esito dell’applicazione di event cause estintive successive alla condanna.
5.2. Sotto altro profilo, deve osservarsi che la rinuncia all’estradizion può essere intesa come un’abdicazione alla pretesa punitiva e ciò è tanto v che lo Stato albanese, richiesto della esecuzione, dopo l’intervenuta rinunci procedura estradizionale, non ha ritenuto sussistere alcuna preclusione in senso, bensì ha valutato nel merito la non ricorrenza dei presupposti per luogo alla esecuzione stessa.
Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Roma, 2 maggio 2024
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SEZIONE VI PENALE
26 LH 2024