Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23823 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23823 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 28/03/2025
– Presidente –
NOME COGNOME
R.G.N. 3934/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME (alias COGNOME) nato a in ALBANIA il 16/01/1976 ; avverso l’ordinanza del 13/01/2025 della Corte d’Assise d’appello di Bologna; vista la relazione del Consigliere NOME COGNOME vista la requisitoria del Sost. Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
in procedura a trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Assise di Appello di Bologna, quale giudice della esecuzione, con ordinanza emessa in data 13 gennaio 2025 ha respinto la richiesta introdotta da NOME COGNOME di dichiarare la non esecutività della sentenza emessa in data 19.05.2010 (definitiva il 23.10.2012) dalla Corte di Assise di Appello di Bologna, che lo ha condannato alla pena di anni 22 e mesi 8 di reclusione.
La sentenza citata Ł stata emessa in seguito ad ordinanza di restituzione nel termine con riferimento alla sentenza pubblicata il 22.11.2001 dalla Corte di Assise di Piacenza, con la quale l’odierno ricorrente era stato condannato alla pena di 23 anni di reclusione. Si sottolinea che la sentenza emessa in conseguenza della restituzione in termini differisce dalla precedente esclusivamente per l’intervenuta prescrizione del reato meno grave (la pena della prima decisione era quella di anni 23 di reclusione, mentre quella della seconda, a seguito di restituzione nel termine, Łdi anni 22 e mesi 8 di reclusione)
Secondo la prospettazione dell’istante la decisione (per fatto commesso in data 9 dicembre 1999) Ł stata già oggetto di esecuzione in territorio albanese. Si erano indicati i seguenti presupposti di fatto:
in data 11.01.2008 il Ministero della Giustizia italiano, in base alla Convenzione di Strasburgo per il trasferimento dei condannati, ha promosso la richiesta di riconoscimento della sentenza emessa in data 22.01.2001;
in data 25.03.2009 il Tribunale di Valona ha riconosciuto la sentenza italiana ratificando la condanna ad anni 23 di reclusione;
il medesimo ultimo Tribunale, appresa l’avvenuta restituzione nel termine e la nuova sentenza italiana del 19.05.2010, ha riconosciuto anche tale provvedimento, rideterminando la pena in 15 anni di reclusione, pena ridotta ad 11 anni (di cui 3 condonati) dalla Corte di Appello di Valona;
la pena inflitta, sempre secondo la difesa, sarebbe stata interamente espiata in data 10.10.2023;
il Tribunale di Valona, proprio in considerazione della domanda di riconoscimento promossa dall’autorità giudiziaria e ministeriale italiana, ha respinto la domanda di estradizione formulata nel luglio del 2018.
La Corte di Assise di Appello di Bologna osserva preliminarmente che l’articolo 743 c.p.p., avente ad oggetto l’esecuzione all’estero di sentenze penali italiane, prevede che la domanda di esecuzione all’estero di una sentenza di condanna a pena restrittiva della libertà personale non Ł ammessa senza previa deliberazione favorevole della Corte di Appello nel cui distretto fu pronunciata la condanna.
Risulterebbe pacifico, nel caso in esame, che mai la competente Corte di Appello italiana ha deliberato l’esecuzione all’estero della sentenza della Corte di Assise di Appello di Bologna emessa in data 19.05.2010, come mai nessuna autorità, giudiziaria o ministeriale, ha neanche iniziato presso le competenti autorità albanesi qualsivoglia procedimento finalizzato al riconoscimento all’estero della medesima sentenza citata. Difatti, la missiva del ‘Dipartimento per gli Affari della Giustizia’ datata 11.01.2008 concerneva esclusivamente la sentenza emessa in data 22.11.2001 della Corte di Assise di Piacenza, sentenza non piø eseguibile perchØ oggetto di istanza di restituzione nel termine che Ł stata accolta. Di conseguenza, tale sentenza Ł stata superata da
quella del 2010. Non essendovi stata la prescritta deliberazione di cui all’art. 743 cod.proc.pen. non può dirsi legalmente eseguita la pena all’estero.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – NOME COGNOME Il ricorso si articola in due motivi .
Al primo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 2 dell’Accordo, aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, stipulato tra l’Italia e l’Albania il 24 aprile 2002 e ratificato con la legge n. 204 del 2003, entrata in vigore nel giugno del 2004. Secondo detto testo ‘Quando in uno degli Stati Ł stata pronunciata una sentenza definitiva di condanna nei confronti di un cittadino dell’altro Stato, quest’ultimo, su richiesta dello Stato di condanna, può procedere alla relativa esecuzione nel caso in cui la persona condannata si trovi sul suo territorio, nel rispetto della normativa interna relativa al riconoscimento del giudicato’.
La difesa evidenzia che il ricorrente avrebbe già scontato la pena nella Repubblica di Albania.
Si sottolinea, nel ricorso, che l’ordine di esecuzione n. 705/2012 emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bologna in data 04.02.2013, afferisce di fatto ad una condanna che il COGNOME ha già integralmente scontato. Difatti, in data 11.01.2008 il competente Ufficio del Ministero della Giustizia italiano ha promosso la richiesta di riconoscimento della sentenza emessa dalla Corte di Assise di Piacenza in data 22.11.2001 e, per l’effetto, il Tribunale di Valona si Ł pronunciato in conformità, ratificando la pena di anni 23 di reclusione. Dopo la restituzione nel termine e la nuova sentenza emessa dalla Corte di Assise di Appello di Bologna 19.05.2010, il Tribunale di Valona ha riconosciuto il provvedimento italiano di condanna rideterminando la pena in 15 anni di reclusione (da cui detrarre 3 anni per la legge in tema di indulto) e, successivamente, la Corte d’Appello di Valona ha comminato la pena finale di 11 anni di reclusione. Pena, si ribadisce, che sarebbe stata integralmente espiata dal Vangjelaj in data 10.10.2023.
La difesa pone in evidenza che la domanda di estradizione formulata nel luglio 2018 dalle competenti autorità italiane Ł stata rigettata in via definitiva dal Tribunale di Valona proprio in ragione della domanda di riconoscimento del titolo giurisdizionale italiano promosso dalle Autorità giudiziarie e ministeriali italiane. Per tali motivi, era stato richiesto alla Corte di Assise di Appello di Bologna, quale giudice dell’esecuzione, di dichiarare la non esecutività della sentenza di condanna pronunciata nei confronti del COGNOME dalla Corte di Assise di Piacenza, richiesta tuttavia disattesa dalla Corte, la quale – in tesi difensiva – ha omesso di considerare e di applicare la specifica disciplina convenzionale in vigore tra lo Stato italiano e lo Stato albanese.
Il citato art. 2 della disposizione in esame, in quanto accordo bilaterale tra due Stati, dovrebbe assumere, per giurisprudenza costante, valore primario rispetto alle eventualmente integrative norme interne, le quali ultime dovrebbero cedere, ove contrastanti, con la sovraordinata normativa internazionale.
Si deve considerare, secondo la difesa, che i presupposti fattuali per l’applicabilità dell’articolo 2 della l. 204/2003 sono esclusivamente: una richiesta dello Stato italiano a quello Albanese di riconoscere ed eseguire un provvedimento di condanna; la nazionalità albanese del prevenuto; la presenza del condannato nel territorio albanese. Non verrebbe contemplato, dall’Accordo in esame, alcuna altra condizione, tanto meno la necessità della c.d. delibazione da parte della Corte d’Appello nel cui distretto fu pronunciata la condanna italiana ai sensi del 743 del codice di rito.
Dunque, premesso che Ł presente la richiesta dello Stato italiano espressamente formalizzata e trasmessa richiamando il predetto Accordo bilaterale (allegata al ricorso), e considerato che le pronunce albanesi succitate hanno avuto ad oggetto la sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Piacenza in quanto non soggetta a modifiche in Italia in punto di responsabilità, nessun effetto pregiudizievole potrebbe derivare, secondo la difesa, dalla parziale modifica della pena in ragione della prescrizione del reato meno grave, intervenuta nel corso del successivo appello italiano celebrato a seguito di restituzione nel termine.
In sintesi, una volta attivata, da parte dello Stato italiano, la richiesta di riconoscimento ed esecuzione in Albania di una sentenza di condanna italiana, ed una volta ottenuto tale riconoscimento con la conseguente esecuzione della pena, nel rispetto del sopracitato Accordo bilaterale, quella sentenza non potrebbe in seguito essere oggetto di una ‘seconda esecuzione’ in Italia.
Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla violazione del principio del ne bis in idem esecutivo.
La difesa ritiene, infatti, che, qualora venisse disattesa la richiesta difensiva, il COGNOME sconterebbe per gli stessi fatti due condanne, espiando due pene, e si verificherebbe di conseguenza un duplice ed illegittimo trattamento sanzionatorio. Sussisterebbe, in sintesi, una violazione del ne bis in idem, principio fondamentale del sistema penale in alcun modo derogabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł fondato.
2. Ed invero il ricorrente ha dimostrato in modo sufficiente – salve le verifiche ulteriori spettanti al giudice del merito – di aver già subìto una esecuzione in Albania per il medesimo fatto di reato.
Sono stati oggetto di produzione e di allegazione al ricorso taluni atti che creano una concreta apparenza di riconducibilità della detenzione subìta in Albania al titolo rappresentato in un primo momento dalla sentenza del 2001 e in un secondo momento (in virtø di restituzione nel termine per proporre appello) alla sentenza emessa dalla Corte di Appello di Bologna il 19 maggio del 2010,
atteso che ciò che rileva Ł – ovviamente – la medesimezza del fatto di reato per cui la pena viene scontata.
Di particolare rilievo risultano, in proposito tanto la nota DAG del 11 gennaio 2008 – nel cui ambito si fa riferimento alla richiesta proveniente dallo Stato Albanese di sottoporre ad esecuzione un soggetto corrispondente al ricorrente, in riferimento alla sentenza del 2001 – che la copia della decisione emessa dal Tribunale di Vlore in data 25 marzo 2009 che riconosce proprio la decisione della Corte di Assise di Piacenza del 2001, con successiva decisione emessa dal medesimo organo giurisdizionale in data 23.4.2019 (relativa alla nuova decisione di secondo grado, posteriore alla restituzione nei termini).
Salva la smentita dei contenuti documentali dovuta a falsità, il che allo stato non appare ipotizzabile e non può essere accertato da questa Corte di Cassazione, va dunque preso atto della avvenuta esecuzione in Albania del titolo definitivo per il delitto di omicidio avvenuto il 9 dicembre 1999, con necessità di accertare presso l’autorità albanese la corrispondenza della identità del soggetto che ha scontato la pena con quello condannato e con quello tuttora in stato detentivo (arresti domiciliari) per l’avvenuta esecuzione del MAE in territorio greco in data 22 luglio 2024.
Il giudice della esecuzione a fronte di simile produzione documentale si Ł invece limitato a rilevare il mancato esperimento, all’epoca, della procedura di delibazione di cui all’art.743 cod.proc.pen. .
Si tratta, tuttavia, di una affermazione in primis erronea in diritto (posto che la disciplina codicistica in questione Ł sussidiaria, come espressamente previsto dall’art. 696 comma 2 cod.proc.pen., e vi Ł riferimento negli atti alla avvenuta applicazione della legge n.204 del 2003 di ratifica dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983, fatto a Roma il 24 aprile 2002), che inquadra la questione in termini meramente formali e non soddisfacenti.
Il giudice dell’esecuzione in un caso simile ha il preciso compito di verificare, al di là di aspetti di regolarità formale del procedimento che ha dato luogo alla esecuzione all’estero, se la detenzione avvenuta in territorio estero abbia avuto o meno ad oggetto il titolo rappresentato dalla sentenza di condanna emessa in Italia, con le dovute conseguenze di legge. Mai potrebbe, infatti, essere eseguita due volte la pena inflitta per il medesimo fatto di reato, in ragione della evidente sproporzione che ne deriverebbe tra fatto e sanzione, con violazione di principi Convenzionali e di diritto interno.
La decisione impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo esame, secondo i principi di diritto sin qui esposti.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Assise di Appello di Bologna
Così Ł deciso, 28/03/2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME